Carceri – Un calore che non scalda

Pensiamo a un’ora. E inquadriamola nella nostra vita. In quello che facciamo. Se la buttiamo o la mettiamo a frutto.
E poi immaginiamo quest’ora come fosse la più preziosa della settimana, la sola ora disponibile per dare un senso alla relazione con i figli. Il solo tempo godibile. Nulla di più. Per vederli crescere, per incontrarli e coprirli di carezze.
E l’umore di entrambi sia il migliore possibile, perché, altrimenti, passeranno altri giorni prima che ci si riveda.
Ecco, dovremmo indossarli un po’ questi sessanta minuti, immaginandoli nel nostra vita. Ci accorgeremmo che la mente non riuscirà a metterli a fuoco, allontanandoli con fastidio, come molte cose che non stanno nelle nostra esistenza, che ci vengono raccontate, ma non fanno per noi.


Venerdì 17 ottobre al carcere di Chiavari non bisogna ricorrere alla fantasia. Quell’ora d’incontro prende corpo davanti alle istituzioni – Presidente della Provincia Repetto, assessore alle carceri Bertolotto, provveditore dell’amministrazione penitenziaria Salamone, e vescovo di Chiavari Monsignor Tanasini – raccontata da Giuseppe, in occasione dell’inaugurazione dell’area verde. “Non ci sono belle prigioni” dice Giuseppe e molti pensano che questa “sia una sciccheria che non meritiamo. La sala colloquio è un luogo angusto, ci si ritira profondamente addolorati per non essere riusciti a trasmettere l’affetto. La sala colloqui è invasiva. Ma questo non è un evento eccezionale e non è la prima area verde. Chiavari si è adeguata”. Parla di “una condizione umiliante” nell’ora di incontro con i figli. Davanti a Giuseppe molte persone, accanto a lui la direttrice Maria Milano, che della vita in carcere ha un’idea alla Brubaker che abbraccia rispetto per l’altro e possibilità che la pena venga scontata valorizzandone la missione rieducativa.
L’area verde è circondata da alte mura rosa. Odora di nuovo. Era lo spazio abbandonato della casa circondariale. Quadrati di terra scura, appena seminata, ornati da vasi di ciclamini bianchi, fiancheggiano il muro. Mura e prigione sono il confine di un breve percorso che sfocia in una piccola piazza. Cartelloni mostrano il prima e il dopo, come si fa con la storia di tanti luoghi, quando diventa umana. Sergio mi spiega: “Ci abbiamo lavorato soprattutto in due. E’ da febbraio che ci lavoriamo!” E’ orgoglioso e mostra le foto con i passaggi: pulizia arbusti, demolizioni, smaltimento materiali, semina dell’erba, mentre Giuseppe racconta: “nella sala colloqui i bambini devono stare composti, non c’è calore. E’ un calore che non scalda”. E indica l’area verde come luogo di cambiamento.
Su un cartellone hanno scritto: “Si fa notte, le luci della città diventano più intense, ma la tristezza è dimenticata. Oggi, malgrado la solita vicinanza, ho avuto la sensazione che l’aria non sia respirata da troppe persone.”
(Giovanna Profumo)