8 marzo – Funzionario e gentiluomo, ma quanto retrò

Col vento di revisionismo storico che tira, non stupisce più di tanto che anche il Tg3 regionale tradisca segni di adeguamento, più meno consapevole. Eloquente al riguardo è il servizio mandato in onda lunedì 5, a tre giorni dall’8 marzo, per sapere dalla “gente”, non solo di strada, se abbia ancora un senso, oggi, al punto in cui siamo, la festa della donna. Tra breve sarà posta analoga domanda per il 25 aprile e per 1° maggio, date ormai venute a noia a molti cosiddetti rinnovatori; ma in attesa di ulteriori esperimenti di epurazione del calendario, per ora è toccato alle donne, come spesso capita, di far da cavie.


Non c’è bisogno di essere femministi per rilevare anzitutto l’incongruenza profonda della domanda posta davanti al microfono e per solidarizzare con gran parte delle signore intervistate, le quali hanno confermato come abbia tuttora un significato e una sua importanza ricordare l’8 marzo. Seppur da genovesi, parche anche di parole, non sono state lì a farla lunga, ma era chiaro che alludevano alla discriminazione sempre attuale verso le donne, alla violenza brutale (Liguria ai primi posti in questa classifica disgustosa) e quella sottile di cui continuano a essere vittime, per non parlare della situazione che fa soffrire non pochi giovani (donne e uomini), impedendo loro di formarsi una famiglia, di avere figli, stante la mancanza di sicurezza, di una prospettiva di lavoro.
La sorpresa è venuta invece quando l’intervistatrice ha posto la fatidica domanda al prefetto. Forse stressato dalle fatiche di qualche estenuante vertice, il rappresentante del governo se ne è uscito con frasi da salotto d’altri tempi: tipo “discriminatoria è la festa, l’equiparazione è nei fatti”, sottinteso: che cosa vogliono ancora le donne, hanno già conquistato tutto, parità di diritti e via elencando. Chiacchiere retrò da Caffè Mangini. Ma a sua scusante c’è perfino chi pensa che abbia peccato solo di condiscendenza: cioè che per fare a tutti i costi il gentiluomo, non abbia voluto deludere l’interlocutrice, smentendo il senso ideologico della domanda rivoltagli. In tal caso, può ritenersi soddisfatto.
(Camillo Arcuri)