Categoria: Immigrazione

  • OLI 313: IMMIGRAZIONE – Cos’è una società multietnica?

    Disegno di Guido Rosato

    Sergio Romano è uno dei pochi intellettuali italiani che non sono scomparsi dalla scena nazionale, quelli che scrivono e pensano in maniera autonoma dal potere. Perciò ha sempre scritto cose interessanti. Già il titolo della sua rubrica sul Corriere della Sera dell’8 settembre (il multiculturalismo, quello cattivo e quello buono) è molto stimolante. C’è una grande confusione, infatti, attorno ai termini multiculturalismo e società multietnica. Se ne parla senza sapere esattamente di cosa si sta parlando. Quando il presidente del consiglio dice che è contro la società multietnica senza spiegare cosa intende per società multietnica e quando le sue parole sono trasmesse ed amplificate dai molteplici mezzi di comunicazione di massa, la confusione regna indisturbata. Una certa società è multietnica solo per il fatto che in essa ci vive un consistente numero di persone che provengono da etnie, culture e religioni diverse. L’Italia è un paese multietnico perché ci vivono più di sei milioni di queste persone. E’ insensato domandarci se siamo pro o contro questa Italia multietnica, dobbiamo invece chiederci: che tipo di società multietnica vogliamo? Vogliamo, ad esempio, una società multietnica democratica, inclusiva, aperta, oppure una società multietnica chiusa, illiberale e razzista? Una società multietnica dove vige lo stato di diritto, l’uguaglianza dei diritti, le pari opportunità, lo scambio culturale e l’intercultura o una società multietnica dove diritti ed opportunità non sono uguali per tutti e dove si vive separati in ghetti etnici, religiosi e culturali? Una società nella quale la convivenza tra diverse etnie e culture sia motivo di pace sociale o di conflitto permanente? E’ da quindici anni, almeno, che viviamo in una società multietnica, cos’aspettiamo ancora per costruirne una democratica ed interculturale? Quando iniziamo a mettere le basi legislative e culturali per costruirla?
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 312: IMMIGRAZIONE – Una tassa xenofoba sugli immigrati irregolari

    Il decreto legge 138/2011 (la manovra economica), modificata dal maxiemendamento approvato dal Parlamento, contiene una disposizione che introduce un’imposta del 2% sui trasferimenti di denaro effettuati dagli stranieri verso paesi non appartenenti all’Unione europea. Sono esentati i trasferimenti effettuati da cittadini dell’Unione europea e da cittadini muniti di matricola Inps e codice fiscale.
    Gli immigrati regolari sono tutti in possesso dei requisiti per l’esenzione e sembra, dunque, che l’obiettivo sia tassare le rimesse degli immigrati irregolari, ma non si capisce il perché. Si intende forse privare i paesi d’origine degli immigrati, in via di sviluppo, di una risorsa importante? Come si fa a dimenticare il contributo allo sviluppo dell’Italia che hanno avuto le rimesse di milioni di emigranti italiani nel mondo? Si intende forse rendere la vita ancora più faticosa agli irregolari? Ma queste persone che hanno una vita già difficile non hanno alcuna colpa per cui debbano essere puniti: l’irregolarità non è una libera scelta, sono costretti (proprio dalle politiche del governo) a vivere senza permesso di soggiorno. Comunque, non è la prima volta che le rimesse degli immigrati irregolari vengono colpite. Nel 2009 questo stesso governo, con il decreto sicurezza (legge 94/2009), aveva imposto ai gestori di “money transfer” di comunicare all’autorità di pubblica sicurezza i dati identificativi degli stranieri che effettuino invii di denaro senza esibire il permesso di soggiorno. Risultato: gli irregolari continuano a mandare i soldi nei loro paesi d’origine, ma non direttamente. Per evitare di essere identificati e conseguentemente espulsi o che sia vietata loro la prossima regolarizzazione, essi effettuano il trasferimento di denaro a nome di parenti, amici o semplici conoscenti, italiani o immigrati regolari. Da domani questi intermediari devono essere muniti anche di codice fiscale e matricola Inps. Ma se non ci sono più rimesse che vengono effettuate da immigrati irregolari, che senso ha introdurre una tassa del 2% sul nulla? Si tratta forse di un’altra svista di un governo incompetente? O forse è un altro dei “messaggi culturali” del governo Berlusconi – Lega?
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 311: IMMIGRAZIONE – Chiamateli “persone migranti”

    Foto di Giovanna Profumo

    Il procuratore capo di Savona Francantonio Granero con una circolare chiede ai pubblici ministeri e agli agenti di polizia giudiziaria di non utilizzare, negli atti giudiziari, termini come “extracomunitario” “il clandestino” “il rumeno” ecc.., che – dice Granero – hanno assunto nel corso degli anni un significato discriminatorio anche nel linguaggio comune e nella percezione di chi opera nelle istituzioni. 

    Granero chiede invece di utilizzare, di fronte a uomini e donne che non appartengono all’Unione Europea, i termini “persone migranti” oppure “cittadino di un determinato paese” solo laddove questo risulti significativo per le indagini. “Per il resto – dice Granero – si utilizzino gli stessi termini che valgono per i cittadini italiani. Raramente del resto capita di leggere “italiano investe un pedone” o “italiano sorpreso a spacciare stupefacenti in tale zona”.
    Le disposizioni del procuratore capo sono state accolte molto bene dai suoi colleghi di Savona  e dai colleghi a livello ligure e nazionale: il presidente della sezione ligure dell’Associazione Nazionale Magistrati Franceso Pinto ha dichiarato di essere totalmente d’accordo con il collega di Savona, aggiungendo che la circolare Granero “riveste anche un’importante valenza tecnica, visto che sembra uniformarsi agli indirizzi della Corte di Giustizia Europea la quale, in più occasioni, ha sottolineato come vadano eliminate anche le discriminazioni lessicali”.
    “Extracomunitario”, uno dei termini incriminati dalla circolare Granero, nasce negli anni ottanta per indicare persone non appartenenti alla Comunità europea ed è testardamente ancora usato malgrado la Comunità non esista più dal primo novembre 1993, data di entrata in vigore del trattato di Maastricht che crea l’Unione Europea.
    Con questa ennesima iniziativa i giudici italiani confermano il loro contributo concreto per l’integrazione e contro la discriminazione, un contributo che assume un’importanza enorme in assenza di quello di politici e  giornalisti (che usano spesso e volentieri tutti i termini incriminati dalla circolare). Meno male che ci sono i giudici che imponendo legalità, rispetto della Costituzione e delle leggi riescono a limitare la prepotenza dei più forti, dei più ricchi e dei razzisti.

    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 309: ISRAELE – Esportare immigrati in Australia


    Il Corriere della Sera del primo luglio, nell’articolo “Esportare clandestini: l’idea di Israele”, parla della proposta del governo israeliano a quello australiano di esportare in Australia gli immigrati africani che vivono in Israele in cambio di cooperazione tecnico–scientifica con Israele e la possibilità così per l’Australia di evitare l’obbligo umanitario di accogliere i profughi asiatici dall’afghanistan o da Timor Est. “Il governo Netanyahu – scrive il Corriere – eviterebbe (questo il vero scopo della proposta) un aumento dei musulmani nella popolazione d’uno Stato che preferisce ebraico”.
    Il carattere ebraico dello stato di Israele: uno degli ultimi pretesti che gli israeliani hanno inventato per bloccare le trattative di pace con i palestinesi ed impedire la nascita dello stato palestinese. Secondo i negoziatori israeliani non basta che i palestinesi riconoscano Israele (cosa che hanno già fatto dagli accordi di Oslo del 1993), ma occorre che i palestinesi riconoscano il carattere ebraico dello stato di Israele. I palestinesi temono che questo possa dare forza ai piani di pulizia etnica e di deportazione della “minoranza” di palestinesi che hanno la cittadinanza israeliana dal 1948. Stato confessionale dove la confusione tra nazione e religione viene accettata come qualcosa di normale, esattamente come vengono tollerate le aggressioni,  le occupazioni di territori altrui (dei palestinesi  e dei siriani dal 1967), le bombe atomiche di questo stato che si dice ebraico.
    In un altro articolo (http://mideast.foreignpolicy.com/posts/2011/07/05/the_million_missing_israelis) dell’americano Foreign Policy, del 5 luglio, si parla invece della forte emigrazione degli Israeliani per gli Stati Uniti ed altri paesi europei che coinvolge circa 800 mila – un milione di persone equivalenti al 13% della piccola popolazione israeliana. Si tratta, secondo il Foreign Policy, della parte più giovane, istruita, democratica e laica dei cittadini israeliani. Le ragioni citate dalla ricerca sono le migliori condizioni di vita, l’occupazione, le opportunità professionali, e l’istruzione superiore, così come il pessimismo sulle prospettive di pace con i palestinesi. Coerentemente con questi motivi, gli intervistati hanno frequentemente detto: “La questione non è per quale motivo l’abbiamo fatto, ma perché ci abbiamo messo così tanto tempo prima di farlo”. In questo caso la preoccupazione del governo israeliano è quella, opposta, di fermare l’emigrazione di ebrei da Israele: oltre a mettere in pericolo la purezza ebraica dello stato, la partenza degli ebrei israeliani contribuisce a minare l’ideologia sionista; se un gran numero di ebrei israeliani sceglie di emigrare, perché gli ebrei che sono ben integrati e accetti in altri paesi dovrebbero immigrare in Israele? Questo accade mentre persone illuminate di tante parti del mondo sono convinte che in Palestina sia necessario un unico stato laico, veramente democratico ed interculturale, dove palestinesi e israeliani, ebrei, musulmani e cristiani possano convivere in pace con pari diritti e opportunità
    (Saleh Zaghloul)
  • OLI 308: IMMIGRAZIONE – PD e Cgil ripartono dai giovani figli degli immigrati

    In questo mese si svolgono due feste dedicate ai giovani figli degli immigrati: la prima è organizzata dal Partito Democratico (Cesena, dal 1 al 17 luglio), la seconda è la festa dei giovani della CGIL, compresi i giovani immigrati, (Coltano, in provincia di Pisa, dal 14 al 17 luglio).
    La CGIL inoltre ha annunciato la settimana scorso l’avvio,  insieme ad altre diciannove organizzazioni, di una campagna per la raccolta di firme per due proposte di legge di iniziativa popolare su cittadinanza (che riguarda soprattutto i giovani immigrati) e diritto di voto.
    Molti di questi giovani sono nati in Italia e si sentono italiani ma si scontrano quotidianamente con una dura realtà che li esclude e li costringe, ad esempio, alla faticosa e costosa odissea del rinnovo del permesso di soggiorno. Finita la scuola, tutto sommato isola felice dell’integrazione, grazie solo all’intelligenza, alla sensibilità e alla generosità di  insegnanti e dirigenti scolastici, si trovano impossibilitati ad accedere allo studio universitario essendo per lo più figli di operai di basso reddito (colf e operai edili). Essendo inoltre esclusi, in generale, persino dai più bassi livelli di lavoro nel pubblico impiego, molti di loro sono costretti a fare i lavori dei propri genitori.
    In Italia non ci sono politiche, progetti e fondi per l’integrazione, quest’ultima è lasciata alla buona volontà delle persone, delle associazioni e del sindacato. Tra qualche anno, quando la presenza di questi giovani sarà di massa, l’integrazione sarà ancora più difficile. L’esperienza di altri paesi, ad esempio la Francia, ci dice che diversamente dai loro genitori, essi risentono fortemente l’esclusione e c’è un alto rischio di reazioni non del tutto pacifiche. Bene fanno dunque PD e Cgil a ragionare sull’immigrazione ripartendo dalle problematiche delle nuove generazioni, dal momento che sono in gioco il futuro della pace sociale e la qualità democratica del nostro paese. Oltre alla necessità di battersi per una riforma che consenta la cittadinanza automatica per i nati in Italia e per chi è da molti anni in Italia, occorre pensare a politiche capaci di garantire il diritto allo studio universitario e post-universitario ai figli dei migranti, anche tramite fondi privati costituiti a tale scopo. La mobilità sociale degli immigrati è condizione necessaria per l’integrazione e la convivenza pacifica.        
    (Saleh Zaghloul)
  • OLI 308: PAROLE DEGLI OCCHI – Tutta mia la città

    All’una di notte, in Via del Campo si gioca a dama
    Foto di Paola Pierantoni
  • OLI 303: IMMIGRATI – La circolare è buona? Allora sospendiamola..

    Molte domande di emersione dal lavoro irregolare (regolarizzazione del lavoro domestico e di cura alla persona del 2009) sono state rigettate in base ad un’interpretazione del ministero dell’interno per la quale il reato di mancato ottemperamento all’ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato è ostativo alla regolarizzazione.
    Il Consiglio di Stato con due sentenze del 2 e del 10 maggio 2011, recepisce la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE basata sulla Direttiva 2008/115/CE (Direttiva Rimpatri) ed accoglie i ricorsi contro i provvedimenti di rigetto delle domande di regolarizzazione fondati sull’interpretazione ostativa di cui sopra.  
    A questo punto il Ministero dell’Interno il 24 maggio 2011, per evitare ulteriori condanne a pagare i risarcimenti e spese processuali, emana una circolare nella quale si raccomanda agli Sportelli Unici ed Uffici Immigrazione delle Questure di cambiare interpretazione: di accogliere d’ufficio le istanze non ancora definite e di valutare caso per caso le istanze già definite su richiesta del lavoratore straniero interessato.
    Queste sagge indicazioni del Ministero dell’Interno durano solo due giorni e rischiano di sparire del tutto: una seconda circolare dello stesso Ministero del 26 maggio 2011, dispone, infatti, di sospendere temporaneamente tali indicazioni.
    Comportamento denunciato dalla CGIL e dalla segretaria confederale nazionale Vera Lamonica. Nel comunicato stampa del 27 maggio 2011 pubblicato su http://www.cgil.it/ si legge che “La sospensione di un atto, peraltro dovuto, la dice lunga sullo stato di confusione e di pressapochismo in cui ormai versa il Ministero degli Interni in materia di immigrazione. Viene spontaneo pensare anche alla consueta e propagandistica strumentalità, orientata più alla campagna elettorale in atto che alla soluzione dei problemi delle persone. Chiediamo al Ministro – conclude  – di risolvere questo stato di gestione confusionale e di ripristinare da subito diritto e buon senso”.
    (Saleh Zaghloul)
  • Oli 290: MIGRANTI – Nato in Italia, genitori stranieri, 18 anni? Attenzione …

    Foto Paola Pierantoni

    Tutti concordano (ancora a parole) che la legge sulla cittadinanza (91/92) è da riformare. Nata in piena crisi della prima repubblica non poteva che essere la più arretrata d’Europa. La legge richiede dieci anni di residenza quando negli altri paesi europei bastano cinque anni di semplice soggiorno regolare. L’aspetto più arretrato però è che si segue il diritto di sangue: soltanto chi è figlio di italiani ha diritto alla cittadinanza per nascita.

    La cosa scioccante è che fino al 1983 si seguiva il diritto di sangue maschile, ovvero solo i figli dei maschi italiani avevano il diritto alla cittadinanza per nascita. Soltanto con la riforma del 1983, i figli delle donne italiane nati da matrimoni con cittadini stranieri hanno avuto il diritto alla cittadinanza per nascita e non dovevano più fare le code davanti alle questure per il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno. Nazionalismo, autoritarismo, razzismo e maschilismo convivono felicemente e si alimentano a vicenda. Ancora più scioccante è che fino al 1975 le donne italiane che si sposavano con cittadini stranieri perdevano la cittadinanza italiana. Ci è voluta una sentenza della Corte Costituzionale (87/75) per dichiarare illegittima la norma, risalente alla legge del 1912, che prevedeva la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna.

    Dunque, oggi, i figli degli immigrati nati in Italia non hanno diritto alla cittadinanza per nascita come accade in tutti i paesi europei e in tutte le moderne democrazie del mondo. Soltanto al compimento della maggiore età, la legge in vigore prevede per loro un percorso facilitato per ottenere la cittadinanza a patto che presentino domanda entro un anno. Una finestra aperta per soli 12 mesi, compiuti i 19 anni senza aver fatto domanda, questo opportunità sfuma e si rientra nel calvario burocratico al quale sono costretti i richiedenti la cittadinanza, un odissea interminabile piena di ostacoli e varie stregonerie.

    Per questo l’assessore al welfare della regione Toscana, e contemporaneamente anche il sindaco di Reggio Emilia, hanno avviato una campagna informativa: i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, che abitano in Toscana e Reggio Emilia, e che stanno per compiere 18 anni, riceveranno una lettera che ricorderà loro la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana attraverso un percorso semplice e veloce. Col pensiero che va a chi arriva in Italia da bambino per cui i dodici mesi non esistono ed attendendo tempi e leggi migliori per questo nostro disgraziato/meraviglioso paese, proponiamo questa ottima iniziativa all’assessore regionale all’immigrazione Enrico Vesco ed alla nostra sindaco Marta Vincenzi.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 289: DAL MONDO – I flussi migratori ai tempi della caduta dei tiranni

    “Lampedusa al collasso”, “Sbarchi, scontro Ue-Italia. Maroni: arriveranno in 80 mila” sono i titoli di prima pagina de La Stampa e Repubblica di oggi. Gli sbarchi di oggi sono chiaramente legati alla caduta del regime di Ben Ali ed alla nuova situazione in Tunisia. Ma provando a ragionare con uno sguardo al domani posso dire con certezza che la caduta dei regimi dittatoriali in Tunisia ed in Egitto porterà presto a diminuire i flussi migratori verso l’Italia e l’Europa dei cittadini di questi due paesi.
    I giovani che si sono ribellati e hanno fatto cadere Mubarak e Ben Ali parlano di una situazione di brutale repressione, annullamento della libertà e forte umiliazione della dignità delle persone. Parlano di un sistema economico dove è dilagante la corruzione e dove le risorse del paese sono rubate dalle famiglie dei dittatori e dagli esponenti dei due regimi. Un sistema che rendeva sempre più povera la grande maggioranza dei cittadini. Due fattori che spingevano fortemente i giovani tunisini ed egiziani ad emigrare e fuggire dalla repressione e dalla povertà. D’altra parte, dopo la caduta di Mubarak, ho seguito su Al Jazeera i festeggiamenti che le comunità egiziane immigrate hanno svolto in tutto il mondo ed ho sentito molte persone piene di speranza che pensano ed invitano al ritorno nel loro paese d’origine ora che c’è la libertà e la necessità di ricostruire il paese.
    Per una politica seria dei flussi migratori è meglio, per l’Italia e l’Europa, appoggiare i processi di cambiamento in questi paesi aiutando l’instaurazione della democrazia e la diffusione delle libertà, condizioni necessarie per lo sviluppo economico. Appoggiare le dittature, oltre ad essere eticamente inaccettabile per chi si proclama paese democratico e civile, porta ad aumentare i flussi migratori verso l’Europa.
    I democratici negli Stati Uniti ed il loro presidente Obama hanno cambiato radicalmente la politica del loro paese: contro la guerra (di Bush in Iraq), un nuovo atteggiamento rispettoso dell’Islam e dei musulmani e la fine dell’appoggio ai dittatori. Questa nuova politica è stata fortemente confermata dalle posizioni dell’amministrazione Usa durante le crisi tunisina ed egiziana e dal grande discorso di Obama, dopo la caduta di Mubarak, nel quale ha elogiato la grande rivoluzione non violenta degli egiziani da lui indicata come esempio per i popoli che lottano per la libertà e la democrazia. L’Europa, da sempre molto sensibile a quanto proviene dagli Stati Uniti, purtroppo questa volta sembra recepire molto lentamente le novità democratiche e pacifiche di Obama. L’Italia, costretta ad occuparsi sempre più delle cose che riguardano una sola persona, fatica a capire quanto succede a Lampedusa e litiga con il nuovo governo tunisino e persino con l’Unione Europea, figuriamoci che fatica a capire quanto sta accadendo nel mondo.
    (Saleh Zaghloul)
  • OLI 285: IMMIGRAZIONE – Non si tratta di nuovi ingressi

    Alcune posizioni contrarie al decreto flussi espresse da parte di persone e associazioni amiche degli immigrati hanno suscitato perplessità. Nasconoci auguriamo dall’equivoco che si tratti di nuovi ingressi di lavoratori immigrati. In una crisi senza precedenti e in presenza di molti lavoratori italiani e immigrati disoccupati sembra illogico farne entrare altri.
    In verità non sono nuovi ingressi ma persone che sono già in Italia, costrette a lavorare in nero in quanto prive di permesso di soggiorno, per le quali il decreto flussi rappresenta praticamente l’unica speranza per uscire dalla “clandestinità”. Tutti sanno dell’assurda procedura secondo la quale i pochi fortunati che riusciranno ad ottenere il nulla osta faranno finta di non essere in Italia ma torneranno nei loro paesi d’origine, si presenteranno alle ambasciate italiane per chiedere i visti d’ingresso e rientreranno di nuovo in Italia per ottenere il permesso di soggiorno. Molti giornalisti ormai lo scrivono, ma sembra siano pochi quelli che leggono. Chi è d’accordo con i leghisti che non vogliono i decreti flussi è contrario alla regolarizzazione degli immigrati e li costringe a continuare a vivere nella clandestinità e a lavorare in nero.
    Le associazioni di volontariato, i sindacati, i democratici (persone e partiti) dovrebbero denunciare fortemente questa assurda procedura e chiedere al governo di rilasciare il permesso di soggiorno a coloro che ottengono il nulla osta e che sono già presenti in Italia, senza l’obbligo di un inutile e costoso viaggio di andata (al paese d’origine) e ritorno (in Italia). Un viaggio drammaticamente avventuroso perché alla frontiera esiste il rischio di essere espulsi proprio nel momento in cui si abbandona il territorio italiano, dopo anni di vita in “clandestinità”, di sacrifici, di speranza e di attesa dell’occasione di regolarizzarsi.
    Un altro ostacolo da superare è quello delle ambasciate: i lavoratori sperano che non siano informate della loro presenza in Italia durante il periodo di presentazione delle domande. Oltre al costo del viaggio c’è anche quello di un nuovo passaporto pulito da timbri di ingresso in Italia o nell’Europa di Schengen.
    Al limite si può sperare che succeda come dieci anni fa, quando Cgil Cisl Uil avevano chiesto ed ottenuto una circolare del ministero delle esteri (telegramma n. 4771 del 9 marzo 2000) nella quale si affermava quanto segue: “Pertanto, fin da ora, la presenza dello straniero sul territorio italiano – e più in generale sul territorio Schengen – durante l’iter autorizzativo, non costituirà più elemento ostativo al rilascio delle autorizzazioni o nulla osta previsti per il lavoro subordinato, né al rilascio dei relativi visti d’ingresso”.
    Era possibile, legale e di buon senso dieci anni fa. Oggi, con l’entrata in vigore della direttiva europea sui rimpatri che favorisce il rimpatrio volontario, lo sarebbe ancora di più. Così che il viaggio, comunque costoso e inutile, sia almeno sicuro e tranquillo. Certo che sarebbe più intelligente eliminare del tutto questo viaggio ipocrita ed ingiusto.
    (Saleh Zaghloul)