Civiltà – Due volte genitori

Il regista Claudio Cipelletti racconta che alla proiezione romana di “Due volte genitori”, rivolta ai parlamentari, ne erano presenti solo quattro. Tra loro Paola Concia che, a fine film, è scoppiata in lacrime. “Piangeva la perdita di un padre e di una madre avvenuta prima di poter dir loro di essere lesbica.”
Circolo Zenzero, 25 novembre. La sala contiene a stento tutti i presenti. Ci si siede anche in terra. Nel documentario dell’AGEDO, l’esperienza di alcuni genitori di gay e lesbiche. Loro hanno saputo.


E accompagnano i presenti in un percorso di consapevolezza dove c’è dolore. Ma anche la felicità insieme ai propri figli. Si raccontano per offrire a chi vede la chiave per abbattere le frontiere che persistono in Italia tra omosessuali e etero. Padri e madri che scoprono per caso che il loro figlio è gay, che aprono i cassetti, sfogliano diari, oppure si trovano con il figlio che si dichiara all’improvviso per lettera, oppure faccia a faccia. Raccontano di essere davanti all’immagine di un figlio che sparisce dall’orizzonte, come una dissolvenza incrociata, tra il prima e il nuovo. Il documentario percorre le fasi della scoperta attraverso le riprese del gruppo terapeutico nel quale i genitori si esprimono. Immediata è l’empatia dello spettatore che, attraverso primi piani e r acconto, viene accompagnato nelle storie dei singoli. C’è spazio per tutto, per ridere e per piangere. E per rinascere, loro per primi, insieme al figlio. C’è la storia di Cristina che, dopo l’outing nel suo gruppo scout, si è vista togliere tutti gli incarichi e che, cercando conforto dal suo vescovo, si sente dire che “gli omosessuali non rientrano nel progetto di dio”. C’è chi si chiede dove ha sbagliato e pensa di far causa alla Chicco perché ha letto che nei ciucci forse è stato messo un elemento determinante per la sua omosessualità. E ancora chi stacca dalla porta tutte le foto del figlio bambino, perché quel figlio non esiste più. E i pranzi di famiglia ripresi dalla telecamera nei quali si ripensa insieme a ciò che è stato. A fare da cerniera gli episodi del viaggio in treno di una madre che parla di omosessualità con i suoi compagni di scompartimento. I volti dei passeggeri oscurati dalla telecamera, in chiaro a chi guarda solo la faccia della donna e le conversazioni: “Ma suo figlio non ha cambiato idea?”, “Non può cambiare idea! Lui è così”. Torna, nello scompartimento, l’omosessualità come malattia, come evento da sopportare ad una certa distanza. Quindi la banalizzazione estrema delle ragioni per le quali l’omosessuale non può essere accettato. La madre spiega paziente ai viaggiatori la sua storia, colorando una maglietta per il Pride.
A fine proiezione i presenti in sala sono immobili. Passano parecchi minuti perché torni la parola. Poi qualcuno fa notare che spesso i genitori sono abitati da certezze: “Ho investito su di lui. Ho mappato tutto il territorio. So come sarà. Prima o poi questo investimento è destinato alla bancarotta”.
Dell’idea di amore e dell’essere amati non si riesce a parlare. Ma “Due volte genitori” ne dà una traccia importante, insieme ad una strada che abolisce l’ambiguità della parola tolleranza e diverso dai nostri orizzonti.
Sito dell’Agedo: http://www.duevoltegenitori.com
(Giovanna Profumo)