Categoria: Lavoro

  • OLI 429: (BUONA?) SCUOLA – La triste parabola dei docenti potenziati, da risorse a tappabuchi

    OLI 429: (BUONA?) SCUOLA – La triste parabola dei docenti potenziati, da risorse a tappabuchi

    Lo scorso autunno quarantottomila precari sono entrati in ruolo a ricoprire, per la prima volta, il ruolo di “organico di potenziamento”.
    Cosa significasse, nel momento in cui hanno preso servizio, non lo aveva ben chiaro nessuno. Non lo sapevano loro, che arrivavano ad anno iniziato spesso da migliaia di chilometri di distanza, così come non lo sapevano i dirigenti, che si sono trovati nuovo personale da gestire quasi piovuto dal cielo, a volte non corrispondente alle classi di insegnamento di cui avevano fatto richiesta. Neppure il Contratto Nazionale di categoria prevede ancora la figura dell’organico di potenziamento, quindi non ne definisce espressamente compiti o mansioni
    L’anno scolastico è quasi finito, ormai: i giorni sono trascorsi eppure il mistero è rimasto nella maggior parte dei casi irrisolto: di cosa dovrebbero occuparsi i docenti di potenziamento? Come mai stazionano in sala professori, o vorticano tra una classe e l’altra?
    Nell’idea della legge, gli obiettivi didattici dei docenti di potenziamento sono nobili e a largo spettro di interventi. La legge li elenca puntualmente: la valorizzazione e il potenziamento delle competenze linguistiche, dell’italiano, inglese e delle altre lingue dell’Unione europea, il potenziamento delle competenze matematico-logiche e scientifiche, della pratica e della cultura musicale, dell’arte e della storia dell’arte, del cinema e dei media di produzione o diffusione delle immagini e dei suoni. Nella legge 107/15 ( ecco il riferimento al testo della Buona Scuola riportato sulla Gazzetta ufficiale: http://goo.gl/20xLCs ): si auspica il coinvolgimento di musei ed altri istituti pubblici, lo sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva e democratica, il rispetto della legalità e della sostenibilità ambientale, la prevenzione della dispersione scolastica e del bullismo, l’alfabetizzazione all’arte, l’incremento dei progetti di alternanza scuola-lavoro, l’apertura pomeridiana delle scuole, l’alfabetizzazione dell’italiano come lingua seconda, lo sviluppo di uno stile di vita sano.
    Le intenzioni dunque sono encomiabili e permetterebbero molteplici interventi.
    In realtà, le scuole, nel momento in cui si sono trovate a ricevere i docenti di potenziamento, non erano pronte, non c’erano progetti  mentre le linee guida della legge 107/15, che permettono di utilizzare i docenti in “autonomia” per le supplenze brevi, hanno avviato la pratica di usare l’organico di potenziamento quasi esclusivamente come tappabuchi, girovago di classe in classe, per coprire le assenze dell’ultim’ora ad opera dei colleghi.
    Quindi, in sostanza, in grande percentuale, l’organico di potenziamento è rimasto a bivaccare per i corridoi o nelle sale professori, mortificato nell’attesa di “poter tornare utile” e percependo, comunque, lo stipendio seppure costretto nella frustrante sensazione di far nulla. Talvolta la partecipazione a progetti è stata anche limitata dal desiderio, da parte della dirigenza, di avere a disposizione persone sempre libere, che potessero far risparmiare le supplenze dell’ultima ora ai colleghi di ruolo.
    Anche il Ministero ha recepito il malcontento e la cattiva gestione dell’organico potenziato ( Orizzonte scuola: http://goo.gl/TsSENl ), che ha portato frustrazione tra i neoassunti e massiccio, inutile spreco di soldi pubblici, impiegati nello stipendiare persone che poi, per incapacità, volontà o forza maggiore, sono state lasciate per lo più inattive (Orizzonte scuola: http://goo.gl/ZSm9Dn ).

  • OLI 424: COMUNE – La voce umana

    “Benvenuti nel centralino automatico del Comune di Genova. Per ricerca cognome e nome, dica o prema: 1; per gli uffici comunali: 2; per centralino: 3; per parlare con l’ufficio relazioni con il pubblico: 4”.
    Così risponde da anni una voce meccanica a chi si avventura nella composizione dello 010557111.
    Se si commette l’errore di fidarsi della macchina invece di interrogare subito un essere umano e si dice o preme 1 oppure 2 (ricevendo un messaggio di sollecito, se non si è immediatamente pronti all’azione, che al seguente tentativo fallito si trasforma in un perentorio: “Non è stata effettuata nessuna selezione valida. La ringraziamo per aver
    chiamato” e la comunicazione si chiude), scatta l’invito: “Prego, pronunci chiaramente il cognome, seguito dal nome”. Nonostante ci si sforzi di scandire al meglio il nominativo cercato, raramente si è indirizzati ad esso: può capitare che l’automatismo capisca male e proponga il collegamento con un altro tra le migliaia di dipendenti, oppure, assai più spesso, che non capisca del tutto e chieda di nuovo “Può ripetere, per cortesia?”.
    Al secondo tentativo, la capitolazione: “Attenda, prego: la sua chiamata sta per essere trasferita a un operatore del centralino”.
    Entrati finalmente in contatto con una voce umana dopo aver perso tempo che a volte può essere prezioso, prima di chiedere il contatto cercato non si può resistere alla tentazione di domandare irritati di disattivare l’automatismo e a questo punto accade inaspettato il prodigio: nella persona dell’operatore, l’istituzione si mette davvero a dialogare col cittadino, non come entità astratta ma come organismo composto da uomini e donne che vi lavorano nell’obiettivo condiviso – si spera – di gestire la città nell’interesse di chi la abita, sia pur non senza conflitti e contrasti al proprio interno.
    Nel mio caso, all’altro capo del filo è una pacata signora (ma potrebbe essere un maschio) che inizia a colloquiare precisando con gentilezza che non è la prima volta che riceve tale richiesta e che i suoi superiori, responsabili del servizio, sono informati del disagio espresso da alcuni utenti. Ci intratteniamo in una brevissima ma confortante conversazione su certe contraddizioni e arroganze di cui siamo vittime entrambi. Prima di inoltrare la mia chiamata mi fornisce di sua iniziativa il numero interno cercato, nel caso fosse stato occupato o assente, per poterlo richiamare direttamente senza dover ripercorrere la snervante trafila.
    Ci salutiamo con simpatia e le auguro buon lavoro.
    Qualche riflessione: il Comune di Genova è soltanto uno dei molti enti pubblici e privati che da tempo ricorrono a tali marchingegni per ridurre i costi del personale addetto, con criticità analoghe. Lo stesso vale per altri servizi, come ad esempio l’automatizzazione della riscossione dei pedaggi autostradali e dei ticket sanitari o dell’emissione dei biglietti ferroviari, con macchine che non di rado vanno fuori uso o semplicemente mettono in difficoltà gli utenti meno avvezzi a tali innovazioni.
    Ne vale davvero la pena?
    Senza voler essere luddisti, è impagabile sentire una voce uscire non da un altoparlante ma da una bocca, scambiarsi uno sguardo, due parole, un saluto, anche nell’asetticità di un rapporto professionale ma pur sempre fra due persone.
    (Ferdinando Bonora – immagini da internet: Charlie Chaplin, Tempi Moderni, 1936)

  • OLI 418: CONVEGNO – 10/12 Sicurezza del territorio e lavoro edile

    Si terrà a Genova il 10 dicembre 2014 a partire dalle ore 9.00 al Salone Del Bergamasco della Camera di Commercio Via Garibaldi 4 di Genova il convegno il “Messa in sicurezza del territorio e lavoro edile: presente e futuro” organizzato da Fillea Cgil Genova e Camera del Lavoro Metropolitana di Genova con il patrocinio della Camera di Commercio di Genova.
    Milioni di danni causati dalle alluvioni di questi giorni, di questi anni. Migliaia di lavoratori edili genovesi e liguri sono disoccupati ormai da tempo.
    Saranno presentati alla cittadinanza ed alle istituzioni le proposte della Fillea CGIL; la sfida è di utilizzare bene ed in fretta le risorse a disposizione contro il dissesto idrogeologico impiegando lavoratori edili autoctoni e migranti che vivono e abitano in Genova e in Liguria. 

  • OLI 416: CGIL – A Roma il Nidil diventa grande

    Corre come una maratoneta e tiene alta la bandiera quasi fosse la fiaccola olimpica.
    C’è chi sorride al suo passaggio – Ma che ci fa qui?E’ impazzita! – osservano alcuni
    Lei si chiama Carla: Guardi è la prima che ho trovato. Avevo quella dell’ulivo, sarei potuta venire anche con quella, ma non so dov’è finita… così ho portato questa, tanto è lo stesso! Qui nessuno lo dice, ma sono tutti elettori del Pd!
    Carla ha la faccia di una che il Partito l’ha visto in tutte le salse: Pci – Ds – Ulivo – Ds + Margherita – Pd. Con Ochetto, Rutelli, Prodi, Veltroni e ha visto il partito liquido. E in quel fiume di gente che scorre verso il Colosseo, dove, per la prima volta, si manifesta contro le scelte di un segretario del Pd, Carla sembra davvero fuori posto. Un uomo la stessa bandiera la tiene bassa, listata a lutto, come a giustificarsi. Tanto sta commemorando un morto.
    Gli altri, quelli che manifestano contro il tradimento, mostrano le molte facce di Renzi nei loro striscioni, così il patto del Nazareno si trasfigura in quello divino della cappella Sistina con Adamo che diventa Renzi creato dal dio Berlusconi. E la dicotomia si ripropone di continuo come se i due fossero fratelli della stessa madre. A Roma, in effetti, sfila un popolo di orfani. Ma sono tantissimi e politicamente in balia dell’attesa che il vuoto lasciato da Renzi a sinistra venga occupato prima di tutto da idee e programmi. Una Cgil rinnovata schiera sul palco tre giovanissimi a fare da conduttori. Una di loro ha la grinta di un dj. In corteo gli striscioni del Nidil muovono i primi passi, piccoli e fragili in confronto a quelli della FIOM o dello Spi. C’è solo da sperare che le altre categorie – zie ricche – con un sano spirito di sussidiarietà, si decidano a far crescere i tanti Nidil distribuiti sul territorio con risorse e persone, affinché si sappia chi tutelano e i giovani possano iscriversi. Una delegata, nel 2009 aveva chiesto esattamente questo durante un congresso della Cgil genovese. Ma allora non era stata cosa. Oggi con Renzi forse tutto cambierà.

    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • OLI 414: FIERA – Un affresco scelto dai cittadini, la vera partecipazione

    Ancora non si sono spenti i riflettori della stampa sull’affare Fiera così come impostato dal vice sindaco Stefano Bernini e dalla delibera di luglio 2014, che già sono apparsi due nuovi progetti, uno con la semplice intenzione dell’Autorità portuale di acquisto delle aree (a proposito, sono state cedute a Spim a meno di 300 euro al metro quadrato, ovvio che il presidente Merlo si sia fatto avanti), adesso l’ultimo con l’apparizione del solito archistar genovese, Renzo Piano, senatore a vita e risorsa delle giunte genovesi quando sono a corto di idee.

    Piano schizza (ma lui s’arrabbia, è un blue print) una fiera riscavata che diventa un grande ormeggio. Credevo impossibile che si potesse pensare di muovere terra da quelle parti, dopo che il mare è stato sacrificato per la creazione di quell’area. Se davvero dovesse accadere, mi piacerebbe avere anche una previsione da Nostradamus su quando le aree riportate al mare saranno nuovamente interrare nel futuro: 20 anni, 50 anni?
    Possibile che a Genova si riesca a parlare solo di scavi? Movimento terra, Terzo valico, Gronda, miniscolmatore, centri commerciali, nuove case: di manutenzione del territorio zero, nisba, nada. 
    Quale dovrebbe essere una soluzione che espunga dal percorso i soliti attori consunti?
    Cosa potrebbe restare per cambiare davvero registro?
    Facile, un semplice referendum per votare, da cittadini, idee distillate da un concorso europeo dove, uscendo anche dall’area genovese, qualcuno faccia dei progetti di utilità sociale e con lo scopo di creare micro lavoro.
    Direzione, quella della partecipazione dei cittadini, che Doria aveva fatto credere di voler utilizzare per far uscire Genova dall’immobilità nella quale ci troviamo. Inutile dire che erano le solite proposte elettorali, subito smentite, appena eletto, con le delibere sul salvataggio di Amt a luglio 2012, e poi nel 2013 con i piani (per ora sospesi) di privatizzazione. Ma arriveremo anche lì, credeteci.
    Ritornando alla Fiera, l’idea di un quartiere navale, per piccolo diporto è ovvia, non serviva certo scavare per tirarla fuori, ma come per il padiglione Jean Nouvel (la soluzione peggiore e più costosa, dicevano gli studi tecnici), l’idea di scavare, scavare e scavare per infilare acqua salmastra in canali maleodoranti spaventa, proprio perché è una soluzione “peggiore” e “costosa”. 
    Per questo, se per caso nelle strade di Genova vedessi passare qualcuno con un foglio di raccolta firme per un referendum sulla fiera, non esiterei a firmarlo. Pensateci, genovesi.
    (Stefano De Pietro)
  • OLI 407: LAVORO – Il collocamento non basta più

    La perdita di fiducia dei giovani nei confronti dei sistemi di ricerca di lavoro tradizionali è un’evidenza. Sempre più persone non si rivolgono più all’ufficio di collocamento provinciale, ma si affidano alla ricerca online via semplici annunci e utilizzando agenzie interinali, con il conseguente crollo dei diritti e delle certezze d’impiego. In Piazza de Ferrari, Andrea e Valentina inaugurano la ricerca di lavoro “sandwich”, con un cartello appeso al collo e la voglia di manifestare il proprio disappunto per una società che non è più in grado di dare futuro alle giovani coppie.

    (di Stefano De Pietro)

  • OLI 406: POLITICA – Pd e dintorni, tra il fresco e il vecchio

    A poco più di anno dalle elezioni politiche, il circolo Pd di Albaro, una sezione che ha visto passare tanti vip del partito, incontra due parlamentari liguri, un bersaniano ed un civattiano. Folta platea, tante facce nuove, i vecchi iscritti si guardano intorno, quasi a contarsi, mancano alcuni storici, tutti aspettano curiosi il quarantenne sindaco di Bogliasco Luca Pastorino, che arriva in uno smilzo cappottino blu insieme al veterano Mario Tullo e l’ immancabile sigaro. Fermento in platea, tanti alzano la mano, iniziano le domande.
    Senti risposte che non ti aspetti dall’ex segretario ds, pensi a stoccate per Renzi ed invece dopo una premessa lunga un tot, dal partito che non si vede, alla base inconsistente, all’’indecorosa mancanza di parità di genere nella legge elettorale, bla bla bla, Tullo dichiara in nonchalance che “ il Paese ha bisogno di una scossa, Matteo ha la capacità di far passare messaggi a cui la gente crede, se fallisce lui ci sono solo macerie, intanto andremo a dire in Europa che faremo le riforme istituzionali, pur se contare delle palle è un rischio grave”.
    Il pubblico si rianima, si rivolge a Luca, in ritardo, reduce da un altro incontro con il sindaco Doria sulla Città Metropolitana, appare stanco e alla domanda se si aboliranno o no le Province, resta sul vago, “non ci saranno oneri aggiuntivi, occorrerà costruire una rete di servizi più efficace..” e non ne sa di più, conclude. Ma non è in Parlamento? E come sindaco di Bogliasco farà parte della nuova riforma, essendo Genova fra le città metropolitane. Inciampa poi sulla disoccupazione giovanile, butta lì una percentuale errata, lui dei “giovani” civattiani, sfiora l’argomento senza scaldare i cuori.
    L’esordio non è entusiasmante a sentire il vecchio e il nuovo corso. Come Sergio Cofferati che spazia sul territorio da levante a ponente in campagna elettorale, in gran spolvero allo sciccoso cine Ritz di Albaro, dura però riempire trecento posti. Da Lilli Gruber è stato travolto dall’autrice di “Se potessi avere mille euro al mese””  sul  provvedimento del governo “Garanzia Giovani”, una proposta che l’ex sindaco di Bologna ha stracciato: “Di per sé non cambia una virgola per i ragazzi vittime del 40 per cento di disoccupazione, questo provvedimento altro non è che un ammortizzatore sociale nato per illudere i giovani visto che non dà lavoro”, dichiara, magari avrà pure ragione, però un po’ di autocritica non ci stava male. Lo ha fatto Landini al congresso Cgil, dove dice che di sicuro bisogna cambiare, “non perchè ce lo chiede Renzi, ma perchè ce lo chiedono i precari, i lavoratori, i giovani. C’è una crisi di rappresentatività che non si può nascondere”.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 405: LAVORO – Demolizioni navali: roba da terzo mondo

    Nel 2000 ero docente in una serie di corsi svolti nei confronti degli equipaggi e del personale di terra di alcune compagnie di navigazione italiane, le varie sessioni si svolgevano sulle alture di Spezia ed avevano oggetto una legge speciale da poco in vigore, il D.Lgs. 271 del 27 Luglio 1999.
    Nelle aule ruotavano tutti i membri degli equipaggi, dai mozzi ai Comandanti, ed alcuni di questi ultimi, nelle pause d’aula, mi descrissero una realtà vissuta in prima persona, gli spiaggiamenti di vecchie navi delle loro Compagnie sul grande estuario del Gange in Bangladesh nel Golfo del Bengala, nei più grandi cantieri di demolizione navale del mondo a cielo aperto, a Chittagong.
    I report di questi viaggi tendevano a dimostrare la particolare e specifica abilità del comando nel giungere a destinazione con navi ridotte all’osso, dalle quali era stato smontato e sbarcato tutto il possibile, e del momento finale, quando con la più elevata galleggiabilità e con il livello massimo di marea, venivano portate alla loro ultima corsa, alla massima velocità possibile sino ad arenarsi sulla riva, il più vicino a terra possibile, come balene spiaggiate. Descrivevano la singolare attività che vedevano iniziare spenti i motori, o che era in corso sui giganteschi rottami vicini, con la bassa marea infatti un nugolo di uomini a piedi scalzi e vestiti strappati, si avvicinavano allo scafo in secca e letteralmente lo assaltavano per scarnificarlo, per cominciare a sezionarlo, a demolirlo. Veniva praticato un varco di accesso su un fianco nel quale si introducevano gli addetti, armati di bombole e cannelli, ed incominciavano a spolpare la carcassa dall’interno. Non era più una nave, ma una grande miniera a cielo aperto di lamiere di acciaio e di componenti da riciclare. Descrivevano della qualità del lavoro e delle attività che si svolgevano nei cantieri che attraversavano mentre andavano a prendere un aereo per tornare in Italia, ma erano talmente a tinte forti da ritenerle esagerate – sono marinai – pensavo – anzi Comandanti ad un corso di formazione e chiaramente intenzionati a far colpo sul docente.
    Mi misi a fare ricerche su questi strani posti e cicli di lavoro ed allora, era il 2000, scoprii una realtà
    incredibile, scaricai foto, splendide nella loro tragicità, lessi i report di attività lavorative organizzate con caratteristiche medioevali, condotte con il più elevato disprezzo per la vita umana e l’ambiente, lessi di connivenze e aziende malavitose, di dati ambientali falsi e di proclami di governanti, di incredibili business e di paghe da fame, di ignoranza e di morti sul lavoro, di malattie da lavoro e di tumori nella popolazione, di sterminio dell’ambiente del delta nel Golfo del Bengala, di morti pagati un tanto al chilo e di attività che mai mi sarei sognato di scoprire, come quello delle raccoglitrici di amianto per il suo riutilizzo.
    Diverse da oggi erano le fonti di informazione riportanti notizie e report. La maggior parte dei siti dedicati all’argomento puntava soprattutto sulla esposizione di foto color seppia o b/n, laddove lavoratrici e lavoratori di colore erano drammaticamente ripresi durante lo svolgimento delle rispettive attività lavorative. Ricordando oggi quelle prime sensazioni penso di aver definito con chiarezza e per la prima volta, come una sorta di imprinting, cosa si potesse intendere per industrializzazione di rapina nel terzo mondo, prima ci pensavo e ne argomentavo, ma solo allora mi resi conto realmente di cosa volesse dire sfruttare in un territorio di conquista, di come aziende inquinanti, malsane e portatrici di attività altamente pericolose, potessero sfruttare povera gente, territori ed ambiente, senza alcuna regola se non il profitto, gestendo in modo criminoso un business colossale, inarrestabile, ed ancora in qual misura la impossibilità di controllo da parte delle organizzazioni dei lavoratori e dei cittadini sul ciclo produttivo avesse determinato morti e feriti, inquinamento e distruzione di un vastissimo ecosistema.
    In effetti questa posizione, questo punto di vista, allora era in fase di crescita, ma mai nella partecipazione attiva e critica dello stato sovrano.

    Oltre le posizioni negative enunciate da varie ONG e organizzazioni internazionali dei lavoratori, l’unico documento tecnico quasi pubblico che riuscii trovare ed archiviare fu la tesi di laurea di un giovane biologo che descriveva, con dovizia di dati ed argomentazioni, la riduzione della fauna ittica del Golfo, problema certamente grave, indiscutibilmente, ma in quel corposo documento non tentò nemmeno di avvicinarsi a terra, alla organizzazione del lavoro che era origine dell’inquinamento, del business all’origine di tutto ciò. Soprattutto perché i clienti, gli armatori che mandano le proprie navi in demolizione sono quelli del nord del mondo, quelle navi che in Europa dovrebbero sottostare alle poche, mal applicate o rispettate, ma esistenti, norme ambientali e di Salute e Sicurezza sul Lavoro.
    Il ciclo era completo: le vittime, i carnefici ed i mandanti.
    Nel Giugno del 2010 a Chittagong, venne tenuto un convegno con oggetto la eco-sostenibilità nella Baia del Bengala, organizzato dall’Istituto Pubblico di Ricerca sulla Pesca e presieduto dal Dr.Md.Gulam Hussain, Direttore Generale della Struttura.
    Vennero analizzati ed argomentati i dati degli sversamenti a mare determinati, tra l’altro, dalla attività di rottamazione e recupero navali, partendo da un paio di dati di fatto: i rifiuti generati dalle industrie inquinavano l’ambiente circostante a diversi livelli (acqua, aria e terreno).
    Il costo pubblico per il controllo dei rifiuti era in aumento a causa dell’inquinamento ambientale dovuto all’uso di vecchie e retrodatate tecnologie e all’uso delle apparecchiature fino alla loro morte per vecchiaia, (manifestanti l’evidente intenzione di non utilizzare più costose versioni moderne visto la variabile di costo”vite umane” irrisoria). Assenza di iniziative da parte del governo nel fornire supporto finanziario e altri incentivi per la creazione di impianti per il trattamento di sostanze chimiche provenienti dai cicli produttivi in oggetto.
    La attività di rottamazione delle navi o “ship breaking”, ha avuto origine nel 1969 ma con un vero e proprio

    boom negli anni ’80 e, continuava il report, si è guadagnata la reputazione di essere notevolmente redditizia, ma con un grande costo ambientale. Rifiuti vari e materiali usa e getta sono gettati in mare dalle navi con residui di rottamazione e spesso si miscelano con il terreno, la spiaggia e con l’acqua di mare con un impatto negativo sull’ambiente costiero e la biodiversità.
    Le operazioni di travaso e recupero di oli , grassi e carburanti raggiungono le 2500 Tonnellate anno, di tali operazioni venivano considerati gli effetti nocivi e l’impatto che, in modo documentato, gli sversamenti liquidi avevano portato all’ambiente: oli, lubrificanti, grassi, TBT.
    Gli effetti nocivi riscontrati a parere della commissione erano stati:

    • Copertura del corpo e asfissia nei pesci,
    • Riduzione dell’intensità della luce sulle foglie che inibisce la fotosintesi, riducendo lo scambio di ossigeno e carbonio
    • I danni alla popolazione degli uccelli, la ricopertura da oli delle piume, provocanti oltre a perdita di galleggiamento anche casi frequenti di tossicità acuta
    • A volte le fuoriuscite provocano mortalità ad ampia diffusione tra la popolazione di pesci, vermi, granchi e molluschi.
    • Nella popolazione umana i metalli come mercurio, rame, piombo, cadmio, arsenico, ecc, hanno determinato effetti nocivi come
    • disturbi mentali, danni al sistema nervoso (ad esempio Malattia di Minamata, Arsenocosis)
    • anemia, disturbi renali, sterilità e cancerogeni.
    • Inoltre l’effetto nocivo di gas rilasciati in atmosfera come : CO2, CO, SO2, Cl2, NH2, fumi acidi, isocianati, hanno determinato
    • un aumento di gas tossici in aria,
    • un impatto negativo sugli esseri umani (ad esempio causanti asma e di altre malattie respiratorie).
    • Fra gli inquinanti solidi PVC, plastica, lana di vetro, amianto, ecc sono presenti in quantità notevoli inoltre:
    • IPA: procuranti tumori maligni a polmoni, stomaco, intestino e alla pelle, altamente tossiche e con la proprietà di bio-accumularsi nell’ambiente.
    • diossine: provocano cancri, sono in grado di sopprimere il sistema immunitario ed in una fase sia pre che post-natale colpiscono il sistema nervoso dei bambini. 
    • I PCB: sono collegati al cancro, con danni al fegato e al sistema riproduttivo. Sono altamente persistenti del livello trofico più elevato della catena alimentare marina.

    A seconda della loro dimensione e funzione, le navi demolite hanno un peso a vuoto tra 5.000 e 40.000 tonnellate (con una media di 13.000), il 95% è acciaio, rivestito con da 10 a 100 mani di vernice contenenti piombo, cadmio, organostannici, arsenico, zinco e cromo.
    Le navi contengono una vasta gamma di altri rifiuti pericolosi come i sigillanti contenenti PCB, fino a 7,5 tonnellate di vari tipi di amianto; diverse migliaia di litri di olio (olio motore, olio di sentina, oli idraulici e lubrificanti e grassi). I serbatoi inoltre possono contenere fino a 1.000 metri cubi di olio residuo.
    Lo studio prosegue individuando i benefici che questa attività porta al territorio : l’attività di SBA (schip breaking) crea un elevato potenziale economico e una opportunità lavorativa per migliaia di lavoratori e contribuisce alla crescita economica della regione che ha bisogno di investimenti del settore privato. Per quanto possibile il 100% della nave è riciclato, l’attività è di grande importanza nell’economia nazionale del Bangladesh e fa risparmiare grande quantità di valuta estera, riducendo l’importazione di materiali in acciaio, con la demolizione delle navi si garantisce infatti l’approvvigionamento di materie prime per le acciaierie, lamiere in acciaio per la costruzione, si ricicla l’amianto, vengono rigenerati oli ed lubrificanti per le altre industrie.
     La attività di SBA garantisce lavoro direttamente a 25.000 persone ma altre 200.000 sono occupate nell’indotto. Sebbene questa attività abbia guadagnato una buona reputazione dal punto di vista del profitto per i Paesi in via di sviluppo, è considerata “fastidiosa” per l’ambiente e per la salute umana. (il termine che ho tradotto è esattamente quello utilizzato nel Report)
    Non vi è alcun disaccordo sul fatto che questa attività sia ad alto rischio industriale. Da ogni punto di vista, la demolizione delle navi è un lavoro sporco e pericoloso. I rischi specifici del ciclo di lavoro si suddividono in due categorie: intossicazione da sostanze e incidenti sul lavoro.
    Esplosioni di gas residui e fumi tossici nei serbatoi sono la prima causa di incidenti nei cantieri.
    Un’altra delle principali cause di incidente è caduta dalle navi (che sono alte fino a 70 m) di lavoratori che vi operano senza sistemi anticaduta e cinture di sicurezza.
    Gli altri incidenti mortali più frequenti comprendono per i lavoratori l’essere schiacciati da travi o lamiere in acciaio che cadono, elettrocuzione, ecc.
    I lavoratori non qualificati trasportano lastre di metallo, barre o tubi di metallo sulla testa nuda o a spalle, iniziano a camminare con passi sincronizzati dal ritmo canzoni o musica, verso una destinazione precisa e poi movimentano lamiere metalliche nei cantieri per impilarle o caricarli su camion, senza mezzi di sollevamento. Come durante la costruzione della piramide di Giza, o Stonehenge in piena continuità.
    In lingua inglese, nello slang corrente usato quando si ragiona di queste attività, si usa il termine di : three D-jobs :dirty, dangerous and demanding, e cioè sporchi, pericolosi ed impegnativi.
    Lo studio termina dopo aver analizzato, a dire il vero con maggior dovizia di numeri, il livello di degrado nel quale si trovano attualmente le foreste di mangrovie inquinate ed l’elevato numero di pesci endemici o pelagici ormai scomparsi od in pericolo, con una considerazione sul “che fare”:
     “Considerando il ruolo positivo che questa attività ha nella economia nazionale, afferma la commissione di studio, essa non può essere interrotta, piuttosto dovrebbe essere determinato un approccio sostenibile per ridurre al minimo le conseguenze negative nella zona costiera. Il governo dovrebbe nominare un’autorità competente che, in consultazione con le organizzazioni rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori, dovrebbe formulare, attuare e riesaminare periodicamente una coerente politica nazionale e principi per la demolizione in sicurezza delle navi. Tale politica dovrebbe includere:

    • Il controllo delle importazioni e la preparazione delle navi alla demolizione;
    • L’occupazione e le condizioni di lavoro, sicurezza sul lavoro e la salute, i diritti e il benessere dei

      lavoratori; 

    • La protezione sia della popolazione che dell’ambiente nella prossimità di un cantiere di demolizione. 
    • Il governo dovrebbe includere questo settore nel ministero dell’industria, e formulare una politica adeguata in modo che i diritti dei lavoratori possa essere garantita e resa contemporaneamente ecocompatibile. 
    • Ambiente, diritti umani e economia, tre ambiti che dovrebbero essere considerati nel formulare la gestione pubblica di questo settore.

    Quindi anche nella parte di sotto del mondo il risultato delle grandi operazioni politiche determina la nascita di

    una commissione di studio, con all’interno probabilmente coloro i quali sono stati corrotti sino a quel momento per il mantenimento dello status quo.
    Ma vediamo quanto risulta invece dalla lettura delle documentazioni non governative.
    Fondamentale è la corruzione:
    “Credo che gli ispettori che verificano le condizioni di lavoro a bordo rilascino certificati in modo “illogico” o in ragione di alcuni interessi e non in base allo stato di adeguatezza della nave “.
    l giornalista Hasan Akbar amplia questo concetto: ” il modo più facile ottenere i certificati necessari del Dipartimento è quello di pagare una tangente di alcune migliaia di taka. Quindi l’ispezione diventa non più necessaria. Purtroppo chi rilascia i certificati non controlla correttamente quanto e come dovrebbe. L’ispezione di una nave intera dovrebbe durare almeno da sei a otto ore, ma spesso si completa in meno di un ora “.
    “Un controllo completo costerebbe al proprietario tra 60.000 e 80.000 taka. Essi preferiscono pagare per la verifica di due o tre ambienti spendendo ufficialmente tra i 600 a 900 taka e farne scivolare poche migliaia sotto il tavolo verso l’ispettore, il certificatore”. (100 Taka oggi valgono, come le rupie indiane, circa 1,5 Euro.)
    “I proprietari dei cantieri hanno stabilito buone relazioni con i politici e le baronie locali. Tra l’altro finanziando i loro circoli ricreativi. In realtà si tratta di una mafia vera e propria. Dando tangenti alla polizia, politici, giornalisti e così via, hanno costruito un sistema in grado di evitare qualsiasi pubblicità negativa in caso di esplosione o incidente, minimizzandone la valenza e gli effetti. L’intera faccenda è solo un racket e condotto a costo della vita dei lavoratori, della popolazione locale e dell’ambiente.” I cantieri non sono ufficialmente industrie, non esistono, molti di questi non hanno obblighi come un salario minimo e la compensazione a seguito di un incidente, però hanno bande di “bravi” armati che di mestiere mantengono la tranquillità del sistema.
    Se le imprese fossero riconosciute, sarebbero anche passibili di ispezione dal Dipartimento del governo dell’Industria, ma ufficialmente non esistono e laddove possono pagano tangenti agli Enti preposti ai controlli.
    I lavoratori che arrivano ai cantieri sono tutti analfabeti e di origine contadina. Arrivano attirati dal miraggio del lavoro sicuro intenzionati a fermarsi per un solo anno , ma mediamente si allontanano dal mare solo dopo dieci anni. Uno su cento è assunto a tempo indeterminato, gli altri sono a chiamata, con i classici fenomeni di caporalato.

    La paga media di un lavoratore nei cantieri di demolizione si aggira sui 40 Takas al giorno, 0,60 euro al giorno nel primo anno lavorativo, per raggiungere il massimo di 70 Takas dopo 10 anni, circa un euro, lavorando 16 ore al giorno, sette giorni la settimana, 365 giorni l’anno.
    L’aspettativa di vita, vista l’esposizione a sostanze tossiche è di circa 20 anni, contro i quasi 61 del restante Bangladesh, ed il 20% inizia a lavorare nei cantieri prima di aver compiuto 15 anni.
    In caso di morte, ad evitare pubblicità negativa od interventi, pur improbabili, degli organismi di controllo, le imprese pagano alle famiglie un indennizzo, una compensazione. Un esempio documentato cita due cifre: 40.000 Takas alla famiglia del morto (600 Euro) e 60.000 alla polizia, per insabbiare e nascondere. L’indennizzo sale quando in famiglia c’è un parente militare o poliziotto.
    Le imprese, che si avvalgono per ogni nave di sei o sette ditte di appalto, ricavano mediamente 150 dollari a tonnellata per nave, la media di 13.000 tonnellate porta a valutare un ricavo medio di due milioni di dollari, oggi circa 1.600.000 euro, un lavoratore viene pagato 60 centesimi di euro il giorno, e, se muore costa 1500 euro, è un vero affare. Poi i cantieri devono pagare gli organi di vigilanza, gli ispettori, coloro che devono fare i controlli ambientali, i politici del territorio, i politici nazionali e gli esperti che partecipano alle commissioni che devono garantire tutti la continuità, ed in queste specifiche condizioni.
    Nelle ultime 300 navi analizzate dalle varie ONG sono stati indicizzati 87 morti, 3.4 per ogni nave. 6000 infortuni gravissimi, danni irreparabili all’ambiente, grande distribuzione di tumori specifici in misura abnorme rispetto agli altri territori.
    A questi imprenditori-delinquenti, grazie ai rapporti di forza favorevoli ed a quanto spendono per mantenerli, va benissimo. La commissione in effetti ha come obiettivo la continuità e interventi pubblici per eventuali bonifiche ambientali se proprio fosse il caso che il pesce palla delle mangrovie avesse a risentirne. Ricapitolando dalla mia ricerca su Chittagong e lo shipbreaking, sono emersi una serie di fattori

    • In un vasto ambito territoriale una specifica attività industriale inquina mortalmente il territorio, l’aria, il suolo, l’ambiente. 
    • I lavoratori muoiono o si ammalano svolgendo una attività lavorativa durante la quale le regole di lavoro sicuro non vengono rispettate. 
    • I lavoratori sono sottopagati. 
    • Uno su cento ha un contratto a tempo indeterminato e gli altri sono atipici. 
    • La commissione governativa che dovrebbe occuparsi di ridurre pericoli per lavoratori ed ambiente è di parte ed inquinata dalle lobby filo aziendali. 
    • Gli Enti di certificazione sono corrotti così come coloro che devono procedere alle ispezioni. 
    • Il potere locale e la polizia prendono tangenti per chiudere un occhio. 
    • Le aziende corrispondono alle famiglie delle vittime un risarcimento pur di evitare percorsi penali. 
    • Per avere maggiore collusione finanziano anche i circoli ricreativi locali.  
    • I mandanti sono lontani al sicuro nei loro inarrivabili uffici old-English, come sempre assolutamente ignari ed in buona fede.

    Ma dai, roba da terzo mondo, da noi non succederebbe mai.
    (Aris Capra – Responsabile Sportello Sicurezza CDML Genova – foto da internet)

  • OLI 402: LETTERE – Caro Sergio, ecco l’equivoco

    Caro Sergio,
    In occasione dell’incontro su Conflitto e Capitale allo Zenzero, ho ricordato con emozione le mie tappe di iscritta Fiom all’Ilva, delegata e la decisione di dimettermi.
    Era per me un privilegio parlare con te del bilancio, ancorché in perdita, di una militanza sindacale figlia della tua azione politica e della tua capacità di difendere diritti e lavoro.
    Posso ammettere che se tu non fossi stato Segretario Cgil io, allora, non avrei nemmeno sperato in una svolta. Te ne sono grata.
    Quello che volevo capire era con che occhi vedessi le piazze, il desiderio di cambiamento del 2002 legate al decennio che ci è piombato addosso dopo. Quali le tue emozioni di leader rispetto allo scarto tra l’occasione unica e la perdita dell’occasione stessa che, a mio parere, ha accelerato il declino di questo paese. Più semplicemente se ti capitava di ripensarci passeggiando con i tuoi figli, quale fosse il tuo bilancio interiore.
    Hai risposto: Non equivocate un grande consenso sociale con un pari consenso politico e poi hai ammesso credo di aver sbagliato ad aver accettato la richiesta di fare il sindaco di Bologna, dovevo stare da un’altra parte a provarci.
    Al tuo fianco Deborah Lucchetti – portavoce dell’associazione Abiti Puliti che si sta battendo per i diritti minimi dei lavoratori tessili in Bangladesh, in Cambogia e Vietnam – ci ha fornito dettagli inediti da un girone dantesco.
    Allo stesso tavolo, parlavate di lavoro, ma si poteva percepire uno scarto tra il patrimonio emotivo di Deborah, che raccontava di svenimenti di massa sulle macchine da cucire e di come agire un cambiamento concreto, e il tuo patrimonio umano di una pacatezza vuota che mi è parsa distante dalla passione che aveva animato la tua azione sindacale anni fa. Come se la politica di questi anni avesse spento qualcosa in te. La tua analisi lucida sulla tua impossibilità di incidere in Europa per frenare il TTIP, sull’importanza del made in, e la storia del lavoro in questi anni in Italia e nel mondo si è conclusa con la previsione che le persone che lavorano rivendicheranno rispetto e lo faranno con strumenti inediti in condizioni mutate.
    Mentre dal suo osservatorio Deborah raccontava di un conflitto solitario, aspro, che andrebbe appoggiato anche da noi, fatto di scioperi, arresti di lavoratori e della difficoltà di trattare con un padrone incorporeo come le multinazionali, sostenute da governi intenti ad ostacolare i diritti. Governi che decidono salari da fame e favoriscono la devastazione del territorio. Scelte globali che impattano in Italia con aziende che lasciano macerie e politiche che smantellano tutele sociali a favore della finanza, in un’assenza del conflitto capitale-lavoro. Il tutto favorito da una pericolosa incomprensione delle dinamiche della globalizzazione da parte di sindacati, partiti e società civile.
    Deborah chiedeva se era possibile incrinare questa idea putrida di sviluppo e, nel riconoscersi minoranza, sollecitava una svolta seria ad una maggioranza di cui tu, in quel contesto, eri rappresentante. Ma a me non è parso che fossi particolarmente animato dalla volontà di essere parte di questa svolta.
    Poi il dibattito è finito. Ed io ho compreso perché ho equivocato. Non si trattava di consenso sociale e nemmeno di consenso politico.
    Si trattava di persone
    (Giovanna Profumo)
  • OLI 398: LAVORO – Storie dall’altro mondo

    Eccola qui Saretta! Nella foto presenta una collana di duemila anni fa, che verrà poi battuta all’asta per migliaia di sterline e lei, Sara, farà da liaison per gli acquirenti presenti e via telefono.
    Un bel traguardo per questa ragazza che aveva studiato arte, sperando in qualche modo di restare vicina a quel mondo.
    E pensare che vi lavora da pochi mesi, dopo la laurea a giugno 2013, aveva passato l’estate a Londra, lavorando in una casa di numismatica e in autunno era già a Edimburgo (vedi Oli 392 ) presso una auction house, che ha quasi due secoli di vita, specializzata in arte antica, rilevata da due business men che hanno saputo cogliere il momento, ovvero che di ricchezza, ce n’è in giro parecchia, a fronte di tanta crisi.
    Sara lavora e ancora studia al dipartimento di arti orientali, settore che aveva già esplorato all’Università, frequenta un corso di cinese perché oggi i migliori acquirenti sono i nuovi imprenditori cinesi, che comprano tutto ed in particolare oggetti d’arte cinese, pezzi della loro storia, che pare vogliano riportarsi a casa a tutti i costi, non badano al prezzo.
    Se vai a Pechino trovi il quartiere del protettorato francese, vi sono passati gli inglesi, i tedeschi e via via nei secoli un po’ di Cina ha varcato i mari, è finita in bella mostra nelle boiserie dell’Occidente. Imperatori, mandarini, guardie rosse hanno scompigliato popoli e facce, identità perdute che i nuovi ricchi cinesi stanno cercando di ricomporre, comprandosi arte di casa loro a prescindere.
    Persino ad Antiqua, mostra dell’antiquariato in Fiera a Genova, svoltasi alla fine di gennaio, hanno fatto capolino occhi a mandorla, che fotografavano il pezzo e poi tornavano pagando senza batter ciglio anche cifre importanti, raccontano soddisfatti gli operatori.
     Dunque Sara imparerà il mandarino e dopo avere dedicato ogni anno un po’ delle vacanze estive a fare stage anche gratuiti presso case d’aste  e musei a Milano, ad Anversa, a Edimburgo, mantenendosi con i lavoretti dell’inverno, ospitata dagli amici dell’Erasmus qua e là, ora ha iniziato a presenziare alle aste. E’ una ragazza in gamba, media alta negli studi e grande determinazione in tutto, è vero, però, è in un Paese dove, se dimostri talento e impegno, ti “buttano nella mischia” da subito, non ti fanno fare anni di anticamera, insomma ti danno fiducia, anche se sei giovane e alle prime armi.
    In Italia raramente avviene così, altrove puoi arrivare invece là dove ti porta il cuore ed è questo il rammarico più grande che dovremmo avere oggi per la nostra gioventù, negare loro una chance.
    (Bianca Vergati)