Università. Riforma, riformatori, riformisti e nostalgici

In questi giorni il mondo accademico è in fermento. Anche a Genova sospensione dell’attività didattica, formali delibere prese all’unanimità di Consigli di Facoltà e di assemblee di Ateneo alla presenza del Rettore. Sono voci di protesta contro il progetto del ministro Moratti di delega al governo per la riforma dello stato giuridico dei docenti universitari.


Tra i punti più contestati, la istituzione di un precariato permanente come forma di “reclutamento”, la soppressione della distinzione tra impegno dei docenti a tempo pieno e a tempo definito, un regalo, in tempi di miserie economiche, di milioni di euro a coloro che impiegano parte del loro tempo fuori dell’università in attività professionali, la messa ad esaurimento del ruolo di ricercatori.
A queste voci si affiancano quelle dei critici della riforma “tre più due” che avversano il disegno portato avanti dal Ministro Moratti, ma che continuano a considerarlo non tanto un disegno “contro-riformatore” quanto il logico seguito di quello “riformatore” del Ministro Berlinguer: un disegno partito da lontano, basato sulla logica aziendalistica dei “crediti formativi” e sulla moltiplicazione mediatica e pubblicistica di corsi di laurea, sul rafforzamento del sistema delle università private e sulla privatizzazione più o meno palese delle università pubbliche. Questi critici vengono etichettati dai “riformisti creativi” come conservatori di destra e di sinistra o semplicemente come nostalgici (vedi l’appello “Diamo voce alle Università” in http://www.bur.it ): un’insolita asprezza, incomprensibile, a meno che qualcuno ritenga fin d’ora necessario far piazza pulita della “futura opposizione”.
Ma critiche pesanti sono rivolte, oltre che contro gli aspetti più deleteri del progetto Moratti, anche contro “il pansindacalismo e il pensiero unico” di coloro che l’avversano. Pier Luigi Crovetto, Preside della Facoltà di Lingue, in un appello-lettera aperta (il Secolo XIX, 29 ottobre 2004), scrive che la delega al governo per la riforma dello stato giuridico dei docenti, con opportune modifiche, potrebbe andare anche bene. “Signor Ministro, non chiuda occhi e orecchi sulle proposte di emendamento ragionevoli che le arrivano dalla periferia. Eviti per fare un esempio di regalare ai professionisti che scelgono il tempo parziale qualche milionata di stipendio. Ma sul nocciolo duro del suo progetto non si faccia condizionare e vada avanti…. Nessun dubbio, Ministro. La palla è nella sua metà di campo” Ancora una metafora calcistica, anche se la moltitudine che guarda attonita non è la tifoseria domenicale in delirio per la propria squadra, ma decine di migliaia di studenti sui quali si sta giocando, non calcisticamente, il futuro. Sorprende anche la tiepida (compiacente?) reazione da parte di alcuni esponenti dei “riformisti creativi” che trovano nell’appello solo “una provocazione, un invito a proporre oltre che a protestare” (G. Luzzatto, il Secolo XIX, 8 novembre) o addirittura “un documento che arricchisce la discussione” (Sinigaglia, “Centoventesima mela”, e-mail, 30 ottobre)
(Oscar Itzcovich)