Categoria: NUCLEARE

  • OLI 299 – Società: La bomba per Lilliput

    Una mini bomba atomica? Può sembrare un ossimoro, una bomba atomica che fa danni solo localmente, invece è quanto di meglio si possa offrire ai militari, a quanto insistono a raccontare Maurizio Torrealta e Emilio Del Giudice nel loro libro “Il segreto delle tre pallottole”.
    Su internet è possibile trovare due interviste, una a Torrealta che parla esplicitamente del libro, l’altra al Prof. Del Giudice, che anticipa con un’ampia spiegazione del suo pensiero sulla fusione fredda il racconto delle micro bombe nucleari a suo avviso usate fin dai tempi della prima guerra d’Iraq.
    In sostanza, il problema tecnico per realizzare una minibomba, ossia la mancanza di “massa critica” del combustibile nucleare, viene superato attraverso un processo di fusione fredda basato sull’idrogeno e sull’uranio invece che sul palladio (o il rame, secondo le ultime affermazioni di Rossi e Focardi a Bologna a gennaio 2011). La massa critica è la quantità minima di combustibile nucleare necessaria ad iniziare naturalmente un processo di fissione, che però si porta inevitabilmente dietro una grande quantità di energia liberata, dell’ordine di megatoni (milioni di tonnellate di tritolo). Le micro-bombe nucleari, sempre secondo gli autori, possono invece arrivare ad una detonazione paragonabile nelle modalità distruttive ma in un’area molto circoscritta, a livello di singolo edificio. Anche i danni alle persone sembrano confermare questa loro analisi, come quando i medici palestinesi a Gaza non riuscivano a capire il tipo di lesioni subite dai cadaveri durante l’operazione “Piombo fuso”.
    Del Giudice spiega che i cosiddetti “proiettili ad uranio spento” sono in realtà un falso per nascondere che si tratta di un residuo di una micro esplosione nucleare di uranio naturale o leggermente arricchito.
    Insomma, se la loro ipotesi si rivelasse vera, questo comporterebbe che sia gli Stati Uniti d’America che i Russi, così come gli Israeliani avrebbero violato i patti di non proliferazione nucleare più volte, espondendo i militari coinvolti (amici e nemici) e le popolazioni civili a radiazioni mortali, oltre a produrre un inquinamento persistente e non solo localizzato, che rischia di compromettere la vita su grandi spazi delle zone di guerra. Ed inducendo una richiesta di danni senza precedenti da parte di tutti, cominciando con i militari che soffrono della famosa “sindrome dei Balcani”, ma senza dimenticare i milioni di civili che tutti i giorni si trovano a barcamenarsi tra uranio, mine, bombe con basso quoziente d’intelligenza, rivolte e avvelenamenti vari. Se questo è il 2011, aspettiamo con interesse il fatidico 2012.
    http://www.verdenero.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=127:pallottole (il libro sul sito dell’editore)
    http://current.com/shows/senza-censura/92515494_intervista-a-maurizio-torrealta-autore-de-il-segreto-delle-tre-pallottole.htm (intervista a Torrealta)
    http://www.youtube.com/watch?v=uFMYDRIqB6I (Intervento di Torrealta alla Casa della pace di Testaccio)
    http://www.youtube.com/watch?v=XvHSjJelcOE (intervista a Del Giudice)
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 298 – NUCLEARE: I sessanta chilometri di Milashima


    Nel numero 295 di Oli un lettore ha inviato una lettera alla quale rispondo con piacere, trattandosi di argomenti abitualmente portati a difesa del nucleare.
    1 – Se in Italia ci fosse un sisma come quello di Fukushima, l’Italia sarebbe distrutta “da Napoli ad Ancona” (Rai 1).
    La prospettiva di un terremoto “da Napoli ad Ancona” esclude regioni certamente altrettanto attive, come la Sicilia, la Calabria, le Puglie: forse chi fa questa affermazione in Rai ha ancora in mente la vecchia classificazione tellurica, quella che ha permesso a scuole e palazzi di cadere (ma a norma di legge, s’intende) durante gli ultimi terremoti. Comunque, a parte questo, un terremoto delle dimensioni di quello giapponese aggiungerebbe solo macerie ai problemi delle centrali nucleari. Come dire: già che crolla tutto, facciamoci anche gasare …
    In Italia non è comunque necessario attendere un terremoto di magnitudo 9 Richter, basta vedere cosa riusciamo a fare con le poche barre di combustibile nucleare stipate qua e là ad inquinare di stronzio 90 le falde acquifere. Lui, lo stronzio, non è cattivo, è che lo hanno chiamato così … (http://freeforumzone.leonardo.it/lofi/Il-Piemonte-e-la-piscina-radioattiva/D5875056.html)

    2 – I reattori BWR sono obsoleti (http://it.wikipedia.org/wiki/Reattore_nucleare_a_fissione#Reattori_BWR)
    Se sono “obsoleti” perché sono ancora in funzione? Beh, perché nessuno si prende la briga di demolirli, è antieconomico come dimostrano le continue proroghe, e non si sa bene ancora come farlo. Quando si comincerà a chiuderli, avremo anche i primi casi di incidenti legati alla dismissione. Comunque, dopo 50 anni di nucleare a fissione, ancora non esistono certezze per lo stoccaggio delle scorie. In Germania le miniere di sale hanno ceduto e i detriti nucleari rischiano di contaminare le falde. Mi piacerebbe mandare gli stessi dirigenti e ingegneri che avevano firmato i vari documenti autorizzativi a levare i fusti, adesso. I filo-nuclearisti dovrebbero avere l’iniziativa di andare a spalare l’acqua di Fukushima, per aiutare i pochi volontari che restano a lavorare là, come fecero i liquidatori di Chernobyl che con il loro lavoro suicida hanno letteralmente salvato il mondo da una catastrofe ancora peggiore, e ai quali non mi risulta che il popolo italiano abbia ancora dedicato una giornata di lutto nazionale. Chi farebbe un fuoco così grosso da non avere abbastanza acqua per spengerlo? Il top event non ha soluzione, per cui lo si rende incredibile con artifici numerici, quando già per la terza volta siamo saliti a livelli di incidente superiore a 6. Il prof. Rubbia stesso ha avuto da dire sulla metodologia dell’analisi di rischio probabilistica per impianti così critici.
    3. Fukushima è stata costruita male.
    Repetita iuvant: anche qui la risposta si morde la coda con la domanda. Costruita male a norma di legge. Attendiamo il prossimo incidente e la prossima considerazione tecnica “a posteriori”, sperando che resti sempre qualcuno vivo per accertarla. Ci sono molte centrali “obsolete” e “costruite male” pronte a regalarci emozioni, circa 500 in tutto il mondo, la maggior parte delle quali molto vecchie, non pensate né per durare in eterno, né tantomeno per essere demolite in sicurezza. Non siamo poi molto lontano dagli “ingegneri Neanderthal”. Si usa dire che la nostra civiltà non lascerà molte informazioni perché ormai sono tutte virtualizzate: in realtà resteranno le scorie, a testimonianza dell’elevato grado di tecnologia raggiunto dalla scimmia sapiens.
    4. Si deve pensare a “nucleare anche”.
    Al di là delle considerazioni sul risparmio energetico fatto eliminando gli sprechi e sui diversi modi di fare elettricità con altri sistemi che non la fissione, per chi proprio volesse continuare sull’attuale tendenza che “consumo è bello” resta la speranza della fusione a freddo. Rapporto 41: l’Enea era arrivata ad un risultato sperimentale verificato ma il gruppo di lavoro è stato ignorato ed anzi, sostituito quando il Ministero delle attività produttive si era interessato al loro risultato (conosciuto per caso, s’intende). In attesa di verifica, esiste anche l’avventura di Rossi e Focardi, vedremo come va a finire. In questo caso c’è un’evidenza di laboratorio nelle loro conferenze di gennaio e di aprile 2011. Alcuni scienziati si lamentano che non è stato seguito il metodo scientifico classico; però, se fossi il fortunato scopritore di un processo di tal fatta, che interesse avrei a dover rivelare i miei segreti industriali per far contente le riviste scientifiche? In fondo, il mondo della scienza non ha dato un dollaro per questa ricerca, quale correttezza di ritorno si aspetta di ricevere adesso? (Rapporto 41: http://www.youtube.com/watch?v=XMW6rAU2X1Q) (intervista a Focardi http://www.territorioscuola.com/interazioni_2/2011/04/10/0046-100411-sergio-focardi-parla-il-padre-della-fusione-fredda-ni-h/)
    5. I francesi si comprano l’Italia.
    Sono contento per i Francesi, che si stanno adesso accorgendo cosa succederà da loro con le scorie e con le malattie professionali di chi lavora in quegli stabilimenti, costruiti con le risorse anche militari. Preferirei sentirle commentare come mai in Italia le lampadine a Led ad alta luminescenza non siano commercializzate in modo diffuso: si trovano nei negozi dei cinesi a 6 euro e cinquanta, ma non dai grossisti di materiale elettrico; siamo invece pieni di porcheria a fluorescenza. Con il costo del solo progetto di una singola centrale si potrebbe investire sull’illuminazione pubblica e privata, riducendo i consumi del valore dell’energia prodotta dalle ipotetiche centrali nucleari. Solo a Genova il semplice cambio dei semafori consentirà il risparmio di 400.000 euro di bolletta (oltre a inquinare meno). Invece si continua a spacciare per ecologiche le lampade a fluorescenza, alle quali adesso sono state aggiunte palate di elettronica usa e getta nel codolo, oltre alla sostanza molto inquinante del bulbo, al vetro, al peso dei materiali, del trasporto, della lentezza nel raggiungere la luminosità massima, motivo per il quale spesso sono lasciate perennemente accese: bel risparmio, non ho parole. Questa è l’industria, che pilota i mass media per i propri scopi commerciali.
    Riguardo a Parmalat comprata dai francesi, non credo che sia un problema energetico: semmai politico e organizzativo. I minori costi si vadano a cercare nel numero di ore richiesto ad un’azienda italiana per compensare l’inefficienza dello stato, la corruzione dilagante, il comportamento da gangsters delle banche, la truffa degli interessi anatocistici semestrali, i vari trust che impediscono il mercato libero, tra i quali proprio quello di Enel, “l’energia che ti ascolta”. Castorama costa più caro di qualsiasi ferramenta di medie dimensioni, solo che da loro trovi tutto, subito. E’ un problema di dimensioni e di risultati, non solo di concorrenza economica. Io non ci compro volentieri, preferisco scornarmi a sostenere la microimpresa, ma non tutti la pensano come me e li capisco.
    Se poi l’energia viene usata per una globalizzazione infantile delle merci, per cui si assiste a follie di uso di plastica usa e getta che ha raggiunto vertici da belinismo collettivo, questo non importa a nessuno? Proprio a cominciare dalla grande distribuzione che manda la carne già tritata in vaschette di plastica da un chilo in atmosfera modificata per cinquemila chilometri a spasso con i tir, sotto l’occhio indifferente di UE e governi locali. Dobbiamo solo continuare a ragionare ognuno per il suo tassello, chi per il kWh, chi per l’etichetta, chi per il sacchetto, dimenticando la globalità del problema energetico/ambientale? Io non ci sto. Molti non ci stanno più. La soluzione inizia dalla decrescita o crescita consapevole, la chiami come preferisce, non solo dal ridurre i costi economici, e basta.

    Carissimo lettore, la invito con la sua stessa cortesia a provare lei a pensare diverso. L’attendiamo a braccia aperte in un mondo che, almeno, ci prova a levare i monopoli per far sviluppare il vero mercato dell’energia libera, dove ognuno se la fabbrica come crede, inquinando il meno possibile e senza spendere un bel niente in più del necessario. Soprattutto senza il trust di Enel, davvero una porcata colossale ai danni dei cittadini italiani. Vedrà, senza questo trust e con un’informazione non filtrata dai gruppi di potere, che rivoluzione nelle scelte degli italiani. In Germania ci stanno davvero pensando.

    Alla fine di tutto, includo un’immaginaria piantina di un immaginario incidente di un’immaginaria centrale nucleare sita nel centro di un’ipotetica città chiamata Milashima, in emergenza a livello 7 come Fukushima: le auguro di non abitare a Nord di Alessandria. Così, giusto per capire cosa significa creare “desplazados” in un’area di 11 mila chilometri quadrati, alla faccia dei numerini tranquillizzanti degli ingegneri nucleari. Lo dico già da ora: se dovesse succedere io, a Genova, i lumbard non ce li voglio! 🙂
    Vogliamo chiacchierare anche di rifiuti e di telecomunicazioni ?
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 296: NUCLEARE – No e basta.

    Passato un po’ di tempo dalla catastrofe del terremoto giapponese, si possono tirare le prime somme, usando il linguaggio molto diretto di chi è preoccupato per la nuova svolta nuclearista del governo italiano. E’ mia convinzione che dietro l’apparente gentilezza del modo di pensare comune a chi lavora con una formazione tecnica universitaria e legato a concetti economici e affidabilistici, si nasconde in realtà la determinazione di imporre il nucleare in modo paternalistico, come risultato di un processo di analisi alterato per farlo suonare come logico ed apparentemente inattaccabile. Invece, fuori dalle considerazioni economiche ci sono, tanto per iniziare, quelle sanitarie, che hanno già ampiamente dimostrato che il nucleare, in realtà, è letale per fondamento stesso, al di là delle ipotesi incidentali, ad esempio come quando (non) si parla dei rifiuti, che rifiuti restano anche se prodotti da centrali di ennesima generazione. Per quanto riguarda la sicurezza, avere avuto tre incidenti “top” nel giro di poco più di trent’anni lascia presumere che i valori di frequenza attesa siano stati a dir poco sottostimati. Certo, a posteriori, sia Three Miles Island, che Chernobyl e adesso Fukushima, così come le centinaia di piccoli eventi “minori” silenziosi (per questo a mio avviso ancora più inaccettabili), innestano il ciclo virtuoso di analisi che consente di capire i difetti degli impianti per renderli “un po’ più sicuri”.
    Però, quando poi si scopre che un’ondata d’acqua, per quanto gigantesca ma comunque prevista in quella zona, mette in ginocchio 4 reattori, allora il parere anche dei tecnici dovrebbe cambiare. Cosa sarà stato questa volta? I muri hanno dimostrato di reggere perché l’ondata era prevista, quindi cosa scopriremo? Che si sono staccati i serbatoi del gasolio dei generatori, galleggiando sull’acqua? O che le prese d’aria non sono state previste ad un’altezza tale da garantirne il funzionamento con i motori sommersi? Non mi stupirebbe che particolari tanto semplici possano aver causato un effetto domino di tale dimensione, i generatori erano molti e che tutti siano saltati lascia presupporre ad un problema di progettazione comune legato all’inondazione o ad un punto critico non previsto nell’analisi di rischio. Diversamente da così sarebbe ancora più preoccupante, perché la stupidità di un particolare purtroppo esiste al di là dei calcoli generali più esatti, mentre un evento dovuto ad un problema “di fondo” sarebbe davvero inaccettabile e criminale. E nel caso di Fukushima, il progetto ha affidato la vita della centrale ad un sistema non a sicurezza intrinseca, direi quindi che si è trattato di un problema “di fondo”: il flusso d’acqua legato ai generatori (sicurezza attiva) è un errore lampante, una scelta operativa sicuramente dettata dai famosi “costi inaccettabili” di una centrale più sicura. Ricordo che un giorno proposi ad un’assicurazione di legare il premio della RCT al livello di attenzione che l’azienda poneva nella gestione degli impianti, in quel caso dei semplicissimi stoccaggi di gas, e della loro conformità ai gradi più elevati della tecnica migliore. Ricevetti un diniego, perché, mi spiegarono, le assicurazioni lavorano proprio sull’imprevedibile, basandosi su un’analisi statistica dei dati a posteriori, sull’esperienza. E i dati storici sul nucleare, al di là dei numerini “dieciallamenoqualcosa”, delle promesse dei progettisti, delle parole dei politici, dicono che è l’ora di smetterla.
    Votai a sfavore del nucleare nel 1987, allora non tanto perché non credevo nella capacità della tecnica in sé stessa, quanto per una basilare sfiducia di una gestione così complessa in un paese come il nostro (non credo di dover citare i motivi, sono evidenti, ed oggi siamo peggiorati). Adesso, invece, si scopre che questa tecnologia è “troppo complessa” anche per un popolo come quello giapponese, esempio di efficienza e dove l’amministratore delegato della Tepco va in giro per i campi profughi a scusarsi personalmente per il *casino* che hanno combinato (scusate il termine, ma è davvero appropriato).
    Comunque, arrivati a questo punto non credo che ci sia più spazio per una discussione su questo argomento, chi ancora è convinto che si possa fare e gestire la fissione, vive in un passato di illusione ingegneristica sconfessata dai fatti. Per noi, antinuclearisti della prima ora, resta solo di avvisare che difenderemo duramente il nostro diritto alla vita. Il vecchio motto del “Nucleare, no grazie” da oggi diventa un esplicito “Nucleare, no e basta!”. Pazienza se saremo tacciati di non essere democratici come le nubi radioattive, quando sorvolano il mondo inquinando ricchi e poveri in egual misura.
    E non si venga a dire che “tanto le centrali straniere sono a pochi chilometri fuori del confine”: chi vuole cambiare il mondo, cominci a cambiare sé stesso.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 295: LETTERE – Nucleare: ci ripensi

    Sono d’accordo per la pausa di riflessione, ma non su abbandonare il nucleare.
    1 – Se in Italia ci fosse un sisma come quello di Fukushima, l’Italia sarebbe distrutta “da Napoli ad Ancona” (Rai 1)
    2 – I reattori BWR sono obsoleti
    3 – Per quei reattori si doveva prevedere un modo automatico per versare acqua senza elettricità (per esempio, costruire i reattori vicino a una centrale idroelettrica, per disporre dell’acqua dell’invaso). Comunque incredibile che non fosse garantita l’energia di riserva
    4 – comunque si deve pensare NUCLEARE ANCHE e non Nucleare si – Nucleare no
    5 – intanto i francesi, che hanno energia a costo inferiore di 1/3, si stanno comprando pezzi di Italia: Parmalat, Generali, Carige, ATM, Bulgari … (dimenticavo: Galbani, Locatelli,  Cademartori, Invernizzi)
    Noi contribuenti paghiamo lo sconto sull’energia di Alcoa, per non lasciare la Sardegna
    Io gestivo 50 MW, dove crede che siano ora? in Francia! l’Azienda da 2300 dipendenti ora è a 800.
    Vive l’atome, vive la France!
    Ci pensi
    (Gian Franco Migone de Amicis)

  • OLI 294: NUCLEARE – La catastrofe necessaria

    Caorso, maggio 1987 – catena umana contro il nucleare – Foto Pierantoni

    Per prendere atto delle conseguenze di quel che fanno pare sia indispensabile agli uomini che si compiano le catastrofi. E qui uso il termine “uomini” non per indicare l’umanità tutta, ma con un peso fortemente sbilanciato verso il maschile.
    Riprendo in mano gli atti – mai pubblicati – di un corso di formazione – otto incontri nell’arco di un mese – che alcune donne della Fiom organizzarono a Genova esattamente 20 anni fa, nel 1991.
    Il titolo era “Donne e innovazione tecnologica”. Si partiva dalla “estraneità” delle donne verso un sapere tutto maschile, per tentare di trasformare questa estraneità in capacità di agire sulla realtà, e modificarla.
    Parteciparono delegate sindacali da tutto il Nord Italia. Le docenti erano donne di grande livello professionale e intellettuale.
    Tra loro Elisabetta Donini, docente di Fisica alla Università di Torino, che metteva in discussione, con molta radicalità, “Lo spirito prometeico per cui la sfida al rischio, la volontà di superare tutte le barriere continua a indurre gli uomini ad esaltare come coraggio la capacità di affrontare dei pericoli”, e la conseguente ossessione “che le difficoltà si possano sempre dominare con il successivo passo scientifico-tecnologico, acquisendo maggiore capacità di dominio”. Ma dove sta la saggezza di questo coraggio? si chiedeva la Donini, quello che bisogna rivendicare è invece “la saggezza della paura”, la “coscienza del limite” e la “amichevolezza verso gli errori”, cioè saper rinunciare alla pretesa di non commettere errori, e imparare a “convivere con gli errori, rendere gli errori i più riparabili possibile, e nel possibile”. Rinunciare alla pretesa della onnipotenza, per cui “ogni sconfitta viene elaborata in: bene, adesso diventiamo più bravi e lo facciamo meglio”.
    Ma le discussioni appassionanti di quelle otto giornate sono rimaste chiuse nella memoria e nelle emozioni delle donne che vi parteciparono, e in un plico di fogli depositati in un archivio. A Genova, e in chissà quante altre parti del mondo.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 284: NUCLEARE – La lista che mancava

    Deve essere stato davvero un gran lavoro quello di chi ha tradotto in italiano la lunga lista di incidenti che hanno a che fare con il nucleare, civile o militare, dalla fine del 1800 ad oggi. E’ stato pubblicato in forma completa su http://www.mongiello.it/chernobyl/elenco-incidenti-nucleari, e si può passare qualche minuto a scorrerlo cercando la parola Italia, che compare 42 volte per altrettanti articoli inerenti il nucleare. L’origine del post è il sito progettohumus.it, che a sua volta fa riferimento al sito svizzero del servizio geologico nazionale (il link indicato in Progetto Humus è però obsoleto e non funziona).
    Nella lunga lista si legge che il Giappone, nel 1945, fece esplodere in Corea un ordigno nucleare di prova. E’ una notizia che lascia perplessi: possibile che in tutte le cronache di guerra non ne sia mai stata fatta menzione?
    Ecco il testo dell’articolo: “11 Agosto 1945 – Corea. Due giorni dopo la bomba atomica di Nagasaki, gli scienziati giapponesi di stanza a Konan (il maggiore complesso industriale sotto il controllo nipponico) ed ignari della decisione presa dall’imperatore di arrendersi evitando ulteriore morte e devastazione, eseguono un test nucleare: il lancio partì dal bacino di Konan, fu guidato nel mare del Giappone per entrare nel porto di una piccolissima isola. Per diversi giorni relitti di imbarcazioni e altre vecchie navi furono portate sull’isola che era talmente piccola da non risultare su molte mappe. I pochi abitanti furono evacuati. Venti miglia dall’isola gli osservatori aspettavano e pregavano che gli assidui sforzi avrebbero prodotto il risultato che tanto speravano: una forza di distruzione enorme da poter usare nell’autunno sulle forze alleate in procinto di un’invasione. Il risultato fu sorprendente: sotto la nube radioattiva le imbarcazioni erano affondate o bruciavano mentre della vegetazione sulle colline ne rimaneva solo le ceneri. Un fungo atomico che probabilmente era molto simile a quello di Hiroshima e Nagasaki. Ma tutto fu inutile per la presa di posizione dell’imperatore di cessare i combattimenti. Pertanto, una volta a conoscenza dell’imminente resa, gli scienziati giapponesi si diedero da fare per distruggere tutti i loro documenti nonché tutto l’equipaggiamento e strumentazioni possibili (incluse altre bombe atomiche quasi completate) perché i russi ormai avanzavano verso il complesso di Konan dalle montagne nel nord della Corea. Tutta l’apparecchiatura non distrutta finì in Russia assieme agli scienziati che furono torturati, interrogati e cancellati dalle pagine della storia”.
    Ci sono anche spiegazioni sul caso Ilaria Alpi e sulle molte mancanze di sicurezza in centrali italiane e straniere. Ad esempio, a Caorso ci furono fughe radioattive, di cui la stampa non diede notizia.
    Nella lista manca il caso del furgone con materiale radioattivo spedito in giro per lo stivale senza misure cautelative e alcuna informazione all’autista (http://www.bur.it/sezioni/Foglietto_numero_0801.pdf, pagina 2).

    (Stefano De Pietro)