Privatizzazioni. Attenzione: la RAI-TV può cambiare (in peggio)

C’è una strana aria bipartisan attorno alla privatizzazione della RAI. Il percorso è ormai noto da tempo: il 30% del capitale RAI sarà collocato in Borsa entro l’anno, il resto in seguito, secondo uno schema già sperimentato. Il “servizio pubblico” verrà scorporato, finanziato con il canone. La privatizzazione dovrebbe riguardare le attività commerciali. Quelle che guadagnano principalmente con la vendita della pubblicità, come fa Mediaset.


Per impedire che la RAI cada nelle mani di un concorrente, nessuno potrà avere, mi pare di aver letto, più dell’uno per cento. Non ho i dati sottomano: qualcuno ricorda come sono finite le privatizzazioni fatte “non tanto per fare cassa, quanto per cambiare/modernizzare il capitalismo italiano, creando finalmente public companies all’americana” (cfr. privatizzazioni IMI, Telecom, ENEL, ENI ecc.)? E il “servizio pubblico” che fine farà? Avremo una tv “culturale” di nicchia, mentre il vasto pubblico sarà abbandonato alla tv commerciale, dominata dalle esigenze pubblicitarie?
A me pare che una tv “culturale” serva a poco. La cultura è veicolata meglio da altri strumenti: libri, teatri, musei, scuole, università… Serve invece una tv di qualità, che competa con le tv commerciali sul loro terreno, con informazione e intrattenimento adatti alle esigenze di svago del grande pubblico (di cui fanno parte anche gli intellettuali): anche lo svago può essere intelligente. E’ un sogno? Non del tutto, perché anche nella tv attuale non mancano i programmi di qualità, compresa la (da molti) non amata Mediaset (soprattutto Italia uno). Ma anziché andare verso il meglio, rischiamo di dover perfino rimpiangere la tv di questo periodo, visto che anche l’opposizione si accontenta di una riforma che considera la RAI un’azienda come le altre, non quello che è: la più grande istituzione culturale di massa del paese (ricordiamoci, per inciso, che RAI vuol dire anche radio e produzioni cinematografiche).
In Spagna Zapatero ha nominato una commissione per dare alla tv pubblica un assetto al di fuori dei partiti. La commissione ha subito raccomandato di ridurre la pubblicità sulle reti pubbliche. Ecco due punti programmatici che vorremmo sentire dal centrosinistra: un assetto sottratto al controllo dei partiti, un’azienda che utilizza il canone per ridurre l’invadenza della pubblicità e il condizionamento negativo che essa esercita sulla qualità dei contenuti.
Si dice che la vecchia tv generalista ha fatto il suo tempo. Grazie al digitale e a internet sempre più useremo la TV come un computer, in modo interattivo, per vedere i film e le partite. Ognuno si farà il proprio palinsesto.
Balle. La tv generalista ha ancora una funzione insostituibile, specialmente per vaste categorie di utenti. Gli utenti consapevoli, attivi, protagonisti sono e saranno, per lungo tempo, una minoranza. Ma la tv generalista è insostituibile in quanto è l’unica che ci fa partecipare agli eventi, dal concerto del 1° maggio ai varietà, ai quiz, ai talk show, ai serial ecc.
I lavoratori della RAI che ne pensano? Silenzio… oppure, forse, un brusio che non giunge alle orecchie un po’ assordate del gran pubblico. Non è un po’ strano? Quanto al centrosinistra, temo che il primo dei due punti programmatici detti sopra faccia parte della spiegazione…
Questo che sta passando nel silenzio quasi generale è un treno tra i più importanti per il futuro dell’Italia. Vorrei essere smentito, ma temo che ce ne accorgeremo (tutti noi, anche i “movimenti”) troppo tardi e ci mangeremo sterilmente le mani.
(Pino Cosentino)