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| Foto di Paola Pierantoni |
Categoria: OLI 402
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OLI 402: PAROLE DEGLI OCCHI – Mistero e vicoli
Capita, nel mistero dei vicoli, di fare magici incontri -
OLI 402: LAVORO – Salute, lobby e serial killer
Sempre più frequentemente una serie di eventi correlati alla qualità del lavoro inducono l’opinione pubblica a porsi una serie di domande specificatamente riferite al rapporto fra il lavoro, anzi il mantenimento del posto di lavoro, (perché c’è la crisi, perché il Paese ne abbisogna, perché è necessario tenere i piedi per terra e stare attenti ai paesi dell’Est, perché lì costa tutto meno ed un operaio guadagna un Euro l’ora che nemmeno i cinesi) ed il suo impatto sulla salute degli addetti, se pur nella salvaguardia dell’ambiente circostante il sito produttivo.
E’ sinonimo di civiltà o di inadeguatezza del mercato lavorare in sicurezza nel rispetto dell’ambiente? Se ci si riferisce a chi lavora all’interno dell’impresa, non possiamo che pretendere la verifica del rispetto di quanto è considerato il significato del termine stesso “salute”, cioè lo “stato di completo benessere psico fisico e sociale dell’individuo”, e scusate se è poco. Tale definizione non è un parere filosofico, etico o quanto risultante da una discussione fra saggi o letto in un fumetto di Cipputi, ma quanto per legge è obbligatoriamente compito di colui il quale ha “obbligo di prevenzione” nei confronti dei lavoratori: il Datore di Lavoro in una qualsiasi delle varie forme in cui nell’ordinamento italiano si manifesti.
Obbligo di prevenzione, non libera scelta. La filosofia infatti dell’impianto prevenzionistico vigente definisce un percorso routinario dal quale egli, il Datore di Lavoro, non può esimersi prima di svolgere una qualsiasi attività lavorativa infatti, deve immaginare gli eventi pericolosi che possono manifestarsi per la salute dei lavoratori che intende impiegare, affrontarli e eliminarli o ridurli a quanto definibile come un livello di sicurezza accettabile.
Lo sviluppo di questo percorso legislativo è relativamente recente e si è trasformato nel tempo, è il risultato di lotte operaie e sindacali a seguito di decine di migliaia di morti causati da infortuni sul lavoro, centinaia e centinaia di migliaia di feriti gravi, di arti amputati, di schiacciamenti fratture e cadute, di intossicazioni, organi interni deteriorati, sordità, cecità, dolore e sangue, tanto ma tanto sangue. E orfani e vedove in lacrime, e bandiere ai funerali.
Sino all’altro ieri non era impedito dalla legge monetizzare il rischio, cioè incentivare il lavoratore a svolgere una attività per varia natura rischiosa pagandolo per affrontare il pericolo, nelle buste paga dell’epoca si potevano leggere a chiare lettere e senza possibilità di equivoci ad esempio i valori orari di indennità orarie a fronte di esposizione a sostanze chimiche.
La esposizione al pericolo in quel periodo veniva spesso scambiato con ore di permesso, ferie aggiuntive, turnazioni agevolate, premi in varia natura. Allora non c’era la crisi, anzi si era in piena ricostruzione, boom economico post bellico, il potere contrattuale all’epoca elevato veniva speso anche per tali scopi, sia a livello individuale che collettivo.
Certo, prima era ancora peggio, brutti periodi per la contrattazione, durante la trasformazione industriale delle fabbriche, la Grande Crisi, la produzione bellica con il massiccio uso di sostanze pericolose ed esplodenti, l’Autarchia, le due guerre.
I rapporti di forza, le Società Operaie, il Sindacato, le Piazze, la direzione e veicolazione della capacità contrattuale e i sempre tanti, troppi morti sul lavoro hanno trasformato ed accresciuto l’impianto normativo rendendolo quello attuale, ma mai nulla venne regalato, ma anzi sempre scontrandosi con la forte ritrosia della controparte per la quale la sicurezza non è mai un investimento, ma un costo, sopratutto laddove il pericolo è sinonimo di “mala”organizzazione del lavoro.
Come sempre è avvenuto sono stati proprio gli eventi di maggiore gravità a promuovere e sviluppare percorsi di prevenzione dedicati e maggiormente incisivi, eventi che a volte vengono ricordati con nomi che oggi poco ci ricordano, ma che all’epoca sviluppavano tale risonanza da non poter essere ignorati come la tragedia nella miniera di Ribolla con il conseguente sviluppo della prevenzione in ambito minerario e la nascita dei primi “Rls” della storia negli anni ’50, o la storia dell’incidente di Seveso ed il cancro da diossina, la legge Lama, la Tito Campanella, La Thyssen, le morti multiple nelle stive di cereali, in silos e ambienti confinati determinanti la legge 177, e solo ieri la Torre in porto a Genova e le nuove successive regole che ne conseguono.
Nel frattempo si trasformava e specializzava Medicina del Lavoro, si acquisivano nuovi dati di pericolosità di sostanze da tempo in uso e si riducevano i livelli limite di esposizione, laddove sino al giorno precedente un quantitativo soglia limite di esposizione ad una sostanza veniva considerato come un adeguato livello di protezione, poteva venire nel tempo sostituita con altri valori maggiormente protettivi, sviluppando nel frattempo più adeguati percorsi di sorveglianza sanitaria per gli esposti.
In epoca ormai lontana era considerato un toccasana sparare in atmosfera fumi e polveri tossiche ad elevata temperatura dalla bocca di una alta ciminiera, sino a quando il legislatore è stato costretto a recepire il fatto che prima o dopo gli inquinanti sarebbero ricaduti nell’ambiente circostante e che i cittadini tutti, anche non lavoratori, da tali rifiuti avrebbero dovuto essere protetti, ma oltre ai lavoratori esposti nel ciclo produttivo, anche i terreni, le piante e gli animali, l’ambiente tutto divenne oggetto di prevenzione. Si incominciò a pensare che l’essere in cima alla catena alimentare potesse non essere, in caso di siti inquinati, una grande soddisfazione.
Mentre nel sottobosco dei palazzi romani lobby trasversali si occupavano, spesso riuscendovi (ieri come oggi), di modificare l’impianto prevenzionistico edulcorandolo e rendendolo meno impositivo per quanto riguardante le norme di salute e sicurezza sul lavoro, imprenditori di piccole e medie imprese sotterravano inusitate quantità di sostanze tossiche e rifiuti pericolosi, veri sottoprodotti del proprio ciclo produttivo, spesso con la connivenza di amministratori locali. Per molti piccoli proprietari terrieri divenne per anni, decenni, l’unica possibilità di far fruttare i propri terreni, non a caso le terre dei fuochi, che sono tante nella penisola, sono prevalentemente dislocate in zone economicamente depresse. Non solo nel centro sud italiano, ma anche al nord, laddove veniva effettuato uno scavo per una bretella autostradale, per un molo o si esauriva una cava, nottetempo, ma spesso anche alla luce del sole, camion in retromarcia riempivano buche con materiali dai contenuti più vari, dai radioattivi ai rifiuti sanitari, metalli pesanti, sostanze velenose, fumi di fonderia. Dopo una ruspa compiacente era sempre pronta a coprire e nascondere le buche.
Di norma le aziende di piccola dimensione erano autosufficienti, ma per le grandi era necessario ricorrere a veri professionisti dello smaltimento clandestino, un business di dimensioni colossali che, per logistica ed attrezzature, ha permesso a svariate organizzazioni malavitose di specializzarsi diversificando la propria attività, Eco-Mafia è il termine corretto con cui chiamare questo ambiente. Ma attenzione i malavitosi sono senza dubbio i gestori del traffico, ma non da meno sono tali i produttori di rifiuti, gli autisti dei mezzi, gli armatori con i colletti bianchi delle compagnie di navigazione che buttavano in mare i fusti inquinanti o che a volte affondavano le navi colme di veleni, così come i Comandanti e gli ufficiali e gli equipaggi, ricattati con lavoro sicuro in cambio del silenzio.
Ma i grandi gruppi industriali, sia pubblici che privati o partecipati, hanno da sempre usato metodi diversi: lobby di pressione, acquisto di consensi nelle amministrazioni locali o regionali o direttamente nei governi, l’uno per l’altro, atti a garantire una sorta di patto di non aggressione, la certezza di non essere controllati o, spesso, di avere dalla propria i controllori, i certificatori, i periti, gli ispettori, gli amministratori, burocrati che con un timbro giusto di forma e colore, siano in grado di asseverare il processo, di garantire che quella polvere cancerogena che uccide non paia poi così pericolosa, che l’abbattimento degli animali infetti passi sotto silenzio, che i cavoli radioattivi dell’orto siano stati irradiati dai marziani, che la scientificità dei dati presentati dai superstiti possa essere contestata, pagando mazzette a tutti, accattivandosi i lavoratori o la cittadinanza utilizzando i circoli aziendali ricreativi gestiti dalle parti sociali o finanziando le trasferte di confraternite di portacristi.
E tutti giù a dar di matto quando le vedove denunciavano, ma venivano comprati giornalisti per condizionare l’opinione del popolo bue.
Il dramma nel dramma è sempre lo stesso, e le domande, oggi come ieri non cambiano. Queste aziende, piccole o grandi inquinano, fanno ammalare, intossicano uccidono. Oggi come ieri. Quelle piccole tutto sommato non importano a nessuno, inquinano è vero, ma poco per volta, hanno pochi dipendenti che si ammalano e pochi inoltre perderanno il posto di lavoro se qualcuno decidesse nel rispetto delle regole di impedire l’inquinamento. Molte di queste probabilmente riescono a stare sul mercato proprio nascondendo sotto il tappeto le briciole, peccato però che le piccole imprese siano la stragrande maggioranza delle imprese italiane e che non ci sia un adeguato numero di controllori per verificarne anche solo una parte consistente e se chiudono l’impatto sull’opinione pubblica è minimo, non occuperanno mai una piazza, ma al massimo l’androne di un portone. Quelle grandi hanno dalla loro un’altra carta da giocare e si trovano alleati con parti di per se antagoniste. Queste sono quelle che inquinano il territorio per chilometri quadrati, intere città. Sono quelle che hanno sulla coscienza centinaia di morti, con amministratori delegati con stipendi a grandi cifre e studi di avvocati specializzati nel prender tempo, pelo sullo stomaco e conti nei paradisi fiscali e stupore di tanto clamore per quello che per loro non è che un danno collaterale, una bomba intelligente che solitamente produce energia od acciaio che, sorpresa sorpresa, negli anni uccide i bambini di cancro.
Certo per i lavoratori di queste imprese non è bello sapere di essere o essere stati esposti continuamente a sostanze che possono procurare danni irreparabili, malattie incurabili e trovarsi ad un certo punto della propria vita a dover scegliere da che parte stare per campare, se pur malamente. Rischiare che, nel pretendere la salvaguardia della propria salute e, perché no, quella dei bambini dei quartieri vicini ci sia il rischio di perdere il lavoro, ‘che fuori c’è la crisi. Legittimamente domandarsi perché l’impresa, gli amministratori locali, gli esperti, non si fossero accorti di ospitare sul territorio un vero serial killer, ma non uno di quelli che ammazza tre o quattro prostitute e si prende l’ergastolo, ma bensì uno che uccide 500 o 1000 persone nell’arco di una decina d’anni e che, come capita, prenderà una multa se mai la pagherà.
Saranno loro forse a dover pagare con una riduzione di diritti e tutele, con meno lavoro, meno certezze nel futuro.
E’ a loro che verrà chiesto, quando scenderanno in piazza con bandiere e striscioni, quante giornate lavorative, quanti posti di lavoro vale un bambino morente di cancro.
E sempre loro, che non c’entrano niente, verranno utilizzati dall’impresa che giocherà la carta del ricatto occupazionale, muovendo le proprie pedine, sempre le stesse, all’Ilva di Taranto come nella centrale a carbone di Vado Ligure.
(Aris Capra – Responsabile Sportello Sicurezza CDML Genova – disegno di Guido Rosato) -
OLI 402: EUROPA – Università tra i PIGS
E’ un tramonto fantastico, il cielo azzurro si tinge di rosa, un vento sottile corre tra le fronde, le cicogne si accoccolano sul camino del chiostro, in Spagna le chiese chiudono tardi, alle otto c’è ancora messa e così puoi entrare a visitare chiese e musei. Intanto nella piazzetta della facoltà di filologia c’è chi legge sulle panchine, mentre ragazzi chiacchierano stravaccati sulla scalinata in mezzo alla strada perché il centro storico è rigorosamente pedonale, con la gente che passeggia, godendosi l’arietta e l’ultimo tiepido sole. Poi la piazza si svuota, restano soltanto i passanti, non ci si fa caso, ma si sono accese le luci al piano rialzato del vecchio palazzo, ecco s’intravedono una lavagna con scritte in francese, un uomo in piedi che sta parlando, di fronte tanti giovani: sono le otto di sera della vigilia di giovedì grasso e c’è lezione all’università di Salamanca e alla sera i ragazzi saranno in piazza a festeggiare il carnevale. Ma che bravi questi insegnanti spagnoli e anche i ragazzi.
A Coimbra, Portogallo, è domenica e c’è fermento nel cortile centrale dell’Università, un piazzale maestoso, edifici importanti, dall’aria antica e molto fatiscente, fotografati dai turisti insieme al panorama che si gode da lassù. Coimbra è sede universitaria dal 1300, una delle più antiche del mondo, arroccata nel centro storico dalle viuzze strette, lucide di ciotoli bianchi, percorsi da temerari in auto che sfiorano i muri. Tutto appare un po’ fanè, poche le vie ben tenute e le case paiono abbandonate, soltanto alcune, le più degradate, hanno panni stesi, luci accese e manifesti appesi alle ringhiere. Sembra disabitato il centro storico, in maggioranza vedi giovani, probabilmente studenti, che taroccano su giù per i vicoli sotto lo sguardo indifferente dei rari abitanti del posto. Non ci sono spazi, piazzette, ritrovi e i giovani sono invisibili. Non c’è l’atmosfera di Salamanca, l’università più antica della Spagna, dove, non soltanto per il Carnevale, il centro della città, Plaza Mayor, il modello di quella più famosa di Madrid, è un brulicare di giovani e non, che passeggiano in libertà, senti chiacchierare in tante lingue sotto gli ombrelloni dei baretti. Coimbra ricorda Genova per il “riguardo” riservato alla gioventù, ai ragazzi che vengono qui a studiare, ma nel cortile dell’Università di Coimbra gli studenti hanno trascorso il pomeriggio festivo a distribuire volantini ai turisti, disciplinavano le visite all’Aula magna, alle cappelle, con la loro toga nera svolazzavano sorridenti tra i passanti.
(Bianca Vergati – foto dell’autrice) -
OLI 402: STORIA – Né partito, né marito
Ci sono libri che conducono dentro a pezzi di storia della città che è come se non fossero stati mai perché rimasti, fino a quel momento, solo nelle memorie individuali di qualche decina, o centianio, di persone, o magari congelati in qualche archivio, destinati a restare senza voce fino a che qualcuno (qualcuna, in questo caso) non ha deciso di andarseli a guardare, di pensarci su, per tradurli poi in storie raccontabili.
Il 12 marzo, presso la Sala Clerici della Biblioteca Berio, c’è stata la presentazione di uno di questi libri: “Né partito, né marito”, di Graziella Gaballo, studiosa e autrice di saggi e monografie sulla storia delle donne.
L’idea di questo libro, racconta, le era venuta due anni fa, alla presentazione del video ‘Donne in Movimento’ realizzato da Archimovi, ed aveva scoperto che a Genova c’erano degli importanti fondi documentari sui movimenti delle donne: il Fondo Archinaute, il Fondo Coordinamento Donne Flm, il Fondo “Generazioni di Donne”. Di fronte a questa ricchezza documentaria, che davvero è una specialità genovese, non aveva resistito al desiderio di trarre dei fili dalla somma un po’ anarchica di documenti nata dalla conservazione spontanea delle protagoniste di quelle vicende.
Decisione preziosa, come quella a suo tempo delle autrici di “Non è un gioco da ragazze”, mediazione necessaria a costruire la storia, senza cui tutto il lavoro di raccolta e cura condotto per anni da tante donne sarebbe inutile.
Il titolo del libro deriva da uno slogan, tracciato sul selciato di Piazza De Ferrari la notte del 7 marzo 1978, quando una cinquantina di femministe si diedero un notturno appuntamento in piazza per attaccare manifesti e scrivere frasi e slogan sui muri, a contestazione della manifestazione dell’8 marzo, ai loro occhi ormai troppo istituzionale e priva di combattività. La notte divenne drammatica: interventi della polizia, spari, arresti. Poi iniziative di solidarietà, processo, condanne.
La presentazione del libro alla Berio Da questo spunto iniziale parte un’accuratissima, documentata, puntigliosa ricostruzione del movimento femminista a Genova, in tutte le sue molteplici articolazioni: dalla mappatura dei collettivi genovesi che si formarono nei primissimi anni ’70 (nel 1971 Genova è stata sede delle primissime esperienze femministe in Italia), alla successiva esperienza del ‘femminismo sindacale’ (i Coordinamenti Donne Flm e le 150 ore delle donne, nati nel 1976). E poi: le pratiche politiche dell’autocoscienza, la frequentazione della psicoanalisi, i temi della riflessione femminista con epicentro nella sessualità, il tragitto dall’emancipazione alla liberazione, il pensiero della differenza; le letture condivise: le riviste e i libri ‘di quegli anni’; le battaglie politiche: divorzio, aborto, violenza sessuale.
Corredato da note molto precise e accurate, da un’ottima bibliografia, da immagini bellissime, da un indice di nomi che è in sé un percorso nella storia della città, è un libro da leggere!
Il giorno della presentazione alla Berio una non giovane coetanea mi dice: “sono qui perché mi ci ha portato mia figlia” … bellissima inversione di ruolo tra generazioni che fa da specchio alle parole con cui il libro si conclude: “Tocca a noi farci radici e costruire consapevolmente una genalogia: perché non resti un vuoto storiografico, e perché la memoria storicizzata fornisca a chi è venuto dopo strumenti di conoscenza e consapevolezza”.
Potete trovare il libro presso: Assolibro di C.so Buenos Aires (Augustus); Libreria Einaudi di salita Pollaioli; Books’in di vico Fieno; Falso Demetrio di via San Bernardo; su IBS, o, infine, prendendo contatto con Archimovi.
(Paola Pierantoni – Foto Luciana Brunod) -
OLI 402: ESTERI – Voci dalla stampa internazionale
Ucraina
The Los Angeles Time, 13/03/2014: “E’ cosi difficile da capire lo shock dei russi per il fatto che alti funzionari statunitensi (come il senatore John McCain, l’assistente del Segretario di Stato Victoria Nuland) flirtano con estremisti che sono stati denunciati come antisemiti, xenofobi e persino neonazisti da numerosi gruppi per i diritti umani e anti-diffamazione?”. http://www.latimes.com/opinion/commentary/la-oe-english-ukraine-neofascists-20140313,3347970,5402504.story#axzz2wDbBYdkqStati Uniti e Russia esportano il 56% delle armi nel mondo
Stockholm International Peace Research Institute, 17/03/2014: “I cinque principali fornitori d’armi durante il quinquennio 2009-2013 sono gli Stati Uniti (29% delle esportazioni mondiali), Russia (27%), Germania (7 %), Cina (6%) e Francia (5%). Questi 5 topo fornitori rappresentano il 74% del volume totale delle esportazioni di armi nel mondo. Gli USA e Russia insieme rappresentano il 56% per cento del volume delle esportazioni di armi.” http://www.sipri.org/media/pressreleases/2014/AT_march_2014Siria: il New York Times spiega perche la città di Yabrud è caduta nelle mani del regime
The New York Times, 16/03/2014: “Si è lamentato amaramente della coalizione di opposizione in esilio, che recentemente aveva promesso denaro per sostenere i combattenti ribelli e il governo locale, e per la costruzione di una panetteria. Il denaro non è mai arrivato, ha detto, chiamando gli esuli un branco di bugiardi e ipocriti.” http://www.nytimes.com/2014/03/17/world/middleeast/syria.html?ref=todayspaper&_r=2
Marocco: La disuguaglianza di genere
The New York Times, 17/03/2014: La : “La disuguaglianza di genere in Marocco continua”. La disuguaglianza di genere è forse finita in qualche altro paese? http://www.nytimes.com/2014/03/17/world/africa/gender-inequality-in-morocco-continues-despite-amendments-to-family-law.html?ref=todayspaperAfghanistan: Hamid Karzay dice che non vuole più alcune truppe USA nel paese
The Huffington Post, 15/03/2014: «Ma negli ultimi anni ha sposato un nazionalismo combattivo”. Dopo aver respinto il prolungamento della presenza militare americana, i media si sono rivolti all’improvviso contro di lui. http://www.huffingtonpost.com/2014/03/15/karzai-us-troops_n_4971735.htmlAfrica: la presenza della NATO
Reuters, 13/03/2014: “Un numero crescente di nazioni europee che partecipano mostrano la loro crescente preoccupazione per la sicurezza in Africa Occidentale. Centrale per lo sforzo internazionale è il fiorente rapporto tra gli Stati Uniti e la Francia, ex potenza coloniale e “poliziotto” tradizionale della turbolente regione.” http://www.reuters.com/article/2014/03/13/us-africa-usa-security-analysis-idUSBREA2C1G420140313Russia/USA: sospensione dalla FIFA e divieto di partecipare ai mondiali di calcio
Cbs Sports, 13/03/2014: “La risposta della Russia si legge: “Alla luce delle aggressioni militari degli USA nei confronti di vari Stati sovrani come la Jugoslavia (senza motivo particolare), l’Iraq e la Libia (presunta presenza di armi chimici), del tentativo di invadere e occupare la Siria e dei numerosi casi di violazioni dei diritti umani in tutto il mondo rivelati da E. Snowden, noi rispettosamente chiediamo di convocare d’urgenza una sessione di emergenza della Fifa per prendere in considerazione la sospensione adesione degli USA dalla FIFA negando alla squadra degli Stati Uniti il diritto di partecipare alla prossima Coppa del Mondo 2014 in Brasile.” http://www.cbssports.com/general/eye-on-sports/24481105/us-senators-to-fifa-kick-russia-out-of-2014-world-cup
Iraq
Reuters, 08/03/2014: Circa due dozzine di donne irachene hanno dimostrato il Sabato a Baghdad contro un progetto di legge approvato dal gabinetto iracheno (…) dispone che le ragazze raggiungono la pubertà a nove anni, il che li rende pronte per il matrimonio, rende il padre unico custode dei figli e condona il diritto del marito di insistere nel rapporto sessuale con la moglie quando vuole.” http://www.reuters.com/article/2014/03/08/us-iraq-women-islam-idUSBREA270NR20140308Russia: una sofisticata analisi di politica internazionale del senatore McCain
The Huffington Post, 17/03/2014: “La Russia è un distributore di benzina mascherato da paese”, ha detto McCain a Candy Crowley del programma “Stato dell’Unione” della CNN.” http://www.huffingtonpost.com/2014/03/16/mccain-russia_n_4974361.htmlGran Bretagna
The Telegraph, 13/03/2014: “Uno dei più grandi comandanti militari della Gran Bretagna, Viscount Slim, è stato accusato di aver molestato bambini in una scuola per i giovani disagiati mentre prestava servizio come rappresentante della regina in Australia.” http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/australiaandthepacific/australia/10696544/Britains-finest-WWII-general-accused-of-child-sex-abuse-in-Australia.htmlMondo: cosa si mangia per colazione nel mondo
Yahoo, 14/03/2014: “Questo sguardo a ciò che nel mondo si mangia per colazione è incredibilmente delizioso”. https://www.yahoo.com/food/this-look-at-what-the-world-eats-for-breakfast-is-79560875552.html?soc_src=mags -
OLI 402: LETTERE – Caro Sergio, ecco l’equivoco
Caro Sergio,
In occasione dell’incontro su Conflitto e Capitale allo Zenzero, ho ricordato con emozione le mie tappe di iscritta Fiom all’Ilva, delegata e la decisione di dimettermi.
Era per me un privilegio parlare con te del bilancio, ancorché in perdita, di una militanza sindacale figlia della tua azione politica e della tua capacità di difendere diritti e lavoro.
Posso ammettere che se tu non fossi stato Segretario Cgil io, allora, non avrei nemmeno sperato in una svolta. Te ne sono grata.
Quello che volevo capire era con che occhi vedessi le piazze, il desiderio di cambiamento del 2002 legate al decennio che ci è piombato addosso dopo. Quali le tue emozioni di leader rispetto allo scarto tra l’occasione unica e la perdita dell’occasione stessa che, a mio parere, ha accelerato il declino di questo paese. Più semplicemente se ti capitava di ripensarci passeggiando con i tuoi figli, quale fosse il tuo bilancio interiore.
Hai risposto: Non equivocate un grande consenso sociale con un pari consenso politico e poi hai ammesso credo di aver sbagliato ad aver accettato la richiesta di fare il sindaco di Bologna, dovevo stare da un’altra parte a provarci.
Al tuo fianco Deborah Lucchetti – portavoce dell’associazione Abiti Puliti che si sta battendo per i diritti minimi dei lavoratori tessili in Bangladesh, in Cambogia e Vietnam – ci ha fornito dettagli inediti da un girone dantesco.
Allo stesso tavolo, parlavate di lavoro, ma si poteva percepire uno scarto tra il patrimonio emotivo di Deborah, che raccontava di svenimenti di massa sulle macchine da cucire e di come agire un cambiamento concreto, e il tuo patrimonio umano di una pacatezza vuota che mi è parsa distante dalla passione che aveva animato la tua azione sindacale anni fa. Come se la politica di questi anni avesse spento qualcosa in te. La tua analisi lucida sulla tua impossibilità di incidere in Europa per frenare il TTIP, sull’importanza del made in, e la storia del lavoro in questi anni in Italia e nel mondo si è conclusa con la previsione che le persone che lavorano rivendicheranno rispetto e lo faranno con strumenti inediti in condizioni mutate.
Mentre dal suo osservatorio Deborah raccontava di un conflitto solitario, aspro, che andrebbe appoggiato anche da noi, fatto di scioperi, arresti di lavoratori e della difficoltà di trattare con un padrone incorporeo come le multinazionali, sostenute da governi intenti ad ostacolare i diritti. Governi che decidono salari da fame e favoriscono la devastazione del territorio. Scelte globali che impattano in Italia con aziende che lasciano macerie e politiche che smantellano tutele sociali a favore della finanza, in un’assenza del conflitto capitale-lavoro. Il tutto favorito da una pericolosa incomprensione delle dinamiche della globalizzazione da parte di sindacati, partiti e società civile.
Deborah chiedeva se era possibile incrinare questa idea putrida di sviluppo e, nel riconoscersi minoranza, sollecitava una svolta seria ad una maggioranza di cui tu, in quel contesto, eri rappresentante. Ma a me non è parso che fossi particolarmente animato dalla volontà di essere parte di questa svolta.
Poi il dibattito è finito. Ed io ho compreso perché ho equivocato. Non si trattava di consenso sociale e nemmeno di consenso politico.
Si trattava di persone
(Giovanna Profumo)







