Autore: Redazione
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OLI 340: VERSANTE LIGURE – HORROR VAURI
Non credo io in Lavitolanel Trota, in Rosi Mauroe in tutta la combriccolafra l’orrido e la neuroche sta in tv e in edicola:più vero è un dinosauroche in pieno centro circola.Scommetto 10 euro(la crisi un po’ mi vincolanon ho d’oro un tesauro)che ‘sta fauna ridicolase l’è inventata Vauro. -
OLI 340: ELEZIONI – I candidOli, Bianca Vergati / Municipio VIII Medio Levante
Da tempo mi occupo del territorio e di quanto viene deciso oltre la volontà dei cittadini.
Trasparenza è parola tanto abusata quanto poco praticata.
Troppo spesso riqualificazione ha significato cementificazione, distruzione di un parco: nel mio quartiere la rimessa di Boccadasse, i tanti box invenduti, o il progetto sul Lido di corso Italia. Un conto è riqualificare, un altro è sottrarre ai cittadini un bene pubblico qual è il mare, per dare spazio ad una mera speculazione edilizia contro cui mi sono impegnata, ottenendo che non si costruisse sul mare, sottraendo altra spiaggia ai cittadini e lo stato desolante di oggi dello stabilimento testimonia quali fossero i reali interessi, case e negozi.
Così meravigliosi vecchi giardini di ville storiche, quali Villa Rusca, sono stati rivoltati per far posto a ristrutturazioni incontrollate di preziose residenze, parcheggi interrati a più piani: pini centenari silenziosamente lasciati morire.
Nella storica villa Raggio, un tempo sede del Conservatorio Paganini, poi di Consultorio e centro di recupero di ortopedia, è comparso in questi giorni un cartello per modifica destinazione d’uso, ampliamento e… piscina nel parco! La villa era un lascito per scopi socio-sanitari, ma è entrata nel patrimonio sanitario da dismettere… Addio a villa e parco e soprattutto alla sua funzione pubblica.
Non bisogna rassegnarsi al degrado oppure a parcheggi, residenze, centri commerciali, mentre spariscono le aree destinate al lavoro. Perciò mi sono candidata per il Municipio di Medio Levante nelle liste di SEL come indipendente per Marco Doria.
Le prossime elezioni sono per la nostra città un’occasione che non possiamo perdere. Lo dobbiamo ai nostri figli, ai ragazzi che se ne vanno perché non c’è lavoro e ne ho conosciuti tanti come insegnante per i bambini e come genitore alla presidenza del liceo King: li ho visti diventare grandi, studiare, laurearsi e andare via.
Ognuno di noi può fare qualcosa, per questo votare e scegliere la persona è importante, anche se la delusione verso la politica è forte.
Genova deve diventare ancora più bella, ma anche una città in cui ci sia lavoro, qualità della vita e qualità del contesto urbano, incentivando la vocazione al turismo, valorizzando litorale, parchi, ville storiche, giardini, spazi sportivi,troppo spesso indebitamente occupati e trascurati. Si deve ritrovare lo spazio pubblico, fruibile appieno da giovani e meno giovani, nel pieno rispetto dell’ambiente e dei bisogni di tutti: uno spazio in cui ritrovarsi, anche in città.
Come cittadina sento la mancanza di un’Amministrazione amica.
Il mio impegno sarà assiduo, per dare al mio Municipio il ruolo che dovrebbe avere, per consentire una vera partecipazione dei cittadini nel mutuo rispetto delle regole, per garantire un collegamento tra quartiere, comitati, associazioni e il Comune, in modo che i nostri soldi siano spesi bene.
Su questa campagna elettorale strombazzata e al contempo in sordina pesa la stanchezza della cittadinanza, il rischio dell’astensione, mentre fa capolino in fondo al cuore la sensazione che alla fine vinceranno sempre gli stessi.
Difficile dare speranza di cambiamento, eppure dobbiamo provarci, contano le persone , non soltanto i partiti, che pure non dobbiamo demonizzare perché la gente ha ancora voglia di politica vera e sa ancora appassionarsi.
E’ invece assolutamente vitale che ci siano forze nuove, dal Comune ai Municipi per controbilanciare quell’intreccio ormai consolidato troppo a lungo tra una certa politica e una certa parte di società.
Perciò torniamo a volantinare e ad ascoltare la gente.
(Bianca Vergati) -
OLI 340: ELEZIONI – La battaglia delle affissioni
C’è poco posto in politica per i pennelli teneri. “Pennelli”, sì, perché per le affissioni la colla e la scopa sostituiscono il cuore, con la battaglia che si gioca negli spazi elettorali che il Comune destina ai partiti. Il fatto: i propri manifesti sono regolarmente coperti dagli avversari di corsa elettorale, alla faccia di qualsiasi regola di correttezza politica e di osservanza della legge, il che, per chi si presenta agli elettori come la soluzione ai problemi di Genova, suona come un ossimoro etico che poco ha a che fare con le “parolone” e le promesse elettorali che contengono.Così si assiste, nel silenzio totale delle istituzioni, ad una campagna elettorale “macchiata di colla”, dove lo scontro avviene non solo tra fazioni concorrenti, ma anche nell’ambito dello stesso partito. “Very italian”, affermerebbe un attempato anglosassone, osservando il cimitero della legalità che rappresentano le foto della galleria fotografica proposta.
Alla riunione elettorale indetta dal Comune viene spiegato con chiarezza che la legge prevede che il trasgressore sia colto in flagranza di reato da un pubblico ufficiale, altrimenti non ci sarebbero i presupposti per la denuncia, che comunque comporta solo una pena pecuniaria minima. Anzi, in alcune Regioni italiane si tende a dare una ammenda globale, addirittura a sanare il reato praticamente gratis.
Fino a che non si troverà una soluzione legata all’obbligo di affidamento da parte del committente responsabile ad aziende o persone in grado di garantire l’osservanza delle regole, non ci sarà alcun cambiamento: infatti attualmente il committente risponde solo dei contenuti dell’affissione, non del suo posizionamento.
Questa illegalità diffusa si aggiunge a quella delle affissioni elettorali al di fuori degli spazi elettorali negli spazi commerciali, altrettanto vietata a cominciare da 30 giorni prima della data delle elezioni, e che apre tutto un altro capitolo sull’incapacità dell’amministrazione pubblica a far fronte a questo tipo di reati.
(Stefano De Pietro) -
OLI 340: BOCCADASSE – Altri piani per la ex rimessa dei bus
C’era una volta la rimessa dei bus, in un grande piazzale alle spalle di Boccadasse, un sito storico e lo evocano le immagini della mostra inaugurata da Metrogenova, sabato 14 aprile con il patrocinio del Municipio Medio Levante.
L’associazione, che si occupa di trasporti, rimarca con forza l’importanza del mezzo pubblico, ricorda i tram che arrivavano in deposito, attraversando da Levante a Caricamento tutto il litorale, puntuali e tranquilli senza inquinare.
Una malinconia per i visitatori e pure per i residenti del borgo, che quasi rimpiangono quell’epoca.
Perché poi, si dovrebbe essere contenti, è stata tolta una servitù con quei bus che giravano notte e giorno imperterriti e rumorosi.
Non è tutto così roseo, eppure la mostra dedica un pannello en passant all’oggi.
Al posto della rimessa infatti si sta costruendo una U di palazzoni che incombe il contesto, una U ristretta dove il sole non arriverà mai, gli affacci ravvicinati come negli edifici della periferia più desolante stile anni ’60.
L’altra opzione erano due torri a undici piani, firmato dall’archistar, come quelle che ti colpiscono allo stomaco non appena imbocchi la sopraelevata per venire a Genova.
Non si pretendeva un parco verde, ma almeno costruire la metà.
Soltanto le immagini possono rendere l’idea: se prima la rimessa era ad un piano e mezzo di altezza, ora i piani sono cinque, attraversati da varchi che paiono immagini di un carcere.Quando il tutto verrà completato l’aspetto sarà probabilmente più ameno, con il giardino nel piazzale, speriamo non il solito “verde piantumato” per dare un contentino agli abitanti intorno, che tanto hanno battagliato per non avere tutto quel cemento. Ci si augura diventi una “piazza” vera, uno spazio libero come sempre il Comune auspica e poi raramente concede: si sa quanto sia prezioso ed allettante lo spazio, specie in certi quartieri. Se qui non vai in piazzetta a Boccadasse, non ci sono spazi per bambini e nonni e spesso libeccio e tramontana fanno scappare tutti.
L’altro “verde” concesso in zona per ripristinare e ampliare la casa diroccata che si affacciava nei pressi è diventato un bel supermercato con annessa la sede della polizia municipale.
E speriamo pure che la piazza-giardino resti a disposizione del quartiere perché la manutenzione sarà a carico del megacondominio, che magari ci farà una bella cancellata e addio: nella Convenzione con il Comune sembra demandata la cura del verde ai privati.
Come finirà? Nel degrado o in un bel giardino chiuso?
Intanto spaventa gli abitanti del borgo un vecchio problema perché – visto che i nuovi edifici prevedono cento appartamenti – quando piove, già oggi dai tombini arriva un refluo di acque nere per tubature mai messe a norma.
Con l’occasione, segnaliamo il sito osservatorioverde.it come fonte di informazioni sull’urbanistica genovese.
(Bianca Vergati – foto dell’autrice) -
OLI 340: NUOVO GALLIERA – Quando si specula su un ospedale

Plastico del progetto del Nuovo Galliera, da http://www.galliera.it/ La più grande operazione immobiliare nel centro di Genova dopo via Madre di Dio. Così i comitati di Carignano definiscono il progetto che dovrebbe far nascere il Nuovo Galliera.
Sul sito del Galliera se ne parla invece come di un “Ospedale a misura di paziente”, modellato sulla “centralità del paziente”, e che si configurerà come “un’opera a basso impatto ambientale”.
L’interessamento dei comitati di cittadini di Carignano ha portato a conoscenza di un progetto di dimensioni ciclopiche: un volume del costruito cinque volte superiore all’esistente, uno scavo di 25 metri nella roccia per ricavare piani e parcheggi sotterranei; i vecchi padiglioni, dismessi e in parte venduti per finanziare l’operazione. Il Pef (Piano Economico-finanziario) del progetto illustra un costo di 180 milioni di euro (113 milioni di opere edili, il resto per impianti elettrici, meccanici, attrezzature, apparecchiature, trasporti), con la copertura di spesa che segue: 51 milioni di euro coperti dal finanziamento regionale, 48 dalla vendita degli attuali padiglioni, 4 milioni e 400mila dalla vendita di beni e terreni a Voltaggio e Coronata, 75 milioni di mutuo bancario. I padiglioni che dovrebbero essere demoliti, tra l’altro, sono stati ristrutturati negli ultimi 5 anni per una cifra di 8 milioni di euro (“Nuovo Galliera, un altro piano finanziario”, La Repubblica-Il Lavoro, 10 marzo).
I comitati cittadini di Carignano hanno presentato ricorso al Tar contro l’enorme costo pubblico ed impatto ambientale del progetto. La stampa ha accolto la sentenza del Tar in un primo momento come una vittoria del Galliera (“Carignano, Comitati sconfitti, il Tar sblocca il nuovo Galliera”, Il Secolo XIX, “Nuovo Galliera Comitato del no bocciato dal Tar”, Il Corriere Mercantile, 7 aprile 2012). Il Cittadino, settimanale cattolico genovese, titola “Tar, sentenza pro-Galliera” (17 aprile). Poi, in un secondo tempo, è apparso chiaramente che i lavori sono bloccati e la questione è tutta da ridefinire (“Stop al Galliera: De Martini e Viscardi, grande vittoria dei comitati civici”, Il Secolo XIX, 11 aprile).La sentenza, di fatto, da un lato ammonisce i ricorrenti (comitati di Carignano) sul fatto che non è possibile ricorrere contro un progetto preliminare e li invita ad aspettare la versione definitiva, dall’altro annulla la delibera di approvazione della variante urbanistica che avrebbe consentito la costruzione del Nuovo Galliera. Tale variante è quella che prevede di trasformare la destinazione di 5 dei 20 padiglioni in spazi residenziali e commerciali, rendendoli maggiormente appetibili sul mercato immobiliare, con un’operazione che i comitati di Carignano hanno definito “di natura speculativa” (Il Secolo XIX, 8 aprile).
Quindi, per ora, il progetto è fermo: sarà una delle eredità roventi lasciate dalla giunta Vincenzi alla prossima amministrazione.
(Eleana Marullo) -
OLI 340: IMMIGRAZIONE – Permesso di soggiorno e riforma del lavoro
Con il disegno di legge della riforma del mercato del lavoro, il governo interviene ancora positivamente sull’immigrazione. Dopo aver trasformato, con il decreto Salva – Italia, in provvedimento legislativo la buona prassi amministrativa sulla validità della ricevuta della richiesta di rinnovo o rilascio del permesso di soggiorno (ad esempio per poter avere un regolare contratto di lavoro), ora il governo interviene per rafforzare la regolarità del permesso di soggiorno con l’obbiettivo di contrastare il lavoro nero. L’art. 58 del Disegno di legge di riforma del mercato del lavoro raddoppia la durata minima del periodo di disoccupazione che garantisce la regolarità del permesso di soggiorno riportandola da sei mesi ad un anno. E nel caso che il lavoratore straniero percepisca una prestazione di sostegno al reddito (indennità di disoccupazione, ecc.), tale periodo si estende per tutta la durata della prestazione. Inoltre è prevista la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno anche in assenza di contratto di lavoro, a condizione che lo straniero dimostri la disponibilità di un reddito sufficiente proveniente da fonte lecita. Ciò è quanto movimenti, sindacati, associazioni andavano proponendo da tempo per un efficace contrasto alla clandestinità e al lavoro nero.
Si tratta di provvedimenti positivi, razionali e di buon governo dopo molti anni di irrazionalità, demagogia e malgoverno. La norma di legge che viene ora emendata dall’art. 58 ha prodotto nel solo 2010 684.413 permessi di soggiorno non rinnovati (Dossier Caritas 2011). Ogni anno centinaia di migliaia di persone regolari vengono costrette alla clandestinità ed al lavoro nero dopo sei mesi di disoccupazione in un paese a corto di risorse e già fortemente colpito dall’evasione fiscale e contributiva. Ci sarebbero molti altri provvedimenti di consolidamento della regolarità del soggiorno e di ampliamento dei diritti di cittadinanza, che avrebbero un effetto moltiplicatore sulla possibilità dei migranti di contribuire alla crescita del Paese: occorre ad esempio modificare la norma del Testo Unico sull’immigrazione che lega la durata del permesso di soggiorno alla durata del contratto di lavoro. Non è infatti razionale né rispettoso delle persone immigrate costringerle alle lunghe e costose pratiche burocratiche di rinnovo del permesso di soggiorno ad ogni scadenza del contratto di lavoro che può avvenire ogni tre mesi.
(Saleh Zaghloul) -
OLI 340: MOSTRE – Cultura o business?
Van Gogh al Ducale: uno dei business “culturali” più riusciti della stagione. Indugiavo ad andarvi, memore di passate esperienze, e anche stavolta sconforto e rabbia hanno avuto il sopravvento, come già l’anno passato per Mediterranea. Stesso curatore, stesso stile. Mai vista mostra più sconclusionata e brutta di questa, né una simile accozzaglia di argomentazioni retoriche e pretestuose per giustificarla. È chiaro che non sono in discussione le opere in sé: nella mostra del Ducale sono concentrati capolavori di bellezza e importanza unica. Peccato che non si afferri il criterio della scelta e il suo scopo, per quanto il tema del viaggio, pur nella sua genericità, vorrebbe essere il filo conduttore della loro presenza qui. Non si poteva, più onestamente, dire: “Abbiamo la fortuna di poter avere in prestito queste opere. Pensiamo di proporvele, magari con un piccolo corredo di notizie, giusto per collocarle un po’ nella storia dell’arte”? Invece, con rara supponenza, limitata fantasia e abbondanti salti mortali, si è preteso di inventare un “percorso”, entro cui costringere artisti, epoche, tematiche e stili che fra loro mai e poi mai potrebbero parlarsi e che in chi non bazzica le cose dell’arte può solo generare confusione.
Qualcuno dovrebbe spiegare cosa c’entra, per esempio, Nicolas de Staël (di cui l’unica tela presente richiederebbe uno spazio di cinque e non di due metri per essere non dico “goduta” ma guardata) con Caspar David Friedrich (di cm 30 x 25 e una stanza tutta per sé). E cosa avrebbero da dirsi Kandinsky e Hopper o Rothko e Gauguin, magari passando per Turner (4 opere in mostra). E come è possibile affermare enfaticamente, in riferimento all’unico Gauguin (peraltro preziosissimo) presente, che «senza questo quadro la mostra non si sarebbe potuta fare e che con quest’unico quadro tutta la mostra si potrebbe fare». C’è di che risentirsi, se calati nei panni degli altri artisti esposti, e c’è di che rammaricarsi di non aver fatto davvero una mostra con un unico quadro. Perché no? Si sarebbe potuto. Naturalmente con i mille collegamenti e con tutti gli apparati critici del caso, al posto di quelle sbobbe graficamente illeggibili e stomachevoli nei contenuti: torrenti di parole che non spiegano nulla ma hanno la prerogativa di creare inutili ingorghi e affollamenti nel flusso di folla plaudente.
Per non parlare delle cadute di gusto, tipo il plastico con la riproduzione delle proprietà di Monet e lui in persona sotto l’ombrellone, intento a dipingere, indovinate cosa? Le ninfee! E che dire della stanzuccia di Van Gogh in grandezza naturale come primo impatto all’ingresso? Due rimandi al mondo concreto dei pittori – il letto di Van Gogh e i laghetti di Monet – che in una mostra organizzata diversamente, ad esempio per coinvolgere bambini e magari anche qualche adulto che li accompagna, sarebbero divertenti e anche stimolanti. Qui sono solo cafoni.
Potrei continuare, ma mi limiterò a un’unica domanda, che non rivolgo al curatore, il quale fa il suo mestiere come lo sa fare e secondo coscienza (la sua), ma ai responsabili delle scelte culturali cittadine, agli “esperti”, agli amministratori, a coloro che hanno una qualche voce in capitolo: capisco il business e capisco che una mostra come questa debba “rendere”, ma dove sta scritto che non si possa fare una bella mostra e redditizia senza per questo fare un insulto alla cultura?
(Antonella Mancini)


