Categoria: Immigrazione

  • OLI 324: IMMIGRAZIONE – Il decreto Salva-Italia interviene positivamente sui permessi di soggiorno

    Il decreto salva-Italia interviene anche sui permessi di soggiorno dei migranti e lo fa positivamente operando la seguente modifica al Testo Unico sull’Immigrazione: “In attesa del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno (…), il lavoratore straniero può legittimamente soggiornare nel territorio dello Stato e svolgere temporaneamente l’attività lavorativa”. La validità ai fini del soggiorno e del lavoro della ricevuta della domanda di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno diventerebbe così una disposizione legislativa. Si trattava infatti di una buona prassi adottata dal 2001 a Genova (unica città in Italia) e dal 2006 in tutto il territorio nazionale. Nel 2001 la Cgil di Genova aveva contrattato l’emanazione di tre circolari da parte dei Centri per l’Impiego, Asl e Anagrafe con le quali si disponeva la validità della ricevuta della presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno ai fini dell’avviamento al lavoro, dell’assistenza sanitaria e dell’iscrizione anagrafica. Nel 2006 l’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato emana la direttiva del 5 agosto che estende questa buona prassi a tutto il territorio nazionale.
    Con l’approvazione del decreto salva-Italia questa prassi amministrativa intelligente viene elevata al rango di disposizione di legge risolvendo non pochi problemi interpretativi che provocavano diverse applicazione. E’ significativo che questo provvedimento sia inserito nella manovra economica che intende salvare il nostro paese, i tecnici liberi da puri calcoli elettorali si rendono conto e riconoscono l’importanza del contributo del lavoro dei migranti alla crescita. Consolidando, infatti, la regolarità del soggiorno si combatte il lavoro nero dei migranti favorendo i contratti di lavoro regolari ed assicurando alle casse di stato i relativi contributi Inps, Inail, Irpef e le altre imposte.
    Ci sarebbero molti altri provvedimenti di consolidamento della regolarità del soggiorno e di ampliamento dei diritti di cittadinanza che avrebbero effetti moltiplicatori del contributo degli immigrati alla crescita del Paese, rendendolo allo stesso tempo più vivibile e civile. L’auspicio è che questo sia soltanto un primo passo nella giusta direzione.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 322: IMMIGRAZIONE – Nuovo governo, nuove politiche

    La Lega Nord è forse il partito che dal 1994 ha avuto la più lunga influenza sul governo del paese, persino più di Berlusconi: infatti, diversamente dal Polo delle Libertà, aveva appoggiato anche il governo Dini (17 gennaio 1995 – 17 maggio 1996), primo caso di “governo tecnico” interamente composto da esperti e funzionari non eletti al Parlamento. Di certo la Lega ha avuto una parte importante nel disegnare la politica migratoria del Paese, in particolare con le modifiche portate alla legge Turco – Napolitano attraverso la Bossi – Fini, il decreto sicurezza, e recentemente con il permesso di soggiorno a punti. Ciò ha avuto come risultato una politica migratoria italiana disastrosa che ha recato gravi danni al paese culturalmente, socialmente e soprattutto economicamente: impedendo il rispetto dei diritti degli immigrati e la loro integrazione ha finito per ostacolare e limitare il contributo dei migranti alla crescita del paese.Il nuovo governo del professore Monti ha istituito un ministero per l’integrazione, e soprattutto è privo dell’appoggio della Lega, potrebbe essere quindi il governo giusto per operare la svolta necessaria alle politiche migratorie del paese. Ci vogliono nuove politiche capaci di integrazione che amplino i diritti civili e di cittadinanza a partire dal diritto al voto e che diano ai migranti la possibilità di aumentare il loro già importante contributo allo sviluppo dell’Italia. Occorre, soprattutto, un provvedimento straordinario che restituisca alla regolarità ed alla legalità le persone che hanno perso il loro permesso di soggiorno negli ultimi cinque anni per motivi diversi da quelli di pericolosità sociale o di ordine pubblico.
    Occorre una nuova legge sull’immigrazione: partendo dall’abolizione di tutte le modifiche operate alla legge Turco – Napolitano per poi procedere al suo miglioramento. In particolare molta attenzione va dedicata alla regolarità dell’ingresso e al consolidamento della regolarità del soggiorno, allungando, ad esempio, la durata dei permessi (che devono avere costi “europei”), sciogliendo ogni legame tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno, e promuovendo seriamente l’ottenimento della Carta di soggiorno. Una nuova legge deve essere attenta al problema abitativo, all’istruzione universitaria e post universitaria dei figli degli immigrati ed alla lotta contro il lavoro nero dei migranti puntando sulla regolarizzazione attraverso piani permanenti di emersione che prevedano il rilascio del permesso di soggiorno al lavoratore immigrato irregolare, anche nel caso di opposizione del datore e di lavoro.
    Il miglioramento della legge Turco – Napolitano può avvenire attraverso un recepimento più generoso ed aperto di tutte le direttive europee e la ratifica della convenzione ONU, del 1990, sui diritti dei migranti.
    (Saleh Zaghloul – Disegno di Guido Rosato)

  • OLI 322: DIRITTI – Cittadinanza, in coda all’Europa

    La Francia ha iniziato ad accogliere gli immigrati negli anni quaranta del secolo scorso, cinquant’anni prima dell’Italia. Gli immigrati in questo paese dovrebbero essere molto più numerosi che in Italia, invece no, abbiamo superato, dal 2009, il numero di immigrati che ci sono in Francia. Un paradosso? No, è solo che in Francia, paese di vecchia immigrazione, i migranti diventano cittadini francesi (come negli altri paesi europei), mentre da noi rimangono per sempre immigrati. Il tasso di acquisizione della cittadinanza in Italia nel 2003 (la percentuale tra il numero dei cittadini stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza ed il numero totale di immigrati residenti) era pari a 0,9% (il più basso in Europa) contro il 4.5% della Francia, il 4.7% della Gran Bretagna ed il 7% della Svezia.   
    La nostra legge sulla cittadinanza è tra le più arretrata in Europa soprattutto perché prevale in essa l’elemento familiare (jus sanguinis), mentre l’elemento territoriale (jus soli) è molto marginale, ed anche perché non garantisce la certezza del diritto: infatti la sua concessione resta un atto discrezionale.
    Un dato del 2004 (uno dei pochissimi disponibili in rete) dice che, in quell’anno, sono state presentate 30.637 istanze di cittadinanza delle quali sono state accolte soltanto 11.934 (9.988 delle quali per matrimonio, 78,2% presentate da donne immigrate, e 1.946 per motivi di residenza).
    La riforma urgente della legge sulla cittadinanza dovrebbe prevedere che tutti coloro che nascono in Italia da genitori immigrati abbiano diritto alla cittadinanza italiana indipendentemente dalle “colpe”, dal reddito e dalla situazione di soggiorno dei genitori.
    I termini necessari alla presentazione della domanda vanno riportati da dieci a cinque anni di “soggiorno”, non di “residenza”; la precisazione è necessaria perché, in non pochi casi, occorrono fino a dieci anni di soggiorno regolare per accumulare cinque anni di residenza, a causa della poca conoscenza della burocrazia italiana da parte degli immigrati, soprattutto nei primi anni di presenza in Italia. L’acquisizione della cittadinanza non dovrebbe essere vincolata al reddito, perché così si escludono i poveri,  come accadeva secoli fa. I respingimenti delle domande di cittadinanza per motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica devono essere infine esplicitati in maniera trasparente.
    Nel caso di coniugi e genitori di cittadini italiani, regolarmente soggiornanti in Italia da un certo numero di anni e senza pendenze penali, dovrebbe essere introdotto un meccanismo che garantisca automaticamente questo diritto.
    I tempi di risposta alla domanda di cittadinanza sono attualmente lunghissimi, circa tre/quattro anni. Ci vogliono tempi più ragionevoli, e sarebbe opportuno introdurre il principio del silenzio-assenso.
    (Saleh ZaghloulDisegno di Guido Rosato)

  • OLI 321: SOCIETA’ – Il gioco delle parti

    Disegno di Guido Rosato

    Genova, lunedì 21 novembre, poco dopo le 11 del mattino.
    Il mercatino di cianfrusaglie e abiti usati che da anni si svolge tra Palazzo San Giorgio e via Turati, cambiando di continuo collocazione, oggi è lungo lo stretto passaggio sul retro del caseggiato che fa da sfondo a via San Lorenzo, sopra la stazione del metrò. Affollato come sempre di venditori e acquirenti in massima parte immigrati, ma non solo. Anche italiani vanno a cercarvi per pochi soldi vecchie cose che possono ancora tornare utili, sia pur di dubbia provenienza. Un’attività border line, ai confini della legalità o anche oltre, ma che coinvolge centinaia di persone consentendo piccoli affari sia a chi vende sia a chi compra, miseri ma sufficienti, a chi vive in condizioni di estremo disagio, per arrangiarsi e tirare avanti.

    Una vistosa contraddizione tra la città che si vorrebbe, la Genova antica dei sontuosi palazzi, dell’Expo e dell’Acquario, tutta tirata a lucido per i turisti e i suoi nuovi facoltosi abitanti, e la città quale è realmente, con evidenti sacche di malessere profondo che non possono essere affrontate dai pubblici amministratori cercando di negarle nascondendole, ma con le quali si dovrebbero avviare percorsi di confronto alla pari per elaborare insieme soluzioni.
    D’improvviso lo scompiglio: da un’estremità due carabinieri motociclisti coi lampeggianti e sirene in azione si stanno insinuando lentamente tra la folla. I venditori raccolgono da terra i lenzuoli su cui sono esposte le mercanzie, trasformandoli in sacchi che si caricano sulle spalle, e cominciano a sciamare dalla parte opposta brontolando e imprecando. Il tutto senza perder tempo, ma senza neanche troppa fretta o agitazione, come se si trattasse dell’ennesima rappresentazione di un copione già sperimentato. Qualche oggetto cade e si rompe, qualcos’altro rimane abbandonato. Nel giro di pochi istanti il “decoro” è ripristinato, anche stavolta l’azione di disturbo è riuscita. I carabinieri vincitori restano qualche minuto a stazionare in mezzo allo spazio svuotato e risanato, con intorno un folto pubblico a osservarli, costituito dalle stesse persone cacciate e da numerosi passanti incuriositi. Quindi se ne vanno.
    Nel giro di poco, una parte delle persone che erano state allontanate ritornano dov’erano, mentre altre preferiscono trasferirsi non lontano, sul marciapiede dal posteggio delle moto, al di là del vespasiano.
    Tutto torna come prima o quasi, in un grottesco gioco delle parti il cui unico esito è la percezione di una distanza abissale tra una fetta di popolazione che si sente vittima di una fastidiosa angheria e un ente pubblico che non sa far altro che esibire i muscoli – in questo caso i carabinieri – senz’altro risultato che riuscire molesto e non risolvere il problema. Per giunta con una meschina figura per la Benemerita e lo sconcerto degli spettatori che hanno assistito alla recita.
    (Ferdinando Bonora)
  • OLI 318: IMMIGRAZIONE – Caritas, 684.413 immigrati spediti nella clandestinità nel 2010

    Secondo i dati del Dossier statistico immigrazione 2011 curato dalla Caritas, sono 684.413 i permessi di soggiorno che non sono stati rinnovati nel corso del 2010. Sono persone che si erano faticosamente regolarizzate, ora trasformate in irregolari, visto che quando perdono il permesso di soggiorno non ritornano nei loro paesi d’origine ma restano qui in clandestinità a lavorare in nero. In un solo anno è stato cancellato il risultato di tre provvedimenti di regolarizzazione (o sanatorie) che hanno richiesto almeno dieci anni di tempo: c’è stata una regolarizzazione circa ogni cinque anni e l’ultima (quella di colf e badanti) ha sanato la posizione di circa 200 mila persone. In un solo anno è stato polverizzato il lavoro faticoso e molto costoso degli Uffici Immigrazione di Prefetture e Questure, dei Patronati, delle Poste e delle ambasciate.
    La crisi potrebbe aver contribuito in questo gravissimo fatto ma la maggiore responsabilità è da attribuirsi alle norme sul rinnovo del permesso di soggiorno e l’interpretazione restrittiva con la quale vengono applicate: perdere il contratto di lavoro equivale a perdere il permesso di soggiorno. La convenzione OIL n. 143/75, ratificata dall’Italia, tuttavia, dispone il contrario: “il lavoratore migrante non potrà essere considerato in posizione illegale o comunque irregolare a seguito della perdita del lavoro, perdita che non deve, di per sé, causare il ritiro del permesso di soggiorno”.
    I più colpiti sono i lavoratori dipendenti poiché le norme sul rinnovo sono più rigide. Colpite anche le famiglie, poiché il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di famiglia dipende dalla situazione del lavoratore stesso. Infatti in se il lavoratore perde il permesso di soggiorno, lo perdono i suoi familiari. Intere famiglie sono spedite nella clandestinità. Ecco i dati del Dossier Caritas in dettaglio: sono 398.136 i permessi di soggiorno non rinnovati che erano stati rilasciati per lavoro subordinato, 49.633 per lavoro autonomo, 220.622 per motivi di famiglia e 160.220 per attesa occupazione.
    Preso atto che nulla è cambiato nelle leggi e nella loro applicazione, possiamo facilmente dedurre che anche quest’anno altrettante persone sono/saranno trasformate in “clandestini”. Malgrado la crisi, alcuni settori come, ad esempio, l’edilizia, l’agricoltura e servizi hanno bisogno vitale di mano d’opera immigrata. Perché privare l’economia italiana, che ha bisogno di crescere, dalla possibilità di impiegare legalmente lavoratori che conoscono la lingua italiana e che sono già formati? A chi giova condannare oltre un milione di persone alla clandestinità e al lavoro nero? Per quale ragione viene favorita l’evasione fiscale e la concorrenza sleale a sfavore dei datori di lavoro rispettosi della legalità? A chi giova togliere ad un numero enorme di persone la possibilità di avere alcun rapporto con le istituzioni e con le forze dell’ordine in particolare, da cui sono costretti a nascondersi per non essere espulsi? A chi giova esporli a rapporti con tutti gli altri soggetti criminali che si nascondono dalle istituzioni? Tutto questo è certamente un grave danno al paese, è ingiustificabile ed irresponsabile.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 318: CITTA’ – Immigrati e casa, come passare dal sogno all’incubo

    Disegno di Guido Rosato

    Il Dossier Statistico Immigrazione, 21° rapporto della “Caritas Migrantes”, è stato presentato a Genova lo scorso Giovedì 27 ottobre.
    Sulla stampa cittadina ha trovato spazio soprattutto il tema degli effetti della crisi su occupazione e rimesse degli immigrati.
    Ora, proprio a proposito di conseguenze della crisi, nelle 500 pagine del rapporto c’è un capitolo (“Crisi economica e condizione abitativa degli immigrati in Italia”) che meriterebbe di trovare largo spazio nella discussione sulla città, in questa epoca di bilanci, progetti e PUC, alla vigilia di un appuntamento elettorale.
    Ne cito alcuni frammenti:
    “Negli ultimi anni gli immigrati sono stati una quota sempre più incisiva e vitale della domanda abitativa … sia nel mercato delle locazioni sia in quello delle compravendite”, ma: “Dobbiamo segnalare un’assenza di strumenti di welfare abitativo … oltre all’inefficacia delle politiche sociali della casa attuate in ambito nazionale e locale”.
    Gli immigrati, osserva il rapporto, sono discriminati nell’accesso ad un mercato degli affitti fortemente subalterno a quello della compravendita. In Italia “l’offerta di case in locazione è scarsa, e quella a canoni accessibili e a canoni sociali è estremamente ridotta”. La quota di case in affitto in Italia, pari al 18,8 % delle abitazioni totali “è nettamente inferiore a quella degli altri Paesi europei: Germania 57,3%; Olanda 47,3%; Francia 40,7%”.
    La quota di edilizia sociale da noi è pari al 4,5% sul totale delle abitazioni, undicesima posizione in Europa.
    In questa situazione molti immigrati hanno giocato la carta dell’acquisto, con mutui totali. Ma già dal 2008, a causa del cambiamento di strategia dei prestiti bancari, questo spiraglio si è chiuso, e gli acquisti da parte di immigrati sono scesi dal 16,7% sul totale delle compravendite nel 2007, all’8,7% nel 2010. Non solo, ma molti tra coloro che avevano tentato questa strada, si sono presto trovati nella impossibilità di pagare i mutui, per cui “Il sogno di integrazione legato all’acquisto della casa di proprietà diviene in breve tempo l’incubo dell’insolvenza”.
    Non trascurabile, in questo quadro, lo stretto rapporto dimostrato dal rapporto Caritas tra tasso di delittuosità e impossibilità di accedere a una casa.
    In Italia abbiamo quattro milioni di case sfitte, una lista di attesa per l’edilizia popolare di 650mila alloggi, e il paradosso per cui mentre “non rallentano le nuove edificazioni”, non aumenta affatto “L’offerta alloggiativa per le fasce deboli della popolazione”.
    L’assurdo di una “epocale” ondata migratoria che si andava compiendo in assenza di una politica abitativa fu inutilmente sollevato in tutta Italia dall’associazionismo dai primi anni ’90, ed è questo il tema su cui nacque a Genova l’esperienza del Forum Antirazzista.
    Nei prossimi giorni Genova ospiterà “L’assemblea annuale di Eurocities” che ha come slogan: “Planning for people”, progettare per la gente.
    Venerdì si svolgerà un dibattito sul tema: “Trasformazione urbana – impatto sulla coesione sociale e sull’immigrazione in una prospettiva mediterranea”.
    Ne verranno fuori delle idee? Per saperlo si può seguire l’assemblea di Eurocities in streaming sul sito http://www.liveurocities2011.eu/
    Queste idee si trasformeranno in politica?
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 318: IMMIGRAZIONE – Meglio in un campo di prigionia che in un CIE?

    Può un libro che narra fatti avvenuti 60 anni fa suscitare riflessioni su fatti attuali? Può accadere, leggendo I diavoli di Zonderwater, di Carlo Annese (Sperling & Kupfer, 2010): l’autore, giornalista de La Gazzetta dello Sport, descrive il campo di Zonderwater, in Sudafrica, a 43 km da Pretoria, dove, tra il 1941 ed il 1947, vissero complessivamente 94mila prigionieri italiani. Zonderwater, un altopiano disseminato di tende che diventò, nel corso di quegli anni, una vera città, dove erano funzionanti due ospedali da 3000 posti letto gestiti da ufficiali medici italiani, 15 scuole, 22 teatri, campi da calcio, da tennis, laboratori artistici, chiese, biblioteche. Grande merito di tale trasformazione ebbe il comandante del campo, il colonnello Hendrik Fredrik Prinsloo: volle che “uomini costretti all’esilio in una terra lontana lavorassero, pensassero, studiassero, giocassero, per non farsi sopraffare dalla propria condizione”. Consola leggere in queste pagine come sia stato possibile conciliare una situazione umana estrema, quale può essere la mancanza di libertà, con condizioni di vita sia materiale che spirituale, tollerabili, al punto che non mancò chi, al termine della guerra, scelse di rimanere in Sudafrica, come Gregorio Fiasconaro, cantante lirico, padre di Marcello, atleta primatista mondiale negli anni ’70.
    La dignità umana, questa la condizione che a Zonderwater fu mantenuta: venendo all’oggi, come non confrontare le condizioni offerte dall’Italia a richiedenti asilo e migranti? Come non fare un parallelo con i nostri simpatici Centri di Identificazione ed Espulsione, dove già il nome equivale ad un programma? In Italia, secondo il rapporto annuale 2011 di Amnesty International (*), “richiedenti asilo e migranti hanno continuato a essere privati dei loro diritti, in particolare per quanto riguarda l’accesso a una procedura di asilo equa e soddisfacente”, ma critiche al nostro paese sono venute anche dall’Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, dal Comitato europeo dei diritti sociali, dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa: proprio da quest’ultimo comitato arriva un appunto particolarmente pesante, l’assenza di una norma sulla tortura nel nostro codice penale: ciliegina (*) su una torta di cui possiamo essere grati ai nostri “padani”, da non confondere con la generalità dei civilissimi abitanti della pianura Padana.
    (Ivo Ruello)

    (*) http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=46728

  • OLI 316: ELEZIONI – Il candidato sindaco che voterei

    Disegno di Guido Rosato

    Il sindaco che vorrei, io cittadino immigrato che vivo a Genova da trent’anni, è quello che dà particolare attenzione al governo dell’immigrazione; che perciò tiene per sè la delega sull’immigrazione, costituendo un gruppo di lavoro di persone antirazziste, motivate, ed esperti che dipendono direttamente da lui. L’esperienza genovese ha evidenziato, infatti, che non basta più l’assessore all’immigrazione introdotto dalla giunta Sansa e mantenuto dalle giunte Pericu. Il grande lavoro svolto da queste giunte prendendo provvedimenti e realizzando iniziative molto importanti ed utili per l’integrazione stentava a crescere come avrebbe dovuto, proprio perché ciò richiedeva un forte ed autorevole coordinamento tra i vari assessori che governavano ognuno un proprio pezzo riguardante i migranti (lavoro, casa, giovani, cultura, servizi sociali).
    Il sindaco che vorrei è quello che finalmente costruisce una politica chiara del Comune sull’immigrazione. E’ necessario essere schierati per una società solidale, aperta, accogliente ed antirazzista, ma non è sufficiente. Occorre un progetto politico ed un piano di governo dell’immigrazione: quali sono gli obiettivi da raggiungere a fine legislatura? Quali sono le priorità sulle quali lavorare e su cui concentrare le poche risorse disponibili? Le priorità a mio parere sono il problema abitativo, l’integrazione dei giovani migranti e figli dei migranti, l’intercultura e la rimozione delle discriminazioni, in particolare nell’accesso ai diritti e ai servizi.
    Il sindaco che vorrei è quello che abolisce l’assessorato alla “sicurezza”, una parola d’ordine usata dalla destra per discriminare gli immigrati, copiata da una certa sinistra, nonostante ciò perdente nelle varie tornate elettorali.
    Vorrei un sindaco che si attiva fortemente anche a livello nazionale per promuovere iniziative volte a rimuovere norme sbagliate (ad esempio la tassa di 75 euro per rinnovare un permesso di soggiorno), ed introdurne delle nuove necessarie (ad esempio il diritto al voto).
    Infine trovo molte analogie tra le lotte per le pari opportunità dei migranti e delle donne, le quali, hanno una diversa e migliore sensibilità, intelligenza ed efficienza (quando sono orgogliose di tale diversità e non si sono assimilate al maschio). Perciò il sindaco che vorrei (uomo o donna che sia) è quello che riesce a dare un segnale forte sulla questione femminile, costruendo una squadra di assessori con la metà più uno fatta da donne, dimostrando così, anche, grande autonomia dai partiti. Non mi si dica che la questione non deve essere il sesso dell’assessore ma la sua competenza, siamo d’accordo, da una parte non sarà difficile per una persona che intende governare la città trovarvi le donne competenti, dall’altra deve essere chiaro che anche le donne devono avere il diritto come noi maschi ad assessori mediocri che ci sono sempre stati in tutte le giunte di tutte le città.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 315: IMMIGRAZIONE – Nazionale di calcio e sport nella società multietnica

    Disegno di Guido Rosato

    La nazionale italiana di calcio ha convocato l’attaccante della Roma Osvaldo nato in Argentina, da genitori argentini, ma con avi italiani, e il deputato leghista Davide Cavallotto ha criticato la convocazione. Osvaldo aveva però già giocato nel 2007 con la nazionale italiana di calcio Under 21, è dunque italiano fin da allora e forse ancora prima. Tutti i “buoni” calciatori italiani dovrebbero avere il diritto di essere convocati e di giocare in nazionale a prescindere dal luogo dove sono nati. Le critiche leghiste sono dunque fuori tempo, ma la cosa interessante è stata la risposta di Osvaldo: “Le critiche di qualche politico verso la mia convocazione in nazionale? Io sono più italiano di chi ha polemizzato”. Una risposta molto appropriata, è strano, infatti, che certe critiche che riguardano la nazionale italiana siano fatte da coloro che non si sentono italiani, ma si sentono di appartenere ad una fantastica nazione denominata “padania”, e che parlano continuamente di secessione minacciando l’unità nazionale. Non solo Osvaldo (che è italiano), ma moltissimi immigrati che non hanno ancora la cittadinanza italiana si sentono molto più italiani dei leghisti.
    Successivamente il deputato leghista ha dichiarato: “Non ce l’ho con Osvaldo (…) mi aspetterei che la Nazionale desse spazio ai giovani nati qui”. Che ne è dell’attività agonistica di centinaia di migliaia di giovani che vivono in Italia e che frequentano le nostre scuole ma che non sono nati qui? Che ne è di quelli nati e cresciuti in Italia da genitori immigrati e che non hanno ancora la cittadinanza italiana?
    Mauro Valeri, docente universitario – autore di “Black Italians. Atleti neri in maglia azzurra” – Palombi editore – scrive: “Le norme di gran parte delle federazioni sportive sono concepite per impedire o comunque rendere particolarmente difficile la carriera agonistica per uno straniero e per i suoi figli, pur se nati e cresciuti in Italia. Statisticamente, i ragazzi e le ragazze di seconda generazione che praticano sport, sono relativamente pochi. Una discriminazione a tutti gli effetti, che viene in genere risolta soltanto in tribunale, anche perché le federazioni la “giustificano” rimandando tutte le responsabilità all’attuale legge sull’acquisizione della cittadinanza in vigore nel nostro paese. A dire il vero, di certo gran parte delle federazioni non solo non hanno provato a cambiare la situazione, ma hanno finito per avvalorare quello che è il delirio originario: intendere la tutela dei vivai come la tutela dei soli italiani presenti nei vivai, e non come tutela di tutti coloro che sono presenti nei vivai” (www.italiarazzismo.it  9 settembre 2011). Il calcio e tutti gli sport devono essere luoghi di inclusione e non di esclusione, occorre recuperarne i valori ed i principi originari.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 314: IMMIGRAZIONE – La cattiva politica che produce boss immigrati

    Disegno di Guido Rosato

    Ha ragione Sergio Romano quando, sul Corriere della Sera dell’8 settembre, parlando delle esperienze migratorie di molto paesi europei, denuncia che “da alcune comunità straniere sono emerse nomenklature composte da persone ambiziose che aspiravano a fare dei loro connazionali una sorta di collegio elettorale e di servirsene per diventare gli interlocutori accreditati delle autorità locali. Per meglio affermare l’utilità della loro funzione ed esaltare il loro ruolo, questi boss comunitari hanno spesso cercato di sfruttare le condizioni psicologiche dei loro rappresentati accentuando ed esasperando la loro separazione dal resto della società in cui vivevano”.
    Questo è esattamente quanto sta succedendo nelle comunità immigrate italiane. Però, Sergio Romano, a mio avviso, sbaglia quando attribuisce questo alla società multietnica che egli intende come “il superamento dell’assimilazione e il consentire agli immigrati di rispettare le loro tradizioni, confessare la loro fede religiosa, conservare le loro feste comunitarie, trasmettere ai loro figli la conoscenza della lingua e della cultura dei Paesi di provenienza” .
    Non è il superamento dell’assimilazione quello che ha prodotto le nomenklature fra gli immigrati, ma una politica sbagliata che ha portato e continua a portare alla ghettizzazione degli immigrati nelle loro varie comunità. La responsabilità non è della società multietnica ma è dei governi che si sono susseguiti negli ultimi vent’anni e che non hanno fatto nulla per consentire e facilitare ai singoli cittadini immigrati di partecipare alla vita pubblica e politica e di “integrarsi” nella società italiana.
    Oltre che per l’economia, il fisco, la sanità, la scuola, l’università, la cultura e l’etica anche per l’immigrazione la seconda repubblica è stata un disastro vero e proprio: non è stato introdotto per i cittadini immigrati il diritto al voto e non è stata modificata la legge per togliere gli ostacoli all’ottenimento della cittadinanza italiana. Sono i due provvedimenti necessari e più efficaci per liberare i singoli cittadini immigrati dai boss delle loro comunità etniche e religiose e per integrarli nella società italiana senza rinunciare alla propria religione e cultura d’origine.
    (Saleh Zaghloul)