Autore: Redazione

  • OLI 382 – VIAGGI: Il diario di Giulia

    Demi 3 maggio venerdì
    A Mariella è rispuntata la malattia della pelle, dormirebbe tutto il giorno al sole.
    Ho pensato che la pelle è, fra i cinque sensi, il più diffuso del nostro corpo e separa la nostra interiorità da ciò che è esterno e spesso se l’energia è bloccata, manifesta disturbi.
    Il mio retropensiero è che lei si sta richiudendo in sé e i nostri progetti di viaggio stanno svanendo. Alcune persone col capo coperto di bianco sono venute per ascoltare la preghiera del venerdì trasmessa dalla radio messa fuori casa.


    (Aidà va all’orto con i bue bambini)

    Lamine, che prima della crisi economica mondiale era guida turistica, ora segue qui gli affari di Dù. Dice che domenica è la giornata migliore per visitare Dakar, perché c’è più tranquillità il giorno dopo la festa che è di sabato. Decidiamo di partire domenica mattina.

    E’ passata Aidà con un cesto di carote per noi.
    Al mare, sulla battigia alcuni giovani si esercitano nella lotta libera, altri si esibiscono in esercizi ginnici.
    Seguo un uomo che cammina in direzione Dakar cantando mentre sgrana il suo “corto rosario”. Mi fermo per guardarne un altro che sta facendo un falò per il suo pesce.
    Rientrando passo da Aidà. E’ stanca, ha dovuto dar da bere anche all’orto di un suo zio e il piccolo sta male.
    Le propongo di aiutarla, domani. A Dakar andremo domenica. Invece no, domenica la macchina serve a Dù quindi a Dakar ci si andrà domani.
    A fine giornata penso che per me nove giorni sono abbastanza qui a Demi.
    (Giulia Richebuono)

  • OLI 382: TEATROGIORNALE – Grazie di tutto

    La ragazza è seduta davanti al tavolo in marmo della sala, davanti a lei un quaderno aperto, una calcolatrice e degli scontrini. Al suo fianco c’è il padre, mani sulle ginocchia e testa bassa. Dal corridoio che porta in cucina si sente un rumore di pentole.
    – Ricapitolando abbiamo un debito di duemila e quarantuno euro.
    – Punto tre – dice il padre con un filo di voce.
    – Punto tre cosa?
    – Punto tre e basta, c’è scritto duemila e quarantuno punto tre, e credo che sia giusto tenerne conto.
    La figlia lo guarda incredula
    – Va bene punto tre. Papà, ci sono cinquantadue euro in più rispetto all’anno scorso
    – Punto sei.- ribadisce il padre
    – Punto sei, mi sta anche bene, ma sono ben ottantatré punto tre euro rispetto a due anni fa. Vuol dire che prima dovevamo solo duemila e diciassette euro punto sei, ma non sono quei sei contesimi che fanno la differenza, capisci? Se continui a fare debiti a destra e a manca, l’anno prossimo avrai tremila euro di debiti, capisci?
    – Si, mi dispiace. Non sono mai stato capace a tenere i conti e ora ci ritroviamo in questa situazione.
    – Non importa papà, dimmi un po’: con chi abbiamo questi debiti? Dalla porta sbuca la moglie, ha un vassoio con due tazzine di caffè, una zuccheriera e un cartoncino di latte.
    – Diglielo, diglielo che hai chiesto un prestito.
    – Sì, allo zio, lo so – dice la ragazza versando un po’ di latte nel caffè.
    – Macché settecento venticinque virgola tre li ha chiesti ad altri.
    – Ma come ad altri? Ma chi sono questi altri? Non mi fate preoccupare per cortesia. Ma perché avete chiesto un debito ad altri? Con lo zio ci si può ancora parlare, è uno di famiglia, ma chi sono questi altri?
    – Stranieri, che ne so – dicendo questo la madre ritorna in cucina con le tazzine di caffè vuote.
    – Ma non potevate chiederli a me, scusate, questi 725 euro.
    – E’ che io gli ho già detto che tu gli darai 35 mila euro.
     La ragazza è rimasta con i fogli in mano, guarda il padre, è come se non riuscisse a metterlo a fuoco e poi si rimette a leggere il quaderno dei conti:
    – Amministrazione locale: 115,5 miliardi. Di cosa scusa?
    – Di euro.- il padre guarda la figlia da sotto in su mentre la madre rientra prepotentemente nella discussione.
    – Ma siamo migliorati: prima erano 118 miliardi di euro.
     La ragazza si gira verso la madre e molto lentamente le dice
    – Voi avete speso deumila e quarantuno miliardi di euro.
    -Virgola tre. Ma è stato per mandarti a scuola, metterti l’apparecchio, portarti a sciare e al mare. Dovresti ringraziarci invece di aver sempre qualcosa da ridire – la figlia fa per ribattere qualcosa ma la madre la precede.
    – E in Inghilterra per l’inglese, le scarpe nuove, il motorino, le ripetizioni.
    – Si, ma io non ce li ho 35 mila euro, sono una precaria che lavora, se va bene, otto mesi l’anno. E poi, comunque, qualcuno dovrà ben dare tutti questi soldi quando voi non ci sarete più, e come facciamo? Vi siete già venduti le case della nonna, i terreni dello zio. Ma dove li trovo duemila miliardi?
    – E quarantuno
    – Virgola tre.- aggiungono i genitori e si alzano, la abbracciano, la baciano ed escono di casa.
    – Grazie, cara, avevamo bisogno proprio del tuo sostegno, quando risolvi facci sapere.
    E si chiudono la porta alle spalle. La ragazza, in piedi, davanti al tavolo in marmo della sala, legge il quaderno dei conti:
     – Regioni: 46,7 miliardi, 6 miliardi in più in un anno, ovvero 1,58% in più che, se rimane costante, in tre anni diventa 64,7 miliardi ovvero 2106 tondi tondi di debito complessivo, ma i comuni sono stati più bravi perché sono passati da 51 miliardi a 45,5 miliardi, quindi 6,5 miliardi in meno che in tre anni fanno 18,5 e quindi il debito totale sarebbe di 2087,5 ma contando gli interessi, a quanto ammontano gli interessi? E le entrate? Eccole qui: entrate tributarie 113,050 miliardi l’anno, quindi a metà aprile del 2031 potrei aver saldato il debito se non faccio più debiti e non pago gli interessi. Ma cosa vuol dire questa cosa qua? Contabilizzate 29,2 miliardi, e quindi? Arrivano gli altri, oppure no? Portiamo avanti l’ipotesi più nera: a soli 29 miliardi l’anno ci metto settant’anni… senza fare spese e senza pagare gli interessi. Ma chi sono questi stranieri?
    La ragazza si guarda attorno, chiude tutte le finestre con tanto di persiane, da i giri alla porta di casa.
    – Duemila e quarantuno miliardi di euro… ma il bancomat papà me l’ha restituito? E la carta di credito?
    Alla ragazza suona il cellulare, è arrivato un messaggio:
    – Pensi che a tuo figlio possa piacere un monopattino nuovo? E dimenticavamo: come garante, gli stranieri hanno voluto anche la sua firma ma, visto che Giacomo non sa ancora scrivere, gli abbiamo messo la sua impronta digitale. Ti vogliamo bene. Mamma e Papà. La ragazza Sorride, risponde al messaggino, prende la sua giacca, la sua borsa ed esce senza chiudere la porta:
    – Mi dispiace ma il debito da voi creato è troppo alto, prendo mio figlio e mi trasferisco altrove. Non è conveniente far parte di questa famiglia, cercherò una famiglia più virtuosa altrove. Grazie di tutto.
    (Arianna Musso)

  • OLI 381: PAROLE DEGLI OCCHI – Popoli in rivolta

    Campo profughi “Aida Camp” Betlemme – Foto di Maria Di Pietro

  • OLI 381 – TURCHIA – Occupygezi

    C’è un filo rosso che collega tutti i movimenti che si nominano Occupy, c’è un sentimento di disagio nei confronti di un potere, sia pur democraticamente eletto, che non rispetta tutti i suoi cittadini. Esiste una dittatura della maggioranza che non è equiparabile a una democrazia.
    In Turchia, così come in tanti altri paesi occidentali, in piazza sono scese tutte quelle persone che non sono in sintonia con la maggioranza democraticamente eletta: ci sono laici, anarchici, comunisti, religiosi che la pensano in maniera diversa, femministe, donne che magari femministe non si sentono ma non vogliono neanche essere il focolare della casa, architetti, storici, intellettuali, omosessuali, kemalisti e ambientalisti. Ognuno è in piazza per un motivo diverso ma tutti si sono ritrovati travolti dalla violenza della polizia di stato che ha già fatto i suoi morti.
    Questa rivolta ha in comune molto col G8 genovese, dove una massa festante di persone, di molte idee diverse ma alternative rispetto al potere, sono state oggetto di una brutale aggressione da parte della polizia italiana.
    Il fattore religioso in Turchia è un ulteriore elemento di complessità che non deve però offuscare un’analisi più articolata, così come è riduttivo parlare della rivolta turca solo come un problema di verde cittadino: il parco Gezi è un luogo simbolo per i lavoratori turchi, è il luogo dove si fanno le manifestazioni e dove si festeggia il primo maggio, come per noi è piazza San Giovanni a Roma.
    I turchi non sono arabi. La figura religiosa più autorevole della storia religiosa turca è Rumi, un poeta e maestro sufi. Dopo la rivoluzione kemalista la religione è stata relegata ad una sfera personale: non si poteva indossare nessun elemento di identificazione religiosa nei luoghi pubblici e nessuno poteva obbligare un altro/a ad indossarli, così come era vietata l’educazione religiosa nelle scuole. Le donne hanno avuto diritto di voto nel 1926, venti anni prima che in Italia.
    L’AKP, il partito di Erdogan, è un partito islamico considerato moderato in occidente che, oltre a cambiare lentamente ma inesorabilmente il volto culturale ed economico della Turchia, ne ha cambiato anche il paesaggio dando il via a grandi opere su cui aleggia l’ombra della corruzione e del clientelismo.

    (Arianna Musso – Foto Paola Pierantoni)
  • OLI 381: INFORMAZIONE – Microcronache dalla Grecia, la ERT / 2

    Atene, striscione sulla sede della ERT: la ERT è e resterà aperta

    Chiamo Atene, sotto l’emozione della chiusura della rete televisiva pubblica ERT, per raccogliere le reazioni di un amico.
    Mi attendo preoccupazione e indignazione, invece trovo una presa d’atto disincantata.
    Guarda, mi dice, che la ERT è stata, come tutto il settore pubblico in Grecia, un grandissimo serbatoio clientelare. Ci lavora il triplo di quelli che lavorano per la BBC.
    Informazione vera e di qualità non ne ha mai fatta, è stata solo la voce dei partiti di volta in volta dominanti.
    A Tutta la città ne parla su Radio 3 questa mattina un esponente del Pasok dice che la ERT non andava certo chiusa con un colpo di mano, ma riformata, razionalizzata: era nell’agenda politica procedere in questo senso.
    Ma l’amico mi dice che sono anni che questo viene detto, e mai fatto, e che mai si sarebbe potuto fare senza forzature, perché le resistenze interne ed esterne erano invincibili.
    Skype mi permette di raggiungere un altro amico al Pireo, nei saloni di una mostra d’arte, dove ha esposto alcune sue opere. Mi dice che la ERT era una fonte incredibile di spreco e clientelismo, ma che chiuderla d’imperio con un colpo di mano è un fatto gravissimo, è fascismo. Aggiunge: è una prova generale di quel che si potrà fare anche in altri Paesi.
    In queste ore le trasmissioni, per iniziativa dei giornalisti, proseguono attraverso internet. O vengono ospitati da canali stranieri.
    Il mio amico manifesta la sua inquietudine. Dice che è stato un errore lo sciopero dichiarato da una parte dei giornalisti: per chi fa informazione ora è il momento di lavorare più che mai, in qualunque condizione.
    Con lui è un’altra mia grandissima amica. Mi dice: le trasmissioni non si sono interrotte nemmeno durante la guerra. In queste ore girano i documenti d’archivio: è anche una grande questione culturale. Un patrimonio custodito nell’archivio storico che rischia di andare perduto.
    Attraverso la web cam gli amici mi portano a visitare le opere esposte nei grandi, asettici, bianchi locali di questi spazi espositivi allestiti nei locali di una vecchia fabbrica dismessa. Questa è un’oasi, mi dicono, fuori c’è il caos. La cultura si sta frantumando. Ne trovi tracce sempre più deboli. Si perde ormai la qualità nella musica, nella danza, nel cinema. Ci sono solo isole di resistenza.
    La ERT on line si può seguire a questo indirizzo:
    http://www3.ebu.ch/cms/en/sites/ebu/contents/news/2013/06/monitor-ert-online.html
    Molto spesso viene offerta anche la traduzione in italiano di quel che viene detto.
    (Paola Pierantoni – Immagine da internet)


  • OLI 381: INFRASTRUTTURE – Dal tunnel al nodino, San Benigno “ostaggio” della Gronda?

    San Benigno: come sarà dopo i lavori
    (da www.infrastrutture.regione.liguria.it)

    Il nodo viario di San Benigno è un punto nevralgico per la viabilità cittadina, anche per la promiscuità tra traffico urbano e merci, e fin dal 2002 in città se ne parla, si discute, si ipotizza.
    Il tunnel subportuale, progettato nel 2003 su richiesta della società Tunnel di Genova S.p.A. (formata da Comune di Genova, Autorità Portuale di Genova e Cassa e Depositi e Prestiti), prevedeva un passaggio sottomarino, che collegasse il nodo viario di San Benigno con la zona della Foce, presso Calata Gadda.
    Nel progetto originario, il tunnel doveva essere costituito da “due gallerie circolari e parallele lunghe 720 metri” fino ad una profondità di 35 metri; ogni galleria, secondo il progetto, avrebbe dovuto avere tre corsie, ciascuna larga 3,75 metri (come si legge sul portale della mobilità in Liguria).
    A dicembre 2005, dopo 31 mesi di attesa, il progetto venne approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici ma rimase fermo, in attesa dell’approvazione del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica).
    Nel 2008, dopo quasi 3 anni di attesa in cui il tunnel ormai era opera certa (nel 2006 il ministro per le Infrastrutture Di Pietro discuteva già della pianificazione e redistribuzione dei pedaggi), l’Anas divenne capofila del progetto.
    Bisogna aspettare ancora qualche anno per avere novità nell’avanzamento del progetto: dopo l’ingresso della Società autostrade (Anas), il destino del nodo di San Benigno e del tunnel sotterraneo si legano indissolubilmente a quello della Gronda.
    Nel 2010, per l’esattezza dopo la conclusione delle elezioni amministrative regionali, si viene a conoscenza che il progetto è saltato e che il nodo di San Benigno è diventato un “nodino” (http://genova.repubblica.it/cronaca/2010/04/02/news/fondi_tagliati_progetto_congelato_c_era_una_volta_il_tunnel_sotto_il_porto-3080988/), limitandosi ad una doppia rampa con due rotatorie, mentre il tunnel sotto il porto è scomparso del tutto dai progetti della Spea, Società di progettazione di Autostrade. Il risparmio sulla viabilità di San Benigno e sul tunnel sub portuale “dovrebbe”, secondo l’articolo citato, essere tenuto da parte per la Gronda. In seguito alla modifica di progetto, la Tunnel spa viene messa in liquidazione, e lo è tutt’oggi.
    Ma il tunnel sotto il porto non è destinato a sparire dalle cronache cittadine: ad ottobre 2012 il sindaco Doria e il presidente dell’Authority Merlo riprendono il progetto e si dichiarano d’accordo sulla ricerca di possibili investitori europei (http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2012/10/13/APRfOJhD-uffici_telepass_risorgere.shtml ); poco dopo, Doria si reca a Roma per discutere del tunnel subportuale presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e per discutere con l’a.d. di Autostrade per l’Italia, Castellucci, delle questioni in sospeso, tra cui il progetto Gronda (http://genova.repubblica.it/dettaglio-news/19:25/4285762).
    Nel frattempo, al tunnel ed al nodo sopravvive il “nodino” di San Benigno, il cui progetto è approvato nel luglio 2011. I lavori stentano a partire, anche perché la società Autostrade sembra temporeggiare per attendere l’esito della valutazione di impatto ambientale sulla Gronda, tanto da suscitare la risposta di Bernini, vicesindaco “Per noi il progetto nodo è fondamentale. Occorre realizzarlo subito perché è coerente al trasferimento della viabilità sulla nuova strada a mare, su Lungomare Canepa e sulla sopraelevata…Siamo stufi del gioco che sta conducendo Autostrade. Siamo di fronte ad un’evidente volontà di rallentare le cose. Non sta in piedi chiamare in causa le nuove norme previste dal Decreto Sviluppo per giustificare il ritardo nell’avvio dei lavori” (http://genova.erasuperba.it/inchieste-genova/nodo-san-benigno-ritardo-avvio-lavori-comune-genova-contro-autostrade) .
    Ma veniamo ad oggi. Di pochi giorni fa è la notizia che la realizzazione del primo lotto dei lavori a San Benigno è stata finalmente affidata a Pavimental, società controllata da Autostrade per l’Italia, e che i lavori dovrebbero partire durante l’estate (http://www.genova24.it/2013/06/nodo-san-benigno-in-estate-i-cantieri-del-primo-lotto-seconda-fase-ancora-da-approfondire-51835/ ). Il primo lotto prevede sistemi di accesso alla sopraelevata, rotatorie e rampa di accesso su via Milano: dopo più di un decennio di attesa e grandi aspettative, la città avrà finalmente il suo nod(in)o di San Benigno.
    (Eleana Marullo)

  • OLI 381: COMUNE – Marco Doria tra Costa Flavio e una sinistra sbiadita

    Io mi chiamo Costa Flavio… e vorrei fare una semplice domanda al signor Doria: io è tre anni e mezzo, da quando è nata la bambina, che ho fatto domanda alle case popolari: prima ero senza reddito, mi è stato detto di dimostrare che io avevo un reddito, ho dimostrato che avevo un reddito, sono andato al Matitone e le signore del Matitone mi hanno detto: “Ma cosa mi porta a fare questa documentazione, tanto non serve a niente!” Poi sono andato a chiedere aiuto alle assistenti sociali al Matitone e mi sono sentito gridare in faccia di non stare a minacciare perché c’è gente che è peggio di me… Io vorrei sapere: chi è peggio di me? perché io per il Comune di Genova risulto senza fissa dimora e senza tetto e a carico ho una figlia di quattro anni che vogliono mettere in casa famiglia: ora lei mi guardi, guardi la bambina e guardi se è una bambina da mettere in casa famiglia e mi dia una risposta!
    L’unica cosa che le posso dire è che noi non siamo i suoi avversari! – ha risposto Silvio Ferrari

    8 giugno 2013 Teatro della Tosse: clima teso, palco occupato. Alle spalle di Ferrari e Calbi un gruppo di ragazzi ha steso uno striscione con la scritta: fermare gli sfratti, resistere agli sgomberi, casa per tutti subito.
    Prima di Costa Flavio, Marco Doria ascolta altre voci: quella di Annalisa Marinelli, di Quinto Marini del comitato contro il parcheggio al Bosco Pelato, e di Gigliola Barbieri, Gruppo donne di San Bernardo. Poi la voce di Domenico Chionetti – San Benedetto – con il dramma di 85.000 famiglie che in Italia hanno perso alloggio e proprietà, e mutui insoluti, pignoramenti, sfratti con una lista d’attesa di Arte che si assesta a 4.000 unità e l’urgenza di spostare finanziamenti da opere inutili – come la TAV o la Gronda – a grandi opere virtuose di risanamento patrimoniale e edilizia residenziale pubblica e sociale.
    Prima di Costa e della sua famiglia c’è chi dice a Doria che il compito di un’amministrazione è guardare lontano, che non si può fermare tutto all’emergenza. E c’è anche Caminito, Fiom, che chiede al sindaco di aprire un tavolo per provare a tutelare il lavoro e che non è vero che il lavoro si trova solo se si buttano tonnellate di cemento! Non è vero! Sono palle! Grosse come case!. La comunità europea ha stanziato 11 miliardi di Euro per le città Smart e 6 miliardi sull’agenda digitale. I soldi ci sono, i programmi ci sono, però c’è bisogno di una cultura differente, dice il sindacalista.
    Di Marco, del Laboratorio Sociale Occupato Autogestito Buridda, legge a Doria un volantino: quando cominciamo a fare le cose giuste?, invece che sgombrare case per destinarle ad alberghi di lusso con denunce a chi occupa? Il Buridda pretende l’interruzione degli espropri per il cantiere del Terzo Valico, spazi alternativi al mercato del pesce per il centro sociale, assunzione dei lavoratori di Amiu Bonifiche, stop ai tagli per i servizi sociali, moratoria per gli sfratti a data da destinarsi.
    Marco Doria rimane seduto accanto a Pippo Civati mentre sul palco occupato e in platea si alternano grida diverse: chi vuole risposte immediate, chi vuole la parola subito e chi segue il programma dell’incontro: Io penso che voi abbiate tutti dei problemi reali e ci stiate proponendo delle cose reali: c’è una sola cosa che non accetto: cambiare metodo. Se vuole venire qui a dire il suo cognome…, Silvio Ferrari risponde granitico, segna i nomi e da solo gestisce un’assemblea, a tratti, alla deriva.
    Prima di Costa Flavio si è parlato di Piano Regolatore Portuale e della necessità di trovare una sede condivisa per gestirlo, di Centro Storico, movida, spaccio e spiagge libere.
    E se il Buridda ha decisamente prevaricato ed in cinquanta hanno strattonato la kermesse, probabilmente è perché alla Tosse si raccolgono i frutti di una sinistra un po’ sbiadita, come fa notare Civati che richiama i sindaci delle grandi città a dare tutti insieme un segnale forte al governo. Io, ovviamente, venendo qui non sapevo che avrei trovato un clima così positivo nei tuoi confronti… sorride al Sindaco. Ma non pare solo una battuta.
    Marco Doria, a un anno dall’elezione, espone una realtà spietata: le risorse, spiacente, sono destinate all’emergenze ed elenca i rivoli sui quali investirle per arginare future alluvioni. Sogni elettorali sbiaditi, come la sinistra di governo, sbattono contro tagli, norme, graduatorie che vanno rispettate. Doria propone alla platea una riflessione basata sui numeri: i suoi elettori alle primarie erano 12.000, 128.000 quelli di coalizione: persone con posizioni diverse anche sul Terzo Valico. E racconta dei centocinquanta che hanno invaso il Comune per chiedere di procedere con Terzo Valico e la gronda, centocinquanta lavoratori edili, padri di famiglia che perdono il lavoro, fossero stati qua, li avrebbero presi a calci nel culo questi ragazzi… esclama Doria riferendosi all’occupazione promossa dai centri sociali. Dice che vuole partire da un progetto elettorale che sia largamente condiviso con la speranza di un quadro politico nazionale un po’ più favorevole al dialogo. Ma c’è anche la sensazione che il primo cittadino non possa fare tesoro sul serio di tutte le risorse intellettuali che al Teatro della Tosse si sono rivolte a lui.
    Ognuno torna a casa con un parere diverso sull’incontro: chi dice che il Sindaco è solo – nemmeno un assessore al suo fianco sul palco – chi gli riconosce onestà e rigore, chi lo apprezza comunque, chi pronostica una fine prossima della giunta, promossa dal Pd.
    Qualcuno suggerisce: ma se i centocinquanta edili venissero dirottati su un progetto di risanamento di edilizia sociale?
    I soldi non ci sono. Ci sono. Basta trovarli. No basta saperli richiedere.
    E c’è chi si domanda cosa ne sarà di Costa Flavio, della sua compagna e di sua figlia.
    (Giovanna Profumo – immagini dell’autrice)

  • OLI 381: COMUNE – Amt, una delibera a puntate (secondo tempo)

    Il nuovo biglietto solo bus valido dal 10 giugno 2013

    Così, dopo circa un mese dalla prima delibera, che  con un emendamento del M5S ha istituito il biglietto “solo bus” al costo di 1,50 euro, la giunta produce una proposta di delibera, telegrafica, che vorrebbe cancellare il nuovo biglietto non integrato appena istituito. Due le motivazioni: il nuovo biglietto produrrebbe una perdita di circa 750mila euro per Amt e la presenza di un carnet di biglietto integrato da 15 euro vanificherebbe lo scopo del biglietto singolo non integrato di poter contare quante persone usano il treno e quante solo il bus. Infatti con il nuovo piano tariffario, 10 biglietti singoli solo bus costerebbero quanto un carnet di integrati, quindi sarebbe scontato che chi viaggia molto sul bus preferirebbe il carnet integrato per la maggior possibilità di usare anche saltuariamente il treno.
    Ma perché occorre contare i passeggeri? Il problema base di Amt risiede nel contratto di servizio stipulato con Trenitalia, che vale 8,5 milioni di euro all’anno (dei quali uno lo mette la Regione). Amt contesta oggi la somma, ritenuta eccessiva rispetto ai passeggeri che prenderebbero il treno. Trenitalia non ci sta, asserendo che i passeggeri in comune sono molti di più e che comunque poco importa visto che il costo è per un servizio che non c’entra con il numero di persone ma con quello dei treni. Per questa ragione il M5S ha proposto un biglietto solo bus: per poter avere dei dati certi e dare uno stop a questa diatriba senza fine.
    Il primo punto dell’attacco dell’opposizione a questa seconda delibera si basa proprio sul fatto che l’assessore dichiara una perdita prevista con il biglietto solo bus che viene calcolata sulla base di dati incerti, addirittura contestati da Trenitalia.
    Analizzando meglio la tabella allegata alla delibera proposta al consiglio, si calcola che Amt ritiene che circa 1,4 milioni di genovesi prendano il treno ogni anno, e da questo si trarrebbero due conclusioni: considerato che il costo massimo di un biglietto chilometrico venduto in stazione da Trenitalia nel tratto genovese può essere di 2,4 euro, il valore massimo di questa massa di gente si aggirerebbe su meno di 4 milioni di euro, contro i 7 e più pagati da anni da Amt. I casi sono due: o Trenitalia sbaglia, ma occorre dimostrarlo, oppure noi genovesi stiamo pagando, da molti anni, il doppio di quanto realmente vale il business integrato, e per un servizio scadente e in picchiata per quanto riguarda frequenze e puntualità, due fattori indispensabili per chi usa il treno per lavoro, come pendolare.
    Sulla nuova delibera la rivolta in consiglio comunale è tangibile, sono pronti centinaia di emendamenti in risposta a quello che viene considerato una specie di golpe della giunta. L’assessore ritira poi la proposta di delibera durante la seduta del consiglio che avrebbe dovuto discuterla, una caporetto che lascia molte perplessità sul modo di operare della squadra di Doria.
    Alla fine ci si chiede solo una cosa: ma se il problema era la mancanza di un carnet da 10 biglietti solo bus per risolvere il problema del conteggio dei passeggeri, perché eliminare il biglietto singolo solo bus invece che creare un carnet di biglietti solo bus da 10 pezzi a 14 euro e proporre al consiglio la correzione? E’ parsa la reazione di una giunta stizzita dal fatto che la sua stessa maggioranza non è conforme agli indirizzi proposti. Tra l’altro, nel piano industriale proposto per Amt c’è l’adozione di un sistema di conteggio dei passeggeri, leggi biglietto elettronico, bella idea in tempi di vacche grasse ma fuori di ogni logica in questo momento di sofferenza economica: sarebbe bastato recuperare i soldi destinati a questo progetto per sanare (più volte) la perdita di 750mila euro prevista.
    Pensare invece che ad Aubagne in Francia, invece che litigare sui costi, il trasporto pubblico è delegato dal Comune ad un’azienda privata, che carica gratuitamente i passeggeri e li scorrazza, felici e conquistati, in giro per il comune: pagano le aziende con una tassa proporzionale al numero di dipendenti. Il sistema viene spiegato in una conferenza organizzata da Controcorrente dove Barbara La Barbera, consigliera comunale di Aubagne, interviene spiegando il miracolo francese, che si sta rapidamente allargando ai comuni confinanti. Certo, pensare questo sistema a Genova è pura fantascienza: occorrerebbe prima rifondare Amt da zero ed eliminare tutte le cause che l’hanno portata nella situazione di morte apparente nella quale si trova oggi: direzione, lavoratori, cittadini e sindacati, tutti assieme.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 381: ESTERI – Voci dalla stampa internazionale

    USA, PRISM, Infrastrutture di tirannia globale 
    The Atlantic, 7 giugno 2013, Conor Friedersdorf: “Bush e Obama hanno costruito infrastrutture che qualsiasi Diavolo avrebbe desiderato.”
    New York Times, 9 giugno 2013, articolo di Mark Mazzetti e Michael S. Schmidt: “Quando ti rendi conto che questo è il mondo che hai contribuito a creare, che sarà peggiore per le prossime generazioni e che estenderà le capacità di questa architettura di oppressione, allora realizzi che sei disposto a correre ogni rischio e non importa che cosa sarà il risultato”, ha detto il signor Snowden.

    Africa: Possesso della terra, dei semi e dei mercati dell’Africa
    The Guardian, 10 giugno 2013, articolo di George Monboit  intitolato “Africa, permettici di aiutarti – proprio come nel 1884”  “Uno degli scopi dichiarati della conferenza del G8, che sarà ospitata da David Cameron la prossima settimana, è quello di salvare i popoli dell’Africa dalla fame. Per assolvere a questa grave responsabilità, le potenze europee hanno scoperto, per la loro indubbia difficoltà, che le loro aziende devono estendere il proprio controllo e la proprietà in gran parte dell’Africa. Come risultato, essi si troveranno in possesso della terra, dei semi e dei mercati dell’Africa”.
    Palestina: Il 90% delle acque di Gaza è inadatto al consumo umano
    Reuters, 10 giugno 2013, articolo di Stephanie Nebehay : “Un investigatore dei diritti umani delle Nazioni Unite ha accusato Israele, lunedì, di imporre punizioni collettive su 1,75 milioni di palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza”
    “Quarantasei anni fa, come oggi iniziava l’occupazione israeliana della Palestina. Sei giorni di guerra si sono trasformati in 46 anni di occupazione,” ha detto, al Forum di Ginevra, Falk, un ricercatore indipendente. “La viabilità di Gaza ha bisogno di urgente attenzione e non può essere lasciata alla mercé della continua occupazione israeliana”, ha detto.  La striscia di Gaza è governata dal movimento islamista Hamas, attorno alla quale Israele mantiene un assedio a causa di quello che considera problemi di sicurezza. Falk, che ha visitato Gaza lo scorso dicembre facendo ingresso attraverso l’Egitto, ha detto che il 70 per cento della popolazione di Gaza dipende dagli aiuti internazionali per la sopravvivenza e che il 90 per cento dell’acqua è “inadatta al consumo umano”. “Nel primo trimestre del 2013, Israele ha demolito 204 case e strutture palestinesi in Cisgiordania, spostando 379 palestinesi”, ha detto, citando dati Onu. “Israele detiene quasi 5.000 palestinesi, molti detenuti arbitrariamente e sottoposti a torture, confessioni forzate, isolamento e la negazione delle visite familiari”, ha detto.”
  • OLI 381: VIAGGI – Senegal, il diario di Giulia

    Demi 2 maggio, giovedì.
    La sabbia è ancora bagnata quando indirizzo i miei piedi verso l’Oceano, ma prima passo da Aidà per un saluto. Sulla spiaggia una riga di ragazzini sfila sulla passerella del bagnasciuga con in mano pezzi di polistirolo, di reti e pesci fatti come quelli della lettera P nell’alfabeto dei bambini.
    Torno a casa. L’acqua che abbiamo ci deve bastare finché non torna Dù ad azionare la pompa elettrica. Mi guardo allo specchio e mi sembra di somigliare a quell’arabo avvolto in una tunica blù, seduto sopra al bancone di una boutique ombrosa piena di pacchettini e stoffe colorate. Non ha voluto lo fotografassi, ‘sono vecchio’, mi ha detto sorridendo e guardandomi col suo sguardo intenso. Anche io a volte uso l’età per proteggermi.
    Sotto lo sguardo di Hallah i parà francesi si esercitano su aerei militari provenienti da Dakar. Vestita di karitè aspetto che l’azzurro del cielo me lo trasformi in olio per massaggi. Ho un appuntamento con Aidà, alle cinque. Mi porterà a vedere les jardins (gli orti) del deserto. Mi lavo con l’acqua del pozzo e vado. Indosso l’abito afro comprato al Suq di Genova. Abita nell’ultima casa del villaggio verso il mare ed è la responsabile della Maison de Santé. Chiacchieriamo in francese. Il figlio più piccolo soffre d’infiammazione alla vescica. Gli amuleti di protezione legati con un cordoncino di cuoio alla vita e al collo sono lenti ad agire e la schiena di Aidà è spesso bagnata. E’ esperta nella medicina tradizionale ed usa, in genere, piante locali. Mi fa vedere l’albero antibiotico, la pianta per far venire le mestruazioni, quella per abortire. Il come usarla è un segreto di poche. E’ pericolosa anche se molto richiesta.
    Mi conduce dai genitori. Suo padre maestro di Corano sta insegnando a un ragazzo la scrittura araba. La madre lavora il miglio fino alla consistenza della sabbia: c’è lì anche una giovane venditrice di liscivia, prodotta da lei. Ogni sacchettino peserà un etto. Gli orti sono in una località fuori dal villaggio con tanti pozzi scavati nella sabbia. Ogni famiglia ne ha uno dato in dotazione dal governo. Il marito, con i soldi guadagnati lavorando per cinque anni nel porto di Hong Kong ha comperato altri terreni. Ora vendono i loro prodotti a Dakar o nei mercati vicini. I cavoli saranno pronti fra venti giorni. La terra è cosparsa di conchiglie, pare sia un buon concime. Strappiamo erbe infestanti mentre Mohamed, il secondo figlio, si diverte a pisciare o sputare nei pozzi. Ha otto anni, ride, sa che non dovrebbe farlo. Arriva il marito, mi riconosce per quella che si era persa. E’ stato lui ad indicarmi la direzione di casa. Ha un fratello a Napoli e mi chiede se conosco Mario Balotelli. Pensa che la capitale d’Italia sia Milano. No, chiarisco, Milano ha due aeroporti, ma la capitale è Roma anche se ne ha uno solo. “Quanti aeroporti ci sono in Italia?”, mi chiede, “Non saprei quanti, tanti”, “Qui l’aeroporto è solo a Dakar,” dice.
    Torno a casa con Aidà, i bambini e il cappello pieno di peperoni. Incontriamo montagne di conchiglie, capre d’appetito che mangiano anche carta, donne con abiti sgargianti e secchi ricolmi in testa, altre che cucinano couscous di miglio dentro a capanne scure piene di bambini. Oltre la strada mi indica un villaggio abitato da gente di un’etnia diversa che comunica poco con loro.
    Dù ha preparato riso e gamberi. In una scatola di polistirolo con ghiaccio ci sono un mucchio di pesci. C’è anche una bottiglia di olio extravergine d’oliva comprato a Genova da Teresita in Vico delle Vigne. Ci rimprovera di non aver messo in valigia anche il pesto. Il solo pensiero gli mette appetito. Sa che con Mariella faremo un giro per conoscere altro del Senegal?
    Hanno portato sei caprette, due ancora da latte. Dù, cosa se ne fa? Dice che è cresciuto con le capre e gli fa piacere averle vicine. Sfoglio il giornale che ha portato: L’Observateur. “M.le President, les femmes ne son pas contentes” scrive Odile Ndoumbe, presidente del consiglio senegalese per la parità femminile” “C’est la plus malheureuse Fête du Travail” dice Baklaw Dioungue, segretario nazionale dei lavoratori del Senegal.
    Metto il giornale in valigia e vado a dormire con i belati nelle orecchie.
    (Giulia Richebuono)