Categoria: Giovani

  • OLI 409: PALESTINA – Giovani vite perse

    Lunedi 30 giugno sono stati ritrovati nei pressi di Halhoul i cadaveri dei tre coloni ebrei scomparsi il 12 giugno scorso. Si tratta di Naftali Frankel, 16 anni; Gilad Shaer, 16 anni, Eyal Yifrah, 19 anni. I tre ragazzi erano stati visti l’ultima volta facendo l’autostop al ritorno dalla scuola ebraica Yeshiva, sita nell’insediamento illegale di Gush Etzion situato nella zona tra Betlemme ed Hebron nei territori occupati palestinesi.
    Il mondo è giustamente scioccato di fronte a tale orrore e violenza; l’uccisione di giovani ragazzi innocenti e disarmati deve suscitare dolore e indignazione.
    Ogni morte simile, soprattutto di adolescenti, non può essere giustificata per nessun motivo. Purtroppo, invece accade che alcune giovani morti passino inosservate perché non avvenute presso popoli dominanti.
    Il mondo non si è indignato per la morte di altre giovani vittime di violenza e assassinio. Ahmad Samada, 20 anni, ucciso il 15 giugno nel campo profughi di Jalazun; Muhammad Doudin, 14 anni, ucciso il 20 giugno nella città di Dura, nel distretto di Hebron; Ahmad Khalid, 27 anni, mentalmente disturbato, ucciso il 21 giugno nel campo profughi di Al Ain, Nablus; Mahmoud Tarif, 30 anni, ucciso nelle prime ore del 22 giugno a Ramallah. Ali Awr, 10 anni, morto a seguito di ferite riportate sotto un bombardamento dell’11 giugno vicino ad Al Sudania, ad ovest di Beit lahia, Gaza; Mustafa Aslan, 22 anni, colpito da proiettili il 20 giugno nel campo profughi di Qalandia; Yousef Abu Zagha, 18 anni, colpito al petto a Jenin,.
    Solo nel mese di giugno in Palestina sono state uccise 7 persone, ferite 118 e arrestate 471, inclusi 11 parlamentari. Le forze israeliane hanno effettuato 454 raid, hanno fatto irruzione in centinaia di abitazioni private palestinesi spesso con incursioni notturne, in negozi, in sedi di organi di stampa e uffici di organizzazioni della società civile.
    Il ritrovamento dei tre giovani israeliani giustificherà ancora di più la brutalità e la violenza dell’assedio israeliano nei confronti del popolo palestinese. In questi giorni si sta attuando una vera e propria “punizione collettiva”. Quattordicimila soldati sono stati mandati nelle case, nei villaggi e nelle città, distruggendo non solo le vite di innocenti, ma anche case e beni di civili.
    Il premier israeliano Netanyahu ha dichiarato che Hamas è il responsabile e pagherà. Sono stati intensificati i raid aerei sulla striscia di Gaza; non bastano le centinaia di bambini fatti a pezzi dalle bombe durante le precedenti operazioni militari a Gaza.
    Persino il ministro degli esteri, Federica Mogherini, ha espresso il suo “grandissimo dolore” per i tre giovani israeliani: “Siamo vicini a Israele in questo momento di grave lutto, voglio porgere al governo e al popolo israeliano le condoglianze mie e dell’intero governo italiano per questi omicidi che condanniamo nel modo più fermo”.

    Comprensibile essere vicini al dolore dei familiari delle vittime ma essere vicini ad un governo che dal 1967 viola i diritti umani e il diritto internazionale secondo la Corte Internazionale di Giustizia e il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e usa armi chimiche sui civili, che causano malformazioni genetiche, vietate dal protocollo di Ginevra, pare essere un’affermazione azzardata.
    E ancora una volta gli omicidi di giovani palestinesi non suscitano l’indignazione di popoli e governi internazionali. Omicidi che non saranno condannati nel modo più fermo.
    Ancora una volta nessuno esprime lutto e condoglianze a genitori le cui lacrime passeranno inosservate dalla stampa mondiale.
    (Maria Di Pietro – foto da internet)

  • OLI 407: LAVORO – Il collocamento non basta più

    La perdita di fiducia dei giovani nei confronti dei sistemi di ricerca di lavoro tradizionali è un’evidenza. Sempre più persone non si rivolgono più all’ufficio di collocamento provinciale, ma si affidano alla ricerca online via semplici annunci e utilizzando agenzie interinali, con il conseguente crollo dei diritti e delle certezze d’impiego. In Piazza de Ferrari, Andrea e Valentina inaugurano la ricerca di lavoro “sandwich”, con un cartello appeso al collo e la voglia di manifestare il proprio disappunto per una società che non è più in grado di dare futuro alle giovani coppie.

    (di Stefano De Pietro)

  • OLI 386: IMMIGRAZIONE – Il sogno americano sarà mai italiano?

    “Rachid il laureato”, titolava così pochi giorni fa Repubblica e i Tg hanno dedicato gioiosi servizi alla storia del giovane marocchino, 26 anni, arrivato quattordici anni fa con i fratelli e laureatosi al Politecnico di Torino, vendendo accendini e fazzoletti. I compagni stralunavano ad incontrarlo fuori dalle aule, ma poi è diventato uno di loro, la gioventù non è così classista.

    Un vanto per la nostra Università, frequentata da 66 mila stranieri, di cui 52 mila extracomunitari, un bel traguardo per il ragazzo immigrato e anche per il Bel Paese perché significano nuova linfa, nuovi talenti, che diventeranno parte della nostra società, così vecchia e così giovanilmente “ignorante”per competenze alfabetiche, secondo l’Ocse in coda ai Paesi occidentalizzati.
    Il Sole 24 ore, nel suo inserto di Economia e Società del 29 settembre, pochi giorni prima di Lampedusa, dedicava una pagina  “all’immigrazione che fa profitti”, gli immigrati sono anche produttori e consumatori. Provocatorio e un po’ “leghista”,  l’articolo analizzava invece pacatamente il saggio di Alvaro Vargas Llosa “Global Crossing:immigration, civilization, and America”: riguardo l’immigrazione non c’è nulla di nuovo e nulla da temere, si sottolineava, se non i luoghi comuni.
    Oggi l’immigrazione internazionale pesa per il 3% della popolazione mondiale e la questione islamica ne riguarda una percentuale modesta,  mentre l’argomento migliore su cui giocano i “chiusisti” è l’idea che la ricchezza, ovvero l’occupazione, sia una torta da fare a fette, ogni lavoro ad un immigrato sottrae pane ad un lavoratore autoctono. Ma, rileva l’autore, se così fosse, come mai negli Usa dal 1950 fino alla crisi del 2008, quando si è triplicata la forza-lavoro composta pure da tanti  immigrati, non si era mai registrato alcun aumento a lungo periodo nel tasso di disoccupazione?
    Si dirà poi che gli immigrati competono in prevalenza per lavori a bassa specializzazione, vanno a danneggiare una categoria di lavoratori fra i più deboli; ma sostiene Vargas, “gli immigrati hanno quasi per definizione spirito imprenditoriale”: un sesto delle start up  statunitensi è sorto per iniziativa di un americano di prima generazione. Cita esempi illustri, come Sergey Brin di Google, che lasciò la Russia da bambino, Pierre Omidyar, fondatore di Ebay, figlio di immigrati iraniani, Jerry Jang, di Yahoo, arrivato da Taiwan.
    Nel nostro Paese una larghissima maggioranza di nuovi imprenditori sono stranieri, anche sotto casa vediamo tanti negozi di frutta e verdura un tempo spariti e ora riaperti da immigrati, che cercano una chance di vita dignitosa, aiutano la nostra economia. Eppure in Italia ci vogliono fino a ventiquattro mesi per ottenere lo stato di rifugiato, e aridi, realistici conti rilevano che un rifugiato costa trenta euro rispetto ai centosedici di un detenuto.
    Curiosamente, nell’Europa, che pure considera la libertà di movimento uno dei suoi pilastri, solo un europeo su dieci è nato da genitori stranieri: al di là della pietas per il cimitero del mare, forse siamo noi del civile Antico Continente i veri chiusisti.
    (Bianca Vergati – foto di Giovanna Profumo)

  • OLI 379: TEATROGIORNALE – Accerchiamento

    Da repubblica.it: Disoccupazione giovanile, Mario Draghi: “Minaccia per la stabilità sociale”

    Autobus numero 20, città di Genova, 24 maggio 2013, ore 13.30.
    Due signori coi baffi, la camicia e il cappello. Corpulenti e non più giovanissimi sono seduti in fondo, sopra la ruota di sinistra guardando il guidatore. Uno dei due signori si protegge col palmo della mano destra il braccio mentre una borsa lo aggredisce. Si gira verso l’altro signore, si riconoscono e si sorridono.
    A -Classe 36
    B -Classe 41
    A -Un ragazzo!
    B -Ma mio fratello è del 36. Io sono il più giovane.
    L’autobus si ferma, dei ragazzi entrano ridendo: ridono perché c’è puzza di pollo, ridono perché c’è caldo mentre stamattina c’era freddo, ridono perché non riescono a timbrare il biglietto.
    A -Siamo accerchiati
    B- Aumentano sempre di più
    A- Se dovessero uscire tutti assieme, se dovessero organizzarsi e andare tutti per strada, in una stessa piazza, ci annienterebbero.
    B – Per fortuna che non si riproducono.
    A- Crede? A me sembra che si stiano riproducendo, vedo carrozzine ovunque, donne con la pancia che pretendono il mio posto sull’autobus.
    B -E che poi non c’è lavoro e quindi vanno a rubare
    A-O a drogarsi.
    B -E gli aperitivi? Se vede queste ragazzi, bevono e mangiano schifezze.
    A-E poi si vanno a drogare.
    B-Tra un po’ non si potrà più girare per la strada. 
    A-Certo, vorranno le nostre pensioni, le nostre case.
    B-Io ho sempre lavorato, mentre questi non lavorano e vorranno anche una pensione?
    A-O una casa?
    B-Come possono fare figli senza una casa?
    A- Senza un lavoro?
    B- Infatti secondo me, ché ché ne dica lei, non si riproducono… poi muoiono per le droghe, gli incidenti stradali e queste nuove malattie. Moriranno prima di noi.
    Due ragazzine poco più che tredicenni salgono sull’autobus. Una ha la pelle olivastra e parla velocemente, è un po’ gonfia come succede a molte neo adolescenti, ha i capelli neri e spessi tirati in una coda, una gonna jeans grossa e lunga fino a sotto il ginocchio, ha una giacca chiara di maglina e sotto una maglietta viola. La compagna è magra e vestita di chiaro, il suo inizio di adolescenza è accompagnato da una leggera peluria sopra il labbro. Parlano fitte fitte di qualche professore che si è arrabbiato per via di un’uscita al bagno. Non sono belle, sono in quell’età di mezzo in cui sono brutte sia come bambine sia come ragazze. E forse per questo ambigue. I due vecchi le guardano, intravedono quei seni acerbi, quei gesti a volte disordinati altre civettuoli.
    B- A dire la verità lo spero.
    A- Cosa?
    B- Che muoiano.
    Una delle due ragazze ridendo cade pesantemente addosso al vecchio più vicino. Subito si rialza preoccupata.
    B – Ma no, la prego, si sieda signorina, io tanto scendo tra due fermate.
    Le adolescenti rifiutano una volta, alla seconda prendono il posto del vecchio, una seduta sull’altra. Il vecchio sorridendo le guarda, gli occhi appesi a quelle scollature da educande. Le ragazze continuano a ridere di non si capisce bene di cosa, forse di niente, forse del volto del vecchio in piedi che ha distolto l’attenzione dalle loro magliette per guardare il soffitto dell’autobus, la bocca stravolta e un braccio sul cuore.
    Il vecchio è rigido e alla prima curva cade sbattendo la testa.
    (Arianna Musso – Foto da internet)

  • OLI 362: VOTO ALL’ESTERO – Diritto negato a temporanei e precari

    Forte la polemica in questi giorni sugli studenti Erasmus lontani dall’Italia che non possono votare, mentre ancora si rabbrividisce al ricordo dei pasticci dei parlamentari eletti all’estero con la giustissima legge voluta da Pino Tatarella, che colmò un vuoto legislativo davvero indegno. Su modello anglosassone con il Decreto-legge 18 dicembre 2012, n. 223 si è ampliata ulteriormente la platea degli elettori e così alcune categorie di cittadini residenti temporaneamente all’estero e ai quali non è richiesta l’obbligo di iscrizione all’Aire, Anagrafe italiana residenti all’estero, possono votare per corrispondenza.
    “Le categorie individuate sono: appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia temporaneamente all’estero in quanto impegnati nello svolgimento di missioni internazionali; dipendenti di amministrazioni dello Stato, di regioni o di province autonome, temporaneamente all’estero per motivi di servizio, qualora la durata prevista della loro permanenza all’estero sia superiore a tre mesi e inferiore a dodici mesi i loro familiari conviventi; professori e ricercatori universitari che si trovano in servizio presso istituti universitari e di ricerca all’estero per una durata complessiva di almeno sei mesi e non più di dodici mesi che, alla data del Decreto del Presidente della Repubblica di convocazione dei comizi, si trovano all’estero da almeno tre mesi, nonché, qualora non iscritti nelle anagrafi dei cittadini italiani all’estero, i loro familiari conviventi.” 
    E tutti gli altri? Lodevole la legge, ma assolutamente discriminante, infatti dai “temporaneamente all’estero” sono esclusi non soltanto gli Erasmus, ma tutti i cittadini italiani che sono fuori dall’Italia, come ad esempio i ragazzi che frequentano corsi di studio più lunghi di un Erasmus, durevole al massimo un anno, ma anche coloro che sono andati via perché nel nostro Paese non hanno trovato lavoro e magari sono partiti per una sistemazione precaria, un contratto a termine, una chance altrove.
    In realtà iscriversi all’Aire sarebbe obbligatorio, trascorsi tre mesi dall’arrivo in un altro Paese, ma molti non lo fanno e non per una mera questione di tasse, bensì perché si viene cancellati automaticamente dall’assistenza sanitaria nazionale quando si comunica al proprio Comune la diversa residenza: se si rientra in Italia si ha diritto all’assistenza sanitaria per 90 giorni e soltanto per cure urgenti, salvo ricambiare la residenza. Tutto ciò se non si ha distacco per lavoro, un lavoro ufficiale, certificato da un’azienda e se si è nei paesi Ue o in Paesi che prevedono accordi sanitari: se si ha bisogno meglio presentare il proprio tesserino Asl e basta.
    Almeno in Europa, altrove il Ministero degli Esteri consiglia “la stipula di un’assistenza sanitaria privata”. Quanti sono in realtà gli italiani all’estero che non sono dichiarati con lo status di “emigranti”? Una marea e tantissimi sono i giovani, che vagano per un lavoro o per studio e non certo per turismo. Ma il loro voto non interessa alla politica, che ne fa un gran parlare ma non li considera ”cittadini aventi diritto al voto”. Se ne sono dimenticati, anche se ora farebbero comodo almeno un po’ di migliaia di voti in più.
    (Bianca Vergati)
  • OLI 360: POLITICA – Le retour de la momie

    Le retour de la momie.
    Crudamente titola così Libération alla notizia della ricandidatura di Berlusconi, un evento che ha scorato tantissimi italiani, ma non tutti, visti i sondaggi di lunedì 11 dicembre su La7. Per il Popolo della Libertà c’è stato nel giro di pochi giorni un aumento dell’uno per cento e spiccioli, pur sempre significativo. Dunque una fetta d’Italia crede ancora al Cavaliere, mentre due terzi dell’elettorato di destra pensa, sempre secondo il servizio di Otto e mezzo de La7, che  “B. potrebbe risollevare le sorti e ritiene che non ci siano altri che lo possano fare, anche se crede che sia troppo tardi, il Paese è cambiato, ormai non è più il tempo”. Ok è il mese dell’Imu, ma inquieta non poco.
    “Allora mamma, sei contenta di poter votare di nuovo il tuo cavaliere?”.
    Ecco il saluto di mio figlio su Skype, citando il “Mamma mia ritorna” dell’Economist. Lui, giovane ingegnere che lavora all’estero, ragazzo di 25 anni, che frequentava le elementari quando vide per la prima volta il “faccione” di Berlusconi sui manifesti giganti lungo la strada per la scuola, una scuola che gli regalava un po’ di vacanze per le elezioni, una consuetudine di tutti gli anni o quasi, come imparò da studente.
     Lo stesso ragazzo entusiasta di poter votare on line per le Primarie del centrosinistra: un piccolo tamtam, più che altro un ping pong fra amici per avvisare che loro dall’estero avrebbero potuto votare sin dal sabato, non soltanto la domenica come in Italia. Da Londra, dove ha vinto Renzi, da Bruxelles, che ha visto Bersani vincitore, da Parigi che ha incoronato Vendola. Pochi voti ma importanti.
     Non più sorrisetti come un anno fa, battutone non appena si parlava d’Italia, ma voi avete Ruby, l’han votato in Parlamento e poi la dacia e le ragazze, le televisioni del cavaliere: un tormento e una resa senza storia, inutile ribattere che non tutti tifavano per B., come non tutti impazziscono per il Milan.
     Vent’anni sono una vita: era da poco caduto il muro di Berlino, è arrivato internet, gli americani hanno eletto e rieletto un nero a presidente degli States, poi c’è stata la primavera araba… E noi? Ancora lui, il Berlusca. Domenica scorsa il giovane emigrante è stato da Cécile, tirocinante francese insegnante di lingue, per il suo flat warming, ovvero la festa d’inaugurazione dell’appartamento, preso con un gruppo di amici, tra cui Giovanni, architetto valdostano, partito dall’Italia con EurOdyssée, programma di scambio tra regioni europee per giovani lavoratori e Nicola, matematico da Forlì.
     “Ancora?” commentavano, rabbrividendo ai titoli dei media planetari.
    Quasi centomila le nuove iscrizioni all’Aire già a giugno di quest’anno, secondo Rapporto Migrantes, italiani all’estero che cercano chance altrove, hanno nel cuore l’Italia e tante sono le Associazioni dai diritti ai talenti, dalla Nave di Barcellona a Fonderia Oxford, a InnovItalia: quando li senti parlare sono felici dell’esperienza all’estero, da chi ancora studia, da chi già lavora, da chi racconta i benefit se hai figli piccoli. In tutta Europa, negli States, ma anche in Australia, risorse umane che l’Italia sta regalando al mondo.
     Chissà se riusciranno a tornare prima o poi, senza rivedere e risentire l’intramontabile Berlusconi: ma chi l’ha detto che vecchio è prezioso sempre?
    (Bianca Vergati – immagine di Guido Rosato)

  • OLI 353: LAVORO – Il precario e il peperoncino

    “Vorrei almeno un orologio a tempo indeterminato”: nella vignetta di Massimo Bucchi su Il Venerdì di Repubblica del 5 ottobre scorso, queste sono le parole pronunciate da un giovane dall’espressione sconsolata, con il mento posato sul braccio, mentre il viso è illuminato da una luce quasi caravaggesca. Le parole mi tornano in mente nel pomeriggio, quando una persona suona alla porta di casa per proporre il passaggio ad un nuovo fornitore di energia: venticinque anni circa, toscano, convincente e simpatico ma senza esagerazioni, nel complesso risulta piuttosto efficace. Durante il nostro colloquio, viene chiamato due volte al cellulare, la prima volta dal capo, la seconda volta dalla fidanzata, con la quale sta condividendo il lavoro porta a porta: è piuttosto agitato, mi confida, perché nel pomeriggio sta recuperando il lavoro non svolto durante la mattinata, “ero sconvolto, ho dormito malissimo dopo aver mangiato, ieri sera, venticinque peperoncini piccanti”. Penso ad una serata tra amici, forse una sfida, invece no: ha partecipato ad una gara in cui chi avesse mangiato il maggior numero peperoncini nell’arco di due minuti si sarebbe aggiudicato la vittoria. Commento che non è stata una iniziativa molto assennata, ma il ragazzo risponde che c’erano 150 euro in palio, e a lui, venditore di contratti porta a porta, facevano comodo, anche se ha dovuto pagare il prezzo di una brutta nottata.
    Il peperoncino piccante, ricco di vitamina C, ha potere antiossidante, facilita la digestione, può essere utile nella cura di raffreddori, o come antidolorifico per le artriti: il capsicum, nome scientifico del peperoncino, deve queste virtù alla presenza in quantità più o meno elevate di un composto chimico di nome capsaicina. Ma la capsaicina può anche essere letale, se ingerita in dosi elevate (13 gr per una persona di 70 Kg).
    Non so valutare quanta ne potessero contenere i 25 peperoncini divorati per conquistare il premio, credo non tanta da rischiare la vita, ma, alla prova dei fatti, abbastanza da far stare male. Che malinconia!

    (Ivo Ruello)

  • OLI 341: ELEZIONI – Cercare il futuro a Genova

    “Cerchi lavoro? Non dire che sei laureato”, è il titolo del servizio su Il Secolo XIX di martedì 1 maggio, storia di un venticinquenne disoccupato, con tesi in Diritto Internazionale, plurilingue, che in un mese a Genova non ha avuto nemmeno una risposta alle sue domande di lavoro.
    Caso mai un’offerta nel terziario, per intenderci al 75 per cento cuoco o cameriere stagionale.
    Recita l’Agenzia dell’Onu, insieme all’Istat che la disoccupazione giovanile ha raggiunto in Italia il 35,9 per cento, mentre sono un milione e mezzo quelli che in generale non cercano lavoro.
    Tema ineludibile di questi tempi l’occupazione, con uno sguardo a chi il lavoro lo ha perso, lo cerca o lo dovrà cercare, ovvero un’emergenza che dovrebbe riguardare in primis i giovani.
    Il Governo ha proposto l’avvio di un’impresa di un giovane ad un euro, averceli però gli altri soldi che servono, chiedilo alle banche.
    Anche alla festa del Primo Maggio si è fatto un gran parlare dei giovani, a cui la politica dedica ultimamente fiumi di discorsi, li sbandiera nelle liste e nei comizi. Paiono panda dello zoo, ma che vuoi, i panda mangiano soltanto germogli di bambù e allora sono difficili da preservare, in fondo in fondo anche un pochino ingombranti. Così i ragazzi d’oggi nella testa di tanti che giovani non lo sono più, che dicono ai miei tempi eh, bei bamboccioni che vogliono anche il posto e non si danno da fare. Sovente si evocano gli anni del dopoguerra, del boom, gli anni ’70.
    “Ci uniscono le storie, la Storia”… ma non si dice che noi “anta” ci siamo mangiati il futuro.
    Pure il Presidente della Repubblica ha detto basta nostalgie.
    Intanto nella campagna elettorale per il Comune la parola lavoro pare un mantra. Un mantra monco, la dicotomia dovrebbe essere “lavoro-giovani”.
    E’ vero, un sindaco non può fare più di tanto per l’occupazione, magari può favorire le aziende per gli spazi sul territorio, nel rispetto di ambiente e cittadini, con una mobilità efficiente, una burocrazia virtuosa o sinergie fiscali con le altre Istituzioni.
    I candidati-sindaco vanno in giro ad ascoltare però la gente più disparata, dai lavoratori in cassa integrazione, ai famigliari dei malati, ai protestatari del parcheggio o dell’inquinamento acustico e ambientale, il verde, i buchi delle strade. Tutti argomenti che hanno la loro importanza nella quotidianità, portati però a volte in primo piano da alcuni che la loro parte di vita l’hanno già avuta. Meno male che c’è chi dedica spazio e ascolto agli invisibili, agli ultimi, che pure non sono pochi.
    Ma all’ascolto dei giovani chi ci va?
    Solo i candidati sindaco del Movimento Cinque Stelle e della Lega Nord erano presenti in prima persona martedì 24 aprile al Ducale alla Consulta degli studenti, con centinaia di ragazzi, neanche i media hanno dato peso alle assenze, menzionato l’evento.
    Il futuro non appassiona neanche un po’, la nostra è malinconicamente una città di vecchi, mentre stanno sparendo delle generazioni.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 315: IMMIGRAZIONE – Nazionale di calcio e sport nella società multietnica

    Disegno di Guido Rosato

    La nazionale italiana di calcio ha convocato l’attaccante della Roma Osvaldo nato in Argentina, da genitori argentini, ma con avi italiani, e il deputato leghista Davide Cavallotto ha criticato la convocazione. Osvaldo aveva però già giocato nel 2007 con la nazionale italiana di calcio Under 21, è dunque italiano fin da allora e forse ancora prima. Tutti i “buoni” calciatori italiani dovrebbero avere il diritto di essere convocati e di giocare in nazionale a prescindere dal luogo dove sono nati. Le critiche leghiste sono dunque fuori tempo, ma la cosa interessante è stata la risposta di Osvaldo: “Le critiche di qualche politico verso la mia convocazione in nazionale? Io sono più italiano di chi ha polemizzato”. Una risposta molto appropriata, è strano, infatti, che certe critiche che riguardano la nazionale italiana siano fatte da coloro che non si sentono italiani, ma si sentono di appartenere ad una fantastica nazione denominata “padania”, e che parlano continuamente di secessione minacciando l’unità nazionale. Non solo Osvaldo (che è italiano), ma moltissimi immigrati che non hanno ancora la cittadinanza italiana si sentono molto più italiani dei leghisti.
    Successivamente il deputato leghista ha dichiarato: “Non ce l’ho con Osvaldo (…) mi aspetterei che la Nazionale desse spazio ai giovani nati qui”. Che ne è dell’attività agonistica di centinaia di migliaia di giovani che vivono in Italia e che frequentano le nostre scuole ma che non sono nati qui? Che ne è di quelli nati e cresciuti in Italia da genitori immigrati e che non hanno ancora la cittadinanza italiana?
    Mauro Valeri, docente universitario – autore di “Black Italians. Atleti neri in maglia azzurra” – Palombi editore – scrive: “Le norme di gran parte delle federazioni sportive sono concepite per impedire o comunque rendere particolarmente difficile la carriera agonistica per uno straniero e per i suoi figli, pur se nati e cresciuti in Italia. Statisticamente, i ragazzi e le ragazze di seconda generazione che praticano sport, sono relativamente pochi. Una discriminazione a tutti gli effetti, che viene in genere risolta soltanto in tribunale, anche perché le federazioni la “giustificano” rimandando tutte le responsabilità all’attuale legge sull’acquisizione della cittadinanza in vigore nel nostro paese. A dire il vero, di certo gran parte delle federazioni non solo non hanno provato a cambiare la situazione, ma hanno finito per avvalorare quello che è il delirio originario: intendere la tutela dei vivai come la tutela dei soli italiani presenti nei vivai, e non come tutela di tutti coloro che sono presenti nei vivai” (www.italiarazzismo.it  9 settembre 2011). Il calcio e tutti gli sport devono essere luoghi di inclusione e non di esclusione, occorre recuperarne i valori ed i principi originari.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 314: INFORMAZIONE – Festival di Internazionale, il mondo in un programma

    Disegno di Guido Rosato

    Il programma è talmente ricco di incontri che per seguirlo si è a rischio bulimia. Anche la selezione mattutina degli eventi, pianificati con rigore a colazione, nasconde amare sorprese. Soprattutto se per entrare bisogna munirsi,  un’ora e mezzo prima dell’incontro, di un tagliando che sparisce tra le mani di chi, astutamente, si è presentato con maggior anticipo.
    Ferrara è città evento, e se il turismo culturale in Europa è tendenza moda, al Festival di Internazionale, il concetto prende forma in tutta la sua inquietante bellezza.
    Dal 30 settembre al 2 ottobre la città ospita giornalisti da tutto il mondo.

    Il centro storico di Ferrara si gonfia di pubblico, soprattutto giovani che, programma giallo alla mano, corrono da un’incontro all’altro. O si incagliano pazientemente in code interminabili.
    Agli appuntamenti si parla di G8 dieci anni dopo, Darfur, Cremilino, Afghanistan, Africa, primavera araba, Giappone. Ma anche di donne, anoressia, mafia, precariato, blog. E il dubbio che ci sia davvero troppo diventa certezza quando si prende atto che tre appuntamenti in contemporanea non si possono seguire.
    La ragazza dell’info-point spiega paziente al signore avvilito: “Lo so che ci sono troppi incontri! Ma c’è anche moltissima gente… E se ci fossero pochi appuntamenti, non ci sarebbe posto per tutti…”
    Mentre un’escursionista storica del festival suggerisce: “Bisogna scegliere le piccole cose… lasci stare gli eventi con tagliando”.
    Agli incontri Claudio Rossi Marcelli racconta di come è diventato genitore insieme al suo compagno. Michael Anti, giornalista e blogger cinese, illustra il controllo totale della rete sotto il regime comunista e di come il potere di stato sui server spenga sul nascere qualsiasi rivoluzione. Guido Scarabottolo, illustratore delle copertine di Guanda, si racconta a Goffredo Fofi, mentre i disegni vengono proiettati in un grande schermo dietro lui.

    Giornalisti stranieri riflettono e portano l’esperienza dei paesi d’origine, dalle interviste ai talebani al racconto dei nuovi gruppi di potere del pakistano Rahimullah Yusufzai, alla spiegazione della giornalista finlandese Liisa Liimatainen sul perché le donne del suo paese non conoscano discriminazione; allo stesso incontro – dal titolo Donne di tutta Europa unitevi! – moderato da Maria Nadotti, parlano Antoinette Nikolova, giornalista bulgara, Irene Hernández Velasco, giornalista di El Mundo, ma anche il giornalista di Le Monde, Philippe Ridet. Ed ognuno ha donne diverse da raccontare che si muovono in spazi legislativi e storici differenti.

    Piazza da comizio all’incontro sulla generazione precaria con Susanna Camusso, domande via sms in diretta dai giovani partecipanti, tutti con le idee molto chiare, ma in pochi a conoscere il Nidil, categoria delle Nuove Identità di Lavoro della Cgil, che si propone di proteggerli ma che deve fare ancora molto per aggregarli.
    Imperdibile la mostra “Il male non è morto” con le false prime pagine del settimanale satirico, pubblicato tra il 1978 e il 1982. Risate intatte da un passato così distante.
    (Giovanna Profumofoto dell’autrice)