Carlo Felice – Il cellulare stecca due volte Rossini

Piccolo gingle da suoneria di cellulare poi: “il vostro telefonino non è previsto nello spartito dello spettacolo, Vi preghiamo di spegnerlo”. Normalmente accadeva sempre. E sempre le mani si tuffavano nelle tasche e nelle borse con un moto di rassegnazione per eliminare in maniera definitiva il contatto con l’esterno, la telefonata del conoscente, il messaggio di risposta.


In alcuni il fastidio era più forte. Quel cellulare era, ai loro occhi, la via di salvezza dall’attentato, dal cataclisma, da un improvviso black out. La voce fuori campo sembrava li rendesse inerti, quasi 007 senza licenza ad uccidere. Metteva fuori uso la grande occasione della loro vita sospendendola ad istanti più opportuni. Normalmente, lo spettacolo filava liscio. Le stecche, le arie, gli applausi, i gesti del direttore, il roteare delle sue braccia ed anche la noia trovava un suo spazio, laddove l’opera o il concerto parevano infiniti, con una regia sbagliata, con interpreti inadeguati. Una bolla di tre ore – pause tra un atto e l’altro che consentivano il ritorno alla schiavitù da cellulare – nelle quali pubblico e cantati tessevano q uel filo che a Genova è parco di entusiasmi ma capace di generare tributi sinceri davanti alla bravura.
Normalmente accadeva sempre. I cellulari tacevano. Loro cantavano.
Domenica 28 maggio al Carlo Felice, per l’ultima messa in scena di La Cenerentola di Rossini la voce fuori campo non c’è stata. In platea il pubblico delle pomeridiane, il pubblico degli stanchi, dei nonni che vanno a letto presto, dei bambini, dei francesi che immagini vengano in giornata per poi tornare a casa. E’ un pubblico senza obblighi di visibilità, che commenta l’aria, che grida “bravo” senza pudori, che conosce l’interprete perché “sì l’ho visto l’anno scorso… si ricorda?”. Porta il libretto da casa. E’ il pubblico che ogni cantante vorrebbe avere perché va all’opera per l’opera. Nonostante i costi.
Domenica 28 maggio c’era la RAI al Carlo Felice. Telecamere piazzate a destra e a sinistra della platea. Una che spuntava sul palco, nascosta alla buona, tra le scenografie. Ma con Rossini anche la telecamera è dimenticata. Un libretto formidabile, cantanti, regia, direttore davvero bravi.
Lo 007 è stato chiamato su una delle arie più importanti verso la fine dello spettacolo. Due volte. Alla prima il direttore si è arrestato per un istante. Alla seconda si è anche voltato – lui che di musica se ne intende – cercando, dalla parte da cui proveniva il suono, il colpevole, come fosse un elemento dell’orchestra. Non ha lasciato il podio solo grazie al tenore che benevolmente ha dato l’attacco alla nota successiva.
Lo 007 ha ridotto in fin di vita una registrazione che a detta di un tecnico “non sappiamo quando verrà messa in palinsesto. Certo che quel telefonino sarà dura eliminarlo…”
A questo punto vorremmo i dettagli della missione.
(Giulia Parodi)