Categoria: OLI 319

  • OLI 415: CITTA’ – Come se si stesse su un vulcano


    Due rappresentazioni a confronto dello stesso territorio, con i torrenti Bisagno e Fereggiano, a 210 anni di distanza l’una dall’altra. Le avevamo già pubblicate dopo l’alluvione del 4 novembre 2011 (OLI 319), senz’altro commento che la didascalia: 
    Sopra: 
    dall’Album topografico di Genova e suoi dintorni, penna ed acquerello colorato, circa 1797, Genova, Collezione Topografica del Comune, inv. n. 1127 (particolare). 
    Sotto: 
    da Google Earth, 9 agosto 2007.
    Le ripubblichiamo ora tali e quali, aggiungendo stavolta alcune riflessioni.
    Dopo tre anni la replica dello spettacolo è andata in scena quasi identica, ma più intensa e straziante, il 9 ottobre 2014. Solo l’orario della rappresentazione è cambiato: se fosse rimasto lo stesso, invece che a notte fonda, il numero delle vittime sarebbe stato ben maggiore dell’unico sventurato travolto dalla piena.
    Di sicuro ci sono responsabilità degli amministratori locali – Comune e Regione – che non hanno diramato per tempo l’allerta fidandosi più di uno sballato modello previsionale che non dei loro occhi, che non potevano non vedere quant’acqua stesse precipitando da ore dal cielo.
    Ma il preavviso non avrebbe comunque fermato la furia dei torrenti: i negozi, i laboratori, le cantine, i magazzini e gli altri locali a pianterreno o seminterrati sarebbero stati in ogni caso allagati.
    Se – altra grave mancanza di chi gestisce il territorio – si fossero mantenuti gli alvei perfettamente puliti, sgombri da alberi, arbusti e cespugli che son pittoreschi a vedersi quando è bel tempo e ospitano animali selvatici, ma riducono di molto la portata nei momenti di piena, probabilmente si sarebbe ridotto il danno, però quasi certamente non si sarebbe evitato lo straripamento, data l’entità delle precipitazioni in relazione allo stato di un territorio ormai irreparabilmente compromesso da un secolo e mezzo di urbanizzazione sempre più intensa e irrispettosa di un ambiente che da sempre è soggetto per sua natura a periodiche inondazioni.

    Luigi Garibbo dis. e inc., Veduta del Ponte della Pila sul Bisagno presso alle mura di Genova,
    poco dopo il suo diroccamento per la gran piena de’ 26 Ottobre del 1822.

    Ben lo sapevano i nostri antichi, che nel medioevo costruirono il lunghissimo ponte di Sant’Agata (le poche arcate superstiti nel greto del Bisagno non sono che una minima parte delle originarie 28 che si estendevano da Borgo Incrociati fino alla chiesa di Sant’Agata, presso piazza Giusti) per garantire la continuità del transito anche nei momenti di piena.
    Lo stesso fecero gli ingegneri sabaudi che nei primi decenni del XIX secolo realizzarono la nuova carrozzabile verso la Toscana, il cui primo tratto (via Minerva, oggi corso Buenos Aires) correva su un terrapieno sopraelevato di alcuni metri sul piano di campagna, in previsione delle rare ma sempre in agguato alluvioni che, allora come oggi, interessavano la piana estesa tra le odierne piazza Tommaseo e vie Galata e Cesarea. La strada fu abbassata solo con l’attuazione del piano regolatore del 1877, col quale, dopo l’annessione a Genova di sei comuni a levante del Bisagno nel 1873/’74, si disposero case dove prima erano orti.
    Poco male se un tempo finivano sott’acqua per qualche ora campi coltivati e pochi edifici rurali sparsi qua e là.
    Assai peggio è quanto avviene oggi e continuerà sicuramente ad accadere in futuro, senza rimedio, dato l’assetto assunto da questa porzione di città di cui, in modo assai poco lungimirante se non addirittura colpevole, si è consentito nei decenni lo sviluppo in tale area critica.
    L’asfalto e le costruzioni hanno ricoperto le pendici delle colline impermeabilizzandole e obbligando la pioggia a correre in basso invece di essere parzialmente assorbita dal terreno, specie grazie alla speculazione edilizia dal secondo dopoguerra fino ad oggi, considerando pure i numerosi parcheggi interrati in gran voga negli ultimi anni. I corsi d’acqua nei fondovalle sono stati ridotti d’ampiezza e in parte nascosti sotto strade sicuramente funzionali e anche belle, come il viale Brigata Bisagno e Brigate Partigiane, ma esiziali nei momenti di piena: è ben noto come la portata di un fiume o torrente coperto si riduca di colpo in maniera considerevole nel momento in cui il pelo dell’acqua tocca la sommità del condotto, con conseguente esondazione.
    Questo video impressionante, girato da una finestra dirimpetto e con drammatiche voci fuori campo, realizzato e pubblicato su Facebook da Maria Principalli, documenta quanto successo l’altra notte col Fereggiano:

    Chi risiede o lavora in queste zone deve purtroppo prendere atto di tale amara realtà, elaborare la consapevolezza che dopo periodi più o meno lunghi di quiete il dramma si ripresenta inesorabile, abituarsi a convivere con questo pensiero, agire di conseguenza. 

    Nell’ultimo mezzo secolo la cadenza era all’incirca ventennale: 1953, 1970, 1992, 2011 (per limitarsi al bacino del Bisagno, senza parlare di altre zone altrettanto a rischio con tempi diversi). Ora dopo appena tre anni ci risiamo, complici i rivolgimenti climatici in atto a livello planetario. Non possiamo sapere quando sarà la prossima.
    È come stare sulle pendici del Vesuvio, di cui con beata incoscienza molti godono il magnifico ambiente e lo splendido panorama, pur sapendo con fatalistica rassegnazione che prima o poi il vulcano si risveglierà e allora sarà la fine per la miriade di case che ospitano circa 600.000 abitanti, che si spera riescano a mettersi tutti in salvo coi piani di evacuazione da tempo predisposti. Ma laggiù accadrà una volta soltanto, qui invece chissà quante volte ancora, con l’acqua al posto del fuoco.
    Occorre partire da questa considerazione, con realismo
    Di sicuro si deve cominciare col perseguire almeno la riduzione del danno, curando la costante manutenzione e pulizia dei greti e monitorando di continuo l’efficienza dei tombini, investendo risorse economiche innanzitutto in queste azioni minute e assai poco d’immagine, ma utili per la collettività, piuttosto che in grandi opere visionarie.
    Se i soldi non bastassero, si possono sempre coinvolgere i cosiddetti  “angeli del fango” e nuovi volontari, in ricorrenti giornate di faticosa ma gratificante festa tutti insieme non a spalare fango, ma a prevenirlo periodicamente sotto il coordinamento organizzativo dei municipi. O avvalersi – se mai sarà avviato – del  nuovo Servizio civile obbligatorio per tutti, come lo era il vecchio servizio miliate di leva, di cui si sta cominciando a parlare a livello nazionale.
    Assai più impegnativo, ma indispensabile, è il completamento dello scolmatore del torrente Fereggiano e di altri rivi, per condurli a sfociare direttamente in mare attraverso una galleria solo in piccola parte scavata e poi interrotta per intricate vicende burocratiche e giudiziarie.
    Ma poiché, come probabile, nonostante queste azioni gli eventi potranno comunque ripetersi, sia pur – si spera – con minore intensità e frequenza, è opportuno che si stabiliscano norme di comportamento per tali occasioni, da diffondere capillarmente tra la cittadinanza coinvolta affinché le faccia proprie, a partire dall’infanzia, stimolando anche la capacità di autonoma valutazione del rischio senza attendere i comunicati ufficiali. Qualcosa si era cominciato a proporre, anche con manifesti disegnati dalle scuole, ma molto resta ancora da fare.
    Rimane il problema delle attività al pianterreno, già duramente provate nel 2011 e ora di nuovo ferite in modo gravissimo, con la prospettiva di esserlo ancora non si sa quando e quante volte. Altrettanto vale per i mezzi di trasporto privati, posteggiati ovunque nelle aree inondabili.
    Quali soluzioni si potrebbero escogitare, che siano davvero praticabili e non fantascientifiche?
    Sarebbe utile oppure no scoperchiare il Bisagno nel tratto terminale fino alla Foce, come alcuni sostengono, demolendo la copertura realizzata ottant’anni fa, rifatta con gran dispendio da poco ma soltanto a metà (alta incompiuta, per un’incredibile alluvione di ricorsi in un contesto dove l’accusa di tangenti è stata tangibile)? Ce la sentiremmo di annullare un’arteria di grande traffico, vanificare quanto già speso e alterare radicalmente un compiuto e valido contesto urbano degli anni Trenta?
    Questi ed altri interrogativi possono essere materia di elaborazione per architetti, urbanisti e pubblici amministratori in diretto e costante confronto con i cittadini, con l’obiettivo di risolvere problemi vitali prima di abbandonarsi a sogni fantasmagorici e redditizi per pochi.
    Il dibattito è aperto.
    (Ferdinando Bonora)

  • OLI 319: VERSANTE LIGURE – L’URLO

    È un urlo di pioggia (in) marcia
    potente ringhioso feroce
    un urlo di fine di pace
    che l’anima e la città squarcia
    un urlo che è sempre più forte
    di pianto che cade dall’alto
    sul pianto di chi è sull’asfalto
    un urlo di male e di morte
    un urlo di stupro ambientale
    e insieme di pura Natura
    (e porta con sé più paura
    l’atroce che è naturale).
    Un urlo, d’angoscia essenza,
    di rabbia e protesta furente
    che cerca una colpa, e si sente
    che a urlare di più è l’impotenza.

    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA

    .

  • OLI 319: CITTA’ – L’alluvione e i tre metri della Regione

    Il sindaco ha fatto una figura penosa.
    Ha risposto ad uno stato di allerta costringendo i cittadini a rischio ad evacuare in zone protette.
    La città si è svuotata: strade, negozi, aeroporti, linee metropolitane totalmente deserte.
    La gente chiusa in casa, i frigoriferi pieni, in attesa del giudizio universale. Nastri adesivi a x sulle finestre, in contattato con l’esterno solo via internet o telefono.
    Chi era lì testimonia che è stata messa in moto una macchina da guerra. Chi era lì accenna all’efficienza data dalla paura, all’informazione capillare e massiccia con la quale sono stati bombardati i residenti in tutta l’area. Gli italiani in vacanza, passata l’emergenza, hanno deriso quel sindaco, pretendendo il rimborso delle notti sprecate in hotel per un falso allarme. Esaggeratoo! hanno esclamato indicando un sistema nel quale non si riconoscono semplicemente perché il fato non deve e non può essere messo in conto. Hanno ricoperto il sindaco di New York di scherno ma poi sono partiti.
    La sindaco ha fatto una figura pietosa.
    La sua macchina presa a calci è l’epitaffio ad un programma che nel 2007 aveva come titolo “Il sindaco di tutti. Marta Vincenzi”. Quei calci feriscono, insieme a lei, chi in quella promessa aveva creduto. Ma è pur vero che la “responsabilità” non può e non deve limitarsi al successo della Notte Bianca ma deve anche sapersi far carico degli eventi più tragici della città. Indagare a fondo, senza autoassoluzioni. Cercando di riflettere prima di fare dichiarazioni alla stampa.
    La mattina del 4 novembre cimiteri, parchi e passeggiate cittadine erano chiusi. Erano chiusi per un’allerta due annunciata da giorni sulla stampa. Ma le scuole erano aperte. I figli di Mario sono stati tratti in salvo dall’edificio scolastico grazie all’intervento dei pompieri. Mario e sua moglie che abitano poco distante da via Fereggiano hanno visto i loro ragazzi cinque ore dopo essersi messi in marcia per andarli a prendere. Il Comune non ha offerto loro un “servizio” ma li ha cacciati nel tunnel dell’angoscia. Con loro molti altri genitori.
    Marta Vincenzi ha dichiarato a Prima Pagina domenica 6 novembre: “questa bomba d’acqua ha ucciso le persone che passavano lì, la donna anziana e la donna con i bambini. Non c’è da pensare ad’altro, se non verificare come mai qualcuno ha consentito che si potesse uscire dalle scuole in quel momento e come mai non sia arrivata la circolare che il Comune ha fatto che i bambini stessero fino al cessato allarme dentro le scuole: questo è da verificare”.
    Per quanto riguarda il prossimo futuro lascia di stucco leggere la denuncia di Manuela Cappello e del WWF a Feruccio Sansa sul Il Fatto: “la Regione Liguria ha ridotto il limite previsto per le nuove costruzioni lungo i fiumi. Erano dieci metri, adesso sono tre. Si rischiano nuovi disastri.”
    Quattro donne e due bambine sono morte venerdì scorso. Una tragedia che non si può liquidare con frasi del tipo “E di cosa mai sarei responsabile? Del fatto che lo tsunami ha colpito la città di cui sono sindaco?”.
    Lunedì e martedì scuole chiuse.
    E i cimiteri?

    (Giovanna Profumo)

  • Oli 319: CENTRO STORICO – La grande fatica della Maddalena

    In Oli 317 avevamo riportato una testimonianza molto critica sull’efficacia dell’intervento dell’incubatore di imprese nel centro storico. L’articolo aveva ricevuto due commenti, che pur riconoscendo le difficoltà: mi sono trovato in una situazione simile l’anno scorso … problemi burocratici, di comprensione sugli intenti dei proponenti …, sostenevano l’azione positiva svolta dall’incubatore: io ho visto nascere nuove belle attività … ha sostenuto molte attività esistenti … e anche attività di animazione territoriale … L’incubatore della Maddalena c’è e lavora.

    Giovedì 3 novembre un workshop del Convegno “Eurocities – planning for people” è stato l’occasione per raccogliere qualche informazione di sintesi, che andasse oltre le singole esperienze.
    Tra il 2005 e il 2011 ci sono stati, a sostegno delle imprese, tre bandi nella zona Giustiniani, Maddalena e Pré: per imprese femminili; per imprese già esistenti; per insediamento di nuove imprese.
    Le risorse (3.350.000 €) provengono dalla legge 266/1997, cosiddetta “legge Bersani” e dal Programma di Iniziativa Comunitaria Urban 2 per ulteriori 700.000 €.
    I soldi destinati alle imprese sono stati 2.920.000, attraverso contributi a fondo perduto per la ristrutturazione dei locali (60% delle spese), e finanziamenti a tasso 0,50% per gli investimenti necessari.
    Il resto è destinato a iniziative di animazione economica e sociale del territorio.

    Nell’area della Maddalena era previsto un finanziamento di 1.698.452 €, ma di questi sono stati effettivamente impegnati 1.007.380: il 59%. Le imprese interessate all’intervento sono ventisette, di cui: otto nuove (una sola è già attiva, cinque hanno appena fatto domanda, delle altre una non ha dato corso al progetto, e una è cessata), e diciannove già esistenti (ma di cui una è cessata, e tre non hanno dato corso al progetto). Fin qui i dati.
    L’impressione è quella di una gran fatica.

    Molto tempo, lavoro, investimento, denaro e competenze, per risultati che paiono perdersi in una realtà ancora immutata.
    Ma davvero esistono alternative a questo rosicchiare poco per volta le zone di abbandono e di degrado?
    Un imprenditore che aprirà il suo negozio a Marzo evoca l’immagine di una strada “aperta di negozi dall’inizio alla fine, senza limiti di orario”, ma arrivarci è difficile.

    Le persone con cui parlo ammettono le difficoltà: molti proprietari non affidano i loro spazi all’Incubatore perché contano su maggiori possibilità speculative, e preferiscono lasciarli sfitti; gli spazi gestiti dall’Incubatore sono in genere troppo grandi, e quindi di fatto costosi, per alcune micro-attività; c’è un’esitazione comprensibile delle persone a buttarsi nell’impresa, così, uno per volta, in una via in cui lo sfruttamento della prostituzione appare come l’attività più fiorente. Qui, osservo, mi pare che il punto cruciale non sia l’utilizzo dei cosiddetti “bassi”, ma l’assenza di un’azione investigativa che colpisca quello che è evidente a chiunque passi di lì: dietro all’aumento e al continuo ricambio di giovani prostitute straniere non può che esserci un’attività organizzata di sfruttamento. Possibile che Polizia e Carabinieri non riescano a venirne a capo? Già, conferma il mio interlocutore, forse è più comodo lasciare correre.
    Intanto, una dopo l’altra, festeggiamo ogni luce che si accende.
    (Paola Pierantoni – fotografie dell’autrice)

  • OLI 319: AMBIENTE – Dà fastidio la scuola dei muretti a secco

    Disegno di Guido Rosato

    E così alla fine ce l’han fatta. Per ora.
    Sant’Ilario avrà una nuova strada: con un emendamento al Puc, presentato in Commissione Urbanistica all’ultimo momento mercoledì 3 novembre, si stabilisce che ci sarà un nuovo tracciato per servire gli abitanti delle zone alte. Peccato che gli abitanti siano poche famiglie, e che, comunque, l’Istituto Agrario avesse già dato disponibilità a cedere altri terreni pur di non compromettere il parco della scuola, Podere Costigliolo, nucleo centrale e di maggior valore del parco di pertinenza dell’Istituto.
    La sindaco si è riservata di rispondere “la prossima volta” al perché sia stata presentata quasi in sordina una “quarta“ versione rispetto a quella orginale.
    Al diavolo i vincoli culturale e paesaggistico che tutelano i beni dell’Istituto, un lascito voluto a scopi didattico-culturali; al diavolo le più elementari esigenze di sicurezza di studenti e docenti, che per recarsi da scuola alle serre per le esercitazioni pratiche dovrebbero attraversare quello che oggi è un viale privato, destinato secondo il progetto del comune ad essere tagliato in due parti, diventando di fatto una strada pubblica.
    Al diavolo il meraviglioso equilibrio di quel parco, delle sue fasce, del territorio.
    Il parere della Soprintendenza di cui si fa forte l’assessore ai lavori pubblici è solo “un orientamento di massima favorevole condizionato alla disponibilità dell’Istituto” e alla presentazione di “un piano generale dell’accessibilità dell’intero comparto – con particolare riferimento alla zona alta della collina” che giustificherebbe la realizzazione della porzione di strada, proposta dall’amministrazione.
    Ma l’Istituto è pronto da decenni, come ha costantemente ribadito, a cedere altri terreni di proprietà, in altre parti dell’abitato di Sant’Ilario, per realizzare il diverso progetto di strada che servirebbe “la zona alta della collina”.
    Questa disponibilità, apprezzata dagli abitanti di Sant’Ilario e ribadita al Comune, potrebbe finalmente risolvere la situazione per tutti, compresi i pochi che risiedono in Via Pianello.
    A questo punto la domanda è: a chi giova una strada di collegamento a terreni così poco abitati? Diverranno fra poco popolosi?
    Nel corso di quest’anno la Soprintendenza di Genova riconosce il “notevole interesse storico-artistico” del Podere Costigliolo sede dell’Istituto Agrario B. Marsano, e la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria, ne decreta “l’importante interesse culturale”.
    Intanto gli abitanti di Genova Sant’Ilario alta chiedono di migliorare la viabilità con un tracciato a basso impatto ambientale, anche per risolvere i problemi di dissesto idrogeologico, un tracciato al quale l’Istituto Marsano ha già dato in passato disponibilità e spazi: una creuza già in parte esistente a nord-ovest, non una nuova strada a sud-est, come propone il Comune, squarciando il parco.
    L’ennesimo emendamento propone un nuovo tratto di viabilità di tipo agricolo-forestale: singolare che tale viabilità venga realizzata a scapito dell’unica realtà agricola di rilievo di quell’area, che sin dal 1882 si fa carico della formazione in campo agricolo ed ambientale, e della conservazione della biodiversità. Con una scuola frequentata da centinaia di alunni, dove si insegna pure a costruire i muretti a secco, tanto importanti per il nostro territorio.
    (Bianca Vergati)


    L’articolo di Bianca Vergati ha avuto un seguito con una lettera del Collegio dei docenti dell’istituto in Oli 320.

  • OLI 319: CITTA’ – Genova 1797 & 2007

    Rapprentazioni del territorio a levante del centro di Genova, con i torrenti Bisagno e Fereggiano, a distanza di 210 anni l’una dall’altra.
    Sopra:
    dall’Album topografico di Genova e suoi dintorni, penna ed acquerello colorato, circa 1797, Genova, Collezione Topografica del Comune, inv. n. 1127 (particolare).
    Sotto:
    da Google Earth, 9 agosto 2007.
    (Ferdinando Bonora)
  • OLI 319: LETTERE – Shock economy e privatizzazione

    Terremoto dell’Aquila, aprile 2009 – Gli imprenditori embedded nell’economia dei disastri si preparano a raccogliere il bottino:
    – GAGLIARDI:..oh ma alla Ferratella occupati di ‘sta roba del terremoto perché qui bisogna partire in quarta subito… Non è che c’è un terremoto al giorno
    – PISCICELLI:… no…lo so (ride)– GAGLIARDI:… così per dire per carità.. poveracci
    – PISCICELLI:.. eh certo … Io ridevo stamattina alle 3 e mezzo dentro al letto
    – GAGLIARDI:… io pure… va buo’… Ciao.

    Alluvione Spezia e Massa, ottobre 2011 – Comunicato della Protezione Civile – 31/10/2011: “La Prefettura della Spezia rivolge nuovamente un invito a non recarsi presso i Comuni interessati dagli eventi alluvionali in quanto la presenza di volontari singoli non organizzati sta creando intralcio alle operazioni di soccorso e sgombero delle strade”.

    Shock Economy – L’ascesa del capitalismo dei disastri – Naomi Klein –RCS, 2007:
    “Date le temperature bollenti, sia climatiche sia politiche, i futuri disastri non avranno bisogno di cospirazioni segrete. Tutto lascia pensare che, se le cose restano come sono ora, i disastri continueranno a presentarsi con intensità sempre più feroce. La generazione dei disastri, dunque, può essere lasciata alla mano invisibile del mercato. Questa è un’area in cui il mercato funziona davvero.”
    La Klein, a proposito dell’uragano Katrina che nel 2005 ha spazzato New Orleans, ha ipotizzato che le autorità abbiano deliberatamente assecondato la furia della natura che, radendo al suolo l’intera area, avrebbe facilitato la delocalizzazione delle popolazioni (povere) residenti e un’imponente opera di riurbanizzazione.
    In questa alluvione ligure ho sperimentato, in una giornata trascorsa a Brugnato, (che è diverso dal generico sapere, leggere, vedere in TV) l’ovvio:

    1. massiccia presenza di imprese riconducibili ai settori della movimentazione di terra e dell’edilizia;
    2. massiccia presenza di volontariato organizzato e istituzionalizzato, che opera in coordinamento con la protezione civile;
    3. tentativo, da parte delle istituzioni, di tenere fuori i volontari-volontari;
    4. quantità smisurata di iniziative di raccolta fondi.

    Mentre si spala si argomenta, si dibatte, si delibera e uno degli esiti di tale deliberazione è stato il seguente:
    “In un’Italia di disoccupati, di occupabili, di disastri, non avrebbe maggior senso destinare alla cura del territorio lo stesso denaro che inevitabilmente viene investito “nell’emergenza”? Non di più o di meno, ma lo stesso denaro; garantendo occupazione e stabilità economica a un maggiore numero di persone?” Banale? Mica tanto.
    Se si ragiona in termini di economia dei disastri, allora il quadro diventa molto chiaro: si preferisce investire nell’emergenza perché le medesime risorse sono ridistribuite in una ristretta cerchia di soggetti, spesso ben selezionati. Socializzazione dei costi, privatizzazione dei profitti.

    “Come il prigioniero terrorizzato che rivela i nomi dei compagni e abiura la sua fede, capita che le società sotto shock si rassegnino a perdere cose che altrimenti avrebbero protetto con le unghie e con i denti”.

    Se si ragiona in termini di “shock economy”, si può ben capire il senso della proposta del senatore Grillo: l’attivazione dei privati, attraverso il project financing, per la ricostruzione delle zone alluvionate nello spezzino, in cambio dell’acquisizione di una struttura dismessa da una forza armata o di una concessione che ne preveda l’uso protratto nel tempo.
    Il senatore Grillo, naturalmente, ha già coinvolto gli americani: Milton Friedman docet.
    (Daniela Patrucco)

  • OLI 319: CITTA’ – Staglieno, la morte della decenza

    – E’ quello il tempio laico?
    – Vuole dire il container? – risponde l’uomo all’ingresso – perché noi lo chiamiamo così… – sorride sarcastico
    – Ma è terminato?
    – Sì, certo! E’ terminato. Dal progetto sembrava un’altra cosa… invece è venuta fuori quella roba lì! – Lo sguardo schifato indica la distanza non solo fisica tra lui e il grande cassone.
    La struttura, un solido triste e grigio, è priva di finestre, solo anonime porte lignee ne interrompono la monocromia avvilente.
    In quel luogo, a Staglieno, si raduneranno i congiunti di chi non si riconosce in alcuna fede. Ma ad un primo sguardo – l’interno è inaccessibile – il progetto realizzato anziché accogliere, allontana, respinge, avvilisce.
    Chi vorrebbe dare l’estremo saluto in quel capannone?
    Quale pensiero creativo ha guidato il disegno?
    E quanto sono costati progetto e realizzazione?
    Staglieno – cimitero monumentale di Genova – ha offerto a fine ottobre un’immagine generalmente piacevole. Le tombe sono cosparse di fiori ed anche quelli finti, ad una certa distanza, fanno la loro figura. Tra i viali si incontrano piccoli gruppi di visitatori che, foglietto alla mano, cercano defunti dispersi. I parcheggi attorno al cimitero sono stracolmi e i vigili vigilano. E’ un pienone di gente che non deve comprare nulla, se non fiori.
    Un pannello all’ingresso ricorda tombe storiche di eroi patri e letterati. Un’altra locandina, slogan su sfondo rosso IL COMUNE AMICO DEI CITTADINI, segnala il programma di visite guidate. E la gente fluisce leggera, chiacchiera, passeggia, pulisce le tombe come il tinello di casa e le arreda di fiori.
    Il tinello di casa, appunto.

    Perché nei servizi del cimitero di Staglieno – quelli del COMUNE AMICO DEI CITTADINI, poco distanti dall’ingresso – è meglio non entrare. Sono oltre il confine politico che indica il baratro di una gestione inconsapevole. Quella che non può o non vuole considerare che anche i cessi – non si potrebbero definire altrimenti – fanno parte del “pacchetto turistico” di uno dei cimiteri più importanti d’Europa. E forse, nell’indicare un programma di visite guidate, andrebbero presi in considerazione. Comunque – vocazione turistica a parte – dovrebbero essere mantenuti con il massimo decoro nel rispetto di chi a Staglieno si ritrova con il proprio dolore.
    Qui, tra le altre, anche la morte della decenza trova un suo spazio.
    (Giovanna Profumo)