Autore: Redazione

  • OLI 288: EGITTO – Unità tra sessi e religioni nell’Egitto in lotta

    Venerdì 4 febbraio 2011: altra manifestazione milionaria in piazza della Liberazione (maidan al Tahrir). La preghiera del venerdì, che ha un significato particolare nella tradizione musulmana, sta per iniziare in piazza. Tutti vogliono partecipare alla preghiera, anche quelli che fanno servizio d’ordine ai sei ingressi della piazza per proteggere i manifestanti dagli attacchi dei resti delle forze di sicurezza del regime in borghese (sono in abiti civili, per apparire come cittadini sostenitori del regime e sfuggire all’intervento dell’esercito in difesa dei manifestanti) e dai famosi balttagìa (mercenari pagati dalla Mukhabarat – i servizi segreti – del regime, delinquenti comuni e criminali che solitamente impongono il loro controllo del territorio esercitando violenza nei confronti dei cittadini e terrorizzandoli. Ora sono mercenari al soldo del regime. Letteralmente sono i portatori di baltta; cioè ascia o grossa arma bianca). Nei giorni precedenti i balttagìa hanno invaso la piazza su cavalli e cammelli ed hanno attaccato i manifestanti. La notte precedente avevano attaccato i manifestanti con il lancio di bottiglie molotov e pietre.
    Per permettere anche ai membri del servizio d’ordine di partecipare alla preghiera, circa diecimila dei cristiani egiziani presenti in piazza hanno formato una diga umana ai sei ingressi della piazza, proteggendo i loro compagni musulmani durante la preghiera.
    Domenica 6 febbraio 2011: i cristiani egiziani hanno celebrato la messa domenicale in piazza al Tahrir circondati e protetti dai manifestanti musulmani.
    Due scene che evidenziano la forte unità tra egiziani musulmani e cristiani nella lotta contro il regime di Mubarak ed evidenziano il ruolo negativo di questo regime sulla convivenza tra religioni diverse e le sue responsabilità negli ultimi avvenimenti, precedenti alla rivolta, che hanno causato molte vittime cristiane. Una delle caratteristiche dei regimi dittatoriali è quella di creare divisioni tra i cittadini di diverse etnie o religioni proprio per conservare un potere totalitario aggressivo e despota.

    Le donne sono presenti ed hanno un ruolo molto attivo nella rivolta contro il regime, donne giovani e vecchie, con il velo e senza velo, con il vestito tradizionale e con i pantaloni o la gonna, donne laiche e religiose, musulmane e cristiane. I giovani uomini cercano soltanto di evitare che le donne facciano parte del servizio d’ordine agli ingressi della piazza e che affrontino la violenza dei balttagìa. Per il resto partecipano a tutte le attività, sono certamente le più attive negli ospedali di campo a curare i feriti, le più brave a portare cibo e quanto serve in piazza, sono le più brave a rappresentare la piazza quando sono intervistate dai media, sono le più organizzate, sono quelle che più hanno una visione chiara sulla prospettiva politica del paese, su come vorrebbero che si evolvesse la rivoluzione, sono le più determinate: non si tratta con il regime prima della caduta di Mubarak, sanno che è l’occasione della loro vita e della vita delle loro figlie e delle donne in tutta la regione per ottenere parità, libertà e democrazia.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 288: LAVORO – I giornalisti si ribellano al lavoro sottopagato

    Il lavoro precario e sottopagato non risparmia i giornalisti. L’iniziativa di terrelibere.org, curata da Raffaella Cosentino, ha uno slogan che richiama le battaglie degli africani di Castel Volturno: “non lavoro per meno di 50 euro”. E’ una “promessa” che viene fatta, soprattutto a sé stessi, di rifiutare lavori per meno di quella cifra, simbolica e minimale, pur sempre superiore ai pochi euro che spesso si vedono offrire da quotidiani e riviste. Dalla home page del sito: “Chi aderisce alla campagna promossa dall’ebook “Quattro per cinque” non accetta più di scrivere senza garanzie. “Io mi sono sempre rifiutato – scrive Gabriele Del Grande nella prefazione – motivo per cui non ho mai scritto con una serie di quotidiani che Raffaella Cosentino cita nella prima parte del suo libro e che poi sono i quotidiani che fanno le loro battaglie ipocrite contro il precariato. Ma come ben spiega anche lei, il fenomeno è ben più vasto, e anche i principali quotidiani italiani non ne sono esenti”.
    Il sito propone l’acquisto di un libro in formato pdf a 4 euro, dal titolo “Quattro per cinque”, a memoria dei cinque proiettili ricevuti dall’auto della giornalista Angela Corica, pagata quattro centesimi a riga per l’articolo non piaciuto alle cosche locali.
    Inutile dire che l’iniziativa non ha trovato spazio sui quotidiani tradizionali che di tale sfruttamento vivono, pur essendo finanziati dallo stato e ricchi di pubblicità a pagamento. Avrà quindi ragione Beppe Grillo nella sua ormai decennale battaglia contro l’Ordine dei giornalisti e contro il finanziamento pubblico all’editoria? Il numero di firme raccolte nei suoi referendum direbbe di si.
    http://www.terrelibere.org/terrediconfine/i-giornalisti-sfruttati-si-ribellano-seguendo-lesempio-degli-africani-di-castel-volturno
    http://40per50.blogspot.com/
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 288: SPAGNA – I cattivi urbanisti

    Foto di Bianca Vergati

     Sulla stampa spagnola imperversa il “satrapo” Berlusconi e una lettrice scrive su El Mundo del 27 gennaio che “Per fortuna i nostri politici non hanno così abominevoli abitudini ma noi spagnoli abbiamo da guardare i nostri politici urbanisti”.
    Sembra incomprensibile il confronto.
    Las caias suman 38.000 millones en immuebles por crèditos fallidos”, titola in prima pagina El Pais il 1° febbraio. Ovvero le casse di risparmio hanno una montagna di debiti inesigibili nei confronti del settore immobiliare, tali da far sì che il Governo Zapatero abbia deciso di soccorrere ulteriormente e di “nazionalizzarle” per almeno cinque anni. Non bastasse la grave crisi economica si deve aiutare con altri fondi chi ha di fatto pesantemente speculato negli immobili.

    Foto di Bianca Vergati

    Uno straniero non si capacita sino a quando non fa un giro sulle coste spagnole.
    Un tour della memoria di spiagge incantate, di quel mare spumeggiante, colmo di “ochette” di onde, un mare che non si è abituati a vedere: spiagge libere, dorate di sabbia fine, che toccano il cuore e d’inverno paiono altri mondi.
    Una ferita da Gibilterra a Barcellona.
    Promontori superbi e piccoli golfi offuscati allo sguardo, nascosti da file e file di palazzoni a dieci, dodici piani, uno dietro l’altro, tanto fitti da chiedersi ma il mare dov’è: alveari dalle finestre sbarrate, quasi occhi di di prigioni. Vento che soffia, polvere ovunque, bar chiusi, insegne spente.
    Non si è fuori stagione.
    Semplicemente sono case invendute in un paesaggio desolato, edifici inanimati che forse non hanno mai avuto una vita. Lo testimoniano le tante gru abbandonate, gli scheletri di palazzi incompiuti che verso sera si stagliano nudi, macabre silhouette. Dov’è la gente che doveva abitarvi?
    Ora è chiaro ciò a cui si riferiva la lettrice di El Mundo.
    E’ vero, il turismo ha creato lavoro, fatto vivere luoghi che forse sarebbero stati abbandonati, ma si è devastato per sempre un territorio che la gioia di vivere della sua gente non riuscirà a compensare.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 288: CITTA’ – La rivoluzione del bucato

    Foto di Monica Profumo

    In almeno due città della Liguria, una di destra e una di sinistra, si è deciso di impedire ai cittadini di stendere il bucato fuori.
    Ma perché?
    In nome di una estetica da condominio chic? Cespugli quadrati, non si accettano cani e bambini?
    Il bucato steso fuori è una tradizione italiana, è allegro, è estetico, è ecologico: si asciuga ad energia eolica, e solare: che modernità!
    Ma soprattutto, ce lo stendiamo in pace da secoli, senza far male a nessuno.
    Mi chiedo: ma quando in Italia è esibito tanto schifo a tutte le ore, roba che non si sa come spiegarla ai bambini, quando il cittadino perbene vive ogni giorno l’impunità di chi gli fa torto, perché dobbiamo accettare un controllo sempre più fitto del nostro innocente quotidiano?
    Allora vorrei vedere la rivoluzione del bucato, una faccenda senza pietre e pistole con fili stesi tra un’auto e l’altra, calzini spaiati sparsi come coriandoli, felpe e lenzuola che danzano al vento per dire: “noi il marciume e la muffa nelle nostre case non li accettiamo! I panni che stendiamo, noi, sono puliti”.
    ( Monica Profumo)

  • OLI 288: CITTA’ – Genova alla finestra

    Venerdì 11 febbraio alle ore 16:30, nell’Auditorium di Palazzo Rosso a Genova, si terrà un incontro seminariale nell’ambito della mostra TESTIMONI INATTENDIBILI Il Paesaggio Contemporaneo nelle Fotografie degli Architetti, a cura del Comune e dell’Ordine degli Architetti della provincia di Genova.
    Sarà proiettato tra l’altro il documentario Genova alla Finestra, realizzato da Giorgio Bergami nel 1977. Ricevette il Premio Qualità, ma fu respinto dal Comune, che intendeva utilizzarlo per promuovere nel mondo l’immagine della città a patto che l’autore tagliasse la parte finale dove la cementificazione delle periferie manifestava tutto il suo colpevole squallore, in controcanto con il fascino del centro antico e misterioso. Bergami, con raro rigore, si rifiutò di mutilare la propria opera in cui la superba città emerge non in immagini soltanto accattivanti, ma nell’autenticità della sua complessità e delle sue contraddizioni anche sgradevoli ma vere. Il film rimase nel cassetto, Genova perse un’occasione per presentarsi con onesta sincerità.
    (Ferdinando Bonora)

  • OLI 288: PAROLE DEGLI OCCHI – Speculazione edilizia a Genova

    Foto dal catalogo
    Parole degli occhi. Giorgio Bergami, 50 anni di fotografia, Milano, ed. Mazzotta, 2007
  • OLI 287: VERSANTE LIGURE – SETTIMO: NON RUBYRE

    Il Clero sarà brusco?
    La Chiesa or si oppone?
    Riparlerà Bagnasco?
    Rituonerà Bertone?
    Più non mi riconosco:
    per la Liberazione
    da Papi & sottobosco
    confido in un sermone.
    Confessional finisco
    (però, che depressione!).
    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA
  • OLI 287: STORIA – Dopo l’ultimo testimone, ne verranno altri

    Judisches Museum, Berlino. foto Paola Pierantoni

    Lo storico David Bidussa pubblicò Dopo l’ultimo testimone nel 2009. Due anni e qualche giorno dopo il 27 gennaio, domenica scorsa, il suo libro è stato ancora al centro di un incontro presso il Palazzo Ducale di Genova nell’ambito della commemorazioni del giorno della Memoria. L’appuntamento è stato organizzato dalla Fondazione Palazzo Ducale, dal Centro Primo Levi, dalla Comunità di Sant’Egidio e dall’Archivio di Stato di Genova. Quest’ultimo ha recentemente ricevuto in dono due importanti fondi storici, il primo dalla Prefettura di Genova che raccoglie documentazione della Repubblica di Salò, delle confische dei beni dei cittadini genovesi di origine ebraica dal ’43 in poi, il secondo dalla Corte Straordinaria d’Assise, riguardante i processi svoltisi sino al ’47, con qualche strascico l’anno successivo, per imputazione di collaborazionismo, chiusi nella quasi totalità con l’amnistia.
    Alcuni di questi documenti prendono voce grazie ad un gruppo di attori del Teatro Stabile di Genova. Anche il nome di Brenno Grandi, che campeggia alle spalle degli oratori, tra i quali anche Luca Borzani e Doriano Saracino oltre David Bidussa, si fa corpo e spazio in tutta la violenza e disprezzo gratuito che gli fecero mandare a morte famiglie di genovesi. Bastano poche parole e ci si accorge che passando per via Montallegro, alle spalle della famigerata Casa dello Studente, si è catapultati nell’odissea della famiglia Sonnino. Solo Piera sarà l’unica naufraga a tornar viva di tutti i componenti tradotti nei campi di concentramento, i due genitori e i sei figli. Le sue parole limpide, lucide, compite, scritte a macchina dieci anni dopo il ritorno a Genova, rimarranno chiuse per quasi mezzo secolo in una cartelletta rossa, sino a che sua figlia, Maria Luisa, non contatterà il periodico Diario, che le pubblicherà integralmente nello speciale della Memoria 2002. Nel 2004 il diario di Piera Sonnino diventerà un libro, dal titolo Questo è stato, una famiglia italiana nei lager.
    Il tono marziale e dolorosamente freddo della documentazione burocratica, che enuncia i beni sottratti, dal pianoforte Woodstock, alla macchina da cucire ritraibile Singer, è stemperato dalla malinconia della musica e della voce di Eyal Lerner che apre il cammino all’ascolto nell’uditorio. Tutti i partecipanti danno un contributo a focalizzare l’opera di Bidussa, chi per punti, come Borzani, mettendo in evidenza come le domande che lo storico si pose due anni fa non abbiano ancora oggi trovato una risposta esaustiva. Borzani evidenzia tre passaggi fondamentali in quest’opera, primo, il significato di “Giorno della Memoria”, non inteso come commemorazione delle vittime della Shoah, ma come riflessione dei vivi, come non appiattimento nella conciliazione delle memorie.
    In secondo luogo la difficoltà a riconoscere nuovamente una normalità e a riuscire ad esternare ciò che è stato sia da parte del fronte burocratico statale con le amnistie (tendenza di pacificazione apatica e acritica insita nell’animo italiano), che da quello emotivo dei sopravvissuti.
    Terzo punto, che guarda al futuro, quale possa essere un rapporto tra emozioni e ragione, memoria e storia, che non solo salvaguardi le testimonianze del passato, ma dia una loro ragion d’essere nel e al presente. La morte dell’ultimo dei testimoni non deve la vittoria di idee antistoriche sul nazismo, né tantomeno l’estensione della zona grigia, coltre nella quale non si intravedono più neanche i contorni di tragedie recenti o vicine come quelle dei Balcani, del Darfur, del Rwanda.
    (Alisia Poggio)

  • OLI 287: Politica – Gradi di separazione tra la realta’ dei lavoratori e dei politici

    Fotografia di Sergio Banchieri

    C’è qualcosa di assai sottile che si contrappone alla “legittima” scelta della Fiom di scendere in piazza per dar voce ai diritti dei lavoratori Fiat.

    E’ tanto sottile quanto pericoloso perché fa leva sulla pacatezza che dovrebbe vincere su “una nuova stagione di duro conflitto sociale”.
    Giovanni Lunardon – vicesegretario Pd Liguria – su Repubblica ed. Genova di lunedì 31 gennaio, dopo aver scritto che “il Pd è vicino, sempre, a tutti i lavoratori che manifestano per i propri diritti e per il lavoro” spiega al lettore che non è condivisibile la scelta di Marchionne sulla rappresentanza, che è un grave errore mettere in discussione il contratto nazionale, che “il vero punto debole” del progetto Fiat “è la scarsa chiarezza sul piano industriale”. Ma aggiunge che, contrapposta al conflitto e alla rottura del fronte sindacale, c’è una strada “più difficile, più faticosa e ambiziosa ma probabilmente più utile per difendere i diritti dei lavoratori e contribuire alla ripresa dell’economia del paese”. E’ la strada nella quale vanno ricucite le divisioni sindacali, create le condizioni politiche e sociali per un accordo tra le parti, fatta una legge sulla rappresentanza in grado di dar voce sugli accordi ai lavoratori con il referendum. Infine va aperta “una nuova fase che ci conduca nel cuore del modello tedesco con la partecipazione dei lavoratori alle scelte strategiche delle (grandi) aziende, sperimentando forme inedite e innovative di democrazia sociale”.
    Progetto ambizioso quello del Pd, ma che non considera gli elementi del contesto sul quale il conflitto sta crescendo.
    Primo fra tutti la scelta ostinata di Fim e Uilm di non tenere conto della volontà dei lavoratori. Secondo, la totale assenza di condizioni politiche e sociali per una legge sulla rappresentanza; infine l’aspirazione al modello sindacale tedesco, in mancanza in Italia di (grandi) aziende che desiderino condividere utili e scelte strategiche con i lavoratori.
    Lunardon pare dire che il Pd sta vicino ai lavoratori, ma alle sue condizioni. Vicino, sì, ma a una certa distanza.
    Venerdì 28 gennaio 2011 in via XX Settembre a Genova i partecipanti alla manifestazione della Fiom hanno coperto l’intero tragitto da Piazza de Ferrari a Via Fiume. Molte altre categorie hanno partecipato.
    Nulla di ambizioso, sia chiaro. Solo la volontà di presidiare quello che sta per essere tolto. Perché all’ambizione si può aspirare quando i livelli di benessere sono elevati, quando a miglioramento si può aggiungere miglioramento. L’ambizione è un sentimento nobile e progressista, anche riformista ma in presenza di condizioni favorevoli. Oggi il mercato del lavoro non produce nessun sogno, tantomeno quello indicato da Lunardon, vicesegretario del Pd Ligure. E la volontà di modificare l’articolo 41 della Costituzione è un segnale lampante di quali “forme inedite e innovative di democrazia” si vogliono sperimentare in Italia. Forme di cui i giovani sono ben consapevoli.
    Accanto a quei lavoratori, insieme agli studenti, anche Sergio Cofferati parlamentare europeo del Pd eletto in Liguria.
    Chissà, sarà lo stesso Pd?
    No. Non poniamo domande ambiziose.
    (Giovanna Profumo)