Aula Magna San Salvatore – Punto G 2011 Genere e globalizzazione
C’è una caratteristica della informazione cittadina per cui spesso, anzi, quasi sempre, gli eventi di pensiero e approfondimento (dibattiti, convegni) vengono annunciati, ma non raccontati una volta che sono avvenuti. Come se riguardassero esclusivamente le persone in sala, e non mettesse conto di trasmetterne almeno qualche suggestione a chi – per mille motivi – non ha occasione di frequentare certe sedi, di essere presente a certi appuntamenti. Quando la cosa ha un certo rilievo, prima che tutto avvenga, o il giorno stesso a margine, viene intervistato chi ha organizzato l’evento, e se capita la presenza di una persona “famosa” può magari scapparci un’altra intervista, ma più in là non si va. Il tutto, quando va bene, viene annunciato e raccontato da chi è parte in causa. Manca comunque, e sistematicamente, l’occhio critico di un giornalista che si sieda in quella sala, e cerchi di percepire e di trasmettere quel che vi avviene. Che sta succedendo lì? Chi c’è in sala? Che ruolo gioca in città chi ha organizzato l’evento? Che rapporto si crea tra pubblico e organizzatori? Cosa raccontano della città le persone che si sono riunite in quella occasione? Cosa c’è da cogliere di veramente importante nelle parole che vengono scambiate, in quelle che vengono taciute, nella atmosfera del luogo? Certamente è impossibile – anche con le migliori intenzioni – pensare di adottare questo metodo per tutto quel che avviene in città. Ma il fatto è che non succede mai, e questo mai determina la natura e la qualità di quel che riesce ad emergere alla superficie della informazione. Chi organizza, nei giorni successivi, raccoglie rassegne stampa, e nel caso che all’evento sia stato comunque dedicato “spazio” può anche compiacersene. Ma ben che vada si tratta di uno spazio asettico, neutro, che non alimenta domande e che addormenta i conflitti.
Recente occasione per queste riflessioni sono state le notizie di stampa sul meeting internazionale del 25 e 26 giugno “Punto G – Genere e globalizzazione”, che nulla hanno trasmesso su alcuni, determinanti, punti di contraddizione che hanno impegnato, e anche diviso, le donne in sala. Ne cito alcuni: Violenze al G8: ne è stata colpevole solo l’azione repressiva della polizia, o è necessaria una assunzione di responsabilità anche da parte del movimento no global?
Precarietà: come può il sindacato “avere la percezione profonda di questa condizione” senza garantire una rappresentanza dei precari nei luoghi di lavoro? E’ possibile muoversi in questa direzione? Relativismo culturale, multiculturalismo, e rispetto della “libertà di scelta”: sono atteggiamenti culturali progressisti, o sono in contrasto con i diritti fondamentali delle donne che ora si trovano a dover combattere su un doppio fronte?
Nauseata dalla politica e dalla disinformazione asservita ai padroni, di destra o di sinistra, economici o politici, riporto alcuni esempi vissuti ultimamente: 1- informazione sui referendum dell’acqua. Faccio parte di un comitato, da anni lavoriamo raggiungendo le persone solo attraverso le nostre forze e il volontariato, trasversali ai partiti, organizzati, trasparenti come l’acqua. Un movimento che ha risvegliato gli italiani, coinvolto i giovani, fatto impegnare molti cittadini in prima persona. Solo questo dovrebbe essere un evento da prima pagina! Eppure in questi anni nessuno dei grandi media ci ha considerato, non hanno cercato i fatti, i protagonisti, ma hanno ubbidito ai padroni di turno che chiedevano di depotenziare il movimento e far risaltare altre forze. Mi indigna questo non volere raccontare la realtà, questa incapacità di andare a fondo, questa inevitabile ignoranza che poi traspare negli articoli infarciti di errori e omissioni. 2- conferenza stampa di presentazione del decennale del G8 a Genova e mostra fotografica. Si è parlato al 99% del programma, con eventi su lavoro, beni comuni, ambiente, povertà, ecc.. e solo all’1% si è accennato al ricordo della repressione del 2001. E’ stato ribadito con forza che il decennale non vuole essere il ricordo degli scontri, ma un nuovo ritrovarsi a discutere cose concrete, diritti umani, partecipazione. La mostra contiene centinaia di foto da tutto il mondo sui temi suddetti e solo qualcuna degli scontri del 2001. I pochi giornalisti presenti hanno fatto qualche ripresa e dopo pochi minuti se ne sono andati. Risultato: i servizi sulle TV locali o sui giornali mostravano SOLO le 3 foto degli scontri, rievocavano solo quelli, paventavano timori sulla sicurezza. Questo non è raccontare la realtà. 3- scontri NO TAV in Val Susa. Il fatto: 70.000 persone manifestano pacificamente e 100 imbecilli tirano pietre. La sera apro il sito di Repubblica e i titoli naturalmente parlano solo degli scontri. Le foto danno la misura dell’indegnità di questa informazione: ci sono molte gallerie fotografiche dedicate al lancio di pietre, la singola pietra fotografata in alta risoluzione in tutto il suo tragitto con decine di scatti, da bravi ed esperti fotografi. Poi da un link nascostissimo ecco le foto della manifestazione pacifica: poche immagini di pessima qualità scattate probabilmente dal telefonino di qualche manifestante. Questo è l’emblema della disinformazione: tutti i migliori fotografi a coprire i 100 violenti, nessuno a coprire i 70.000 pacifici. Questa sproporzione è vergognosa. Probabilmente figlia di direttive dall’alto, perché tutti i giornali fanno gli interessi di qualcuno, che sia il capo del governo o sia il partito di opposizione sostenitore della TAV e della privatizzazione dell’acqua… Io, cittadina qualunque, farei due appelli. Il primo ai giornalisti, perché ritrovino dignità e professionalità, perché il loro lavoro sia raccontare la realtà, non distorcerla o ometterla. Dove è finita l’etica professionale? Negli Stati Uniti molti giornali stanno chiudendo, dicono che è un dramma per l’informazione. Ma per come stanno le cose in Italia, io quasi mi auguro che anche i nostri chiudano, perché così come sono fanno solo danni alla verità. Vorrei vedere professionisti che studiano le cose, vanno sul posto e ci passano del tempo per capire. Il secondo ai cittadini: non credetegli più! Oggi grazie a internet è possibile informarsi direttamente alle fonti, testimoni scrivono e fanno girare l’informazione. Sfruttiamola. Oppure andiamo noi in prima persona, quando possibile, a vedere, e raccontiamolo. Naturalmente ci sarà anche qualche giornalista che lotta contro tutto questo, o qualcuno che crede che le critiche non siano per lui. Può darsi, ma io lo esorto in ogni caso a fare di più perché la sua voce onesta si faccia spazio tra le altre. Silvia Parodi – cittadina di Genova
L’associazione Altroconsumo ha deciso di adire una class action contro “mamma” Rai. Ecco la spiegazione che si trova sul loro sito (www.altroconsumo.it):
Nel corso del 2010, la Rai non ha rispettato gli obblighi di realizzare un’informazione obiettiva, imparziale ed equilibrata assunti attraverso il Contratto di Servizio Pubblico e imposti dalla disciplina sulla par condicio. Su questo si basa la class action che stiamo promuovendo contro Rai e sulla quale continuiamo a raccogliere adesioni.
Le adesioni alla data del 13 giugno 2011 sono 37.000. C’è da sperare che il giudice dia ragione ai consumatori, potremo finalmente levarci di torno tutta la dirigenza in un sol colpo:
La pubblicità di Altroconsumo su Facebook
Il 1 giugno si terrà la prima udienza davanti al Tribunale di Roma. Con l’azione collettiva risarcitoria chiediamo che il Tribunale riconosca a ciascun abbonato RAI che ne faccia richiesta, un risarcimento minimo di 500 euro, come risarcimento del danno subito dagli utenti che pur pagando il canone non hanno potuto fruire di un’informazione obiettiva, imparziale e equilibrata.
In un certo senso questo provvedimento, se fosse ritenuto applicabile dal giudice, sancirebbe una volta per tutte che la televisione di stato appartiene ai cittadini, non ai partiti. Nel frattempo, la data dell’udienza preliminare è stata spostata al 22 giugno. In un blog di commento all’informazione, è doveroso segnalare l’iniziativa ai propri lettori. (La redazione di Oli)
Pessimo inizio. Si sta abbondantemente superando il livello di guardia del grottesco. Almeno a quanto si legge su due articoli di Roberto Sculli sulla raccolta differenziata, su Il SecoloXIX:
La civica amministrazione ha sguinzagliato coppie di ispettori dell’Amiu (Azienda Multiservizi e d’Igiene Urbana) a pedinare ignari cittadini con in mano la spazzatura (rumenta in genovese e in altri idiomi settentrionali). Se nel gettarla nel contenitore dei rifiuti generici s’odono rumori sospetti di vetri, plastiche o lattine, uno dei due si mette a seguire il malcapitato, mentre l’altro – in contatto telefonico col collega – apre il sacchetto e rovista alla ricerca del corpo del reato che, se trovato, costa al trasgressore 50 euro di multa. Dall’inizio dell’anno sono stati stilati circa 360 verbali, un discreto introito.
Carlo Senesi, assessore comunale al Ciclo dei rifiuti, spiega che “dove è stata istituita, la raccolta differenziata è obbligatoria. Non è solo una questione di buon senso e sensibilità ambientale. C’è scritto nel regolamento di polizia comunale”. L’ignoranza della legge non è certo una scusante, ma peccato che il regolamento di polizia comunale non sia un best seller sul comodino di tutti gli abitanti. Un po’ più di informazione preventiva sarebbe stata opportuna, soprattutto quando c’è ancora molta confusione su cosa, come e dove di debba differenziare. Continua Senesi: “Separare i rifiuti non costa nulla e aiuta tutti. Chi è messo nelle condizioni di farlo e non lo fa per partito preso è giusto che venga sanzionato. È un modo per educare”. Qui, caro assessore, non ci siamo proprio: l’educazione si fa innanzitutto con il coinvolgimento attivo della popolazione, attraverso un’informazione semplice, esauriente e accessibile; con attività promozionali e magari anche con incentivi economici per chi pratica comportamenti virtuosi, sia pur dovuti. Non con azioni repressive che creano malcontento e disaffezione, invece del sentirsi tutti naturalmente e orgogliosamente coautori del bene comune. Ai suddetti articoli seguono numerosi commenti ora sconcertati, ora ironici, ora irritati, ora sarcastici: a tutt’oggi 112 al primo, 47 al secondo. Non male – dopo il flop dell’assurda “rambla” di Via Venti Settembre bocciata da destra e da sinistra – per “il Comune amico dei cittadini” che vorrebbe farsi vanto della condivisione e della partecipazione dei genovesi alle proprie azioni. Il bel sito dell’Amiu http://www.amiu.genova.it/fornisce chiare e dettagliate spiegazioni in merito, con la possibilità di scaricare dall’Area download un’esaustiva Guida pratica alla raccolta differenziata a Genova, non solo in Italiano, ma anche in Inglese, Francese, Spagnolo e persino in Arabo: http://www.amiu.genova.it/cms/php_docs/docs/multilingua_ita.pdf. Ma finora quanti sanno e possono navigare abitualmente in internet? Non sarebbe prioritario stamparla tale guida, nelle varie lingue, ad altissima tiratura per distribuirla ovunque? Da parte sua, il Comune ha avviato l’ambizioso progetto di un “Museo della Rumenta”. Idea tutt’altro che peregrina, su un tema di vitale importanza per qualsiasi collettività, sia sotto l’aspetto attuale del suo trattamento, sia per quanto riguarda la storia, come ben sanno gli archeologi che traggono la maggior parte delle informazioni proprio dai rifiuti depositati nei secoli: http://www.urbancenter.comune.genova.it/node/562.
Aldo Padovano ha scritto un interessante libro http://www.lettureliguri.it/tag/rumenta e non si può tralasciare l’arguto divertissement di Giampiero Orselli, ricco di indicazioni utili: http://www.genova2004.it/incoscienza/dizionariorumenta.htm#necr. Del resto, nel tardo Ottocento già il poeta dialettale Nicolò Bacigalupo (1838-1904) aveva composto l’esilarante Ö canto da rumenta (Ode della spazzatura), rifatto in tempi più recenti dal genovesissimo Piero Parodi:
Ne riportiamo il testo:
A rûmenta (La spazzatura) (Piero Parodi, con Vito Elio Petrucci)
Alè ghe semmò popoli all’era da rûmenta questo mä ch’u v’incanta gòdivela a l’è chi:
Osci de seixe resche de pesciù, pezzi de lintime e de reganissu, sc-ciappe de ziardoe strunsci de cöu, forçinn-e strabiche balle de töu, tocchi de pippe mûggi d’armelle, trippe beï lasci intu çe intu pelle, buccõin dó preve merda de can, schitte de tõrtore crõste de pan. Strasse e retaggi crêste e ventraggi, gh’o osci de põllo papë cò bollu, stellette çimixi trei sexendë, strapunte sucide oëgë sbëlê, dentë bavuse stuppin da lûm-me, luinë cò lepego mûggi de ciumme, carte da zeûgo setti da lêugo, scàtoe de plastica e papë da cû.
Alè ghe semmò popoli all’era da rûmenta in õnda senza scrupoli che tútto a voé inciasträ:
Scaffi d‘armonica ma senza tasti, carte geografiche sciûscietti guasti, fêuggie de çellao çioule e scarolle, cäsette e maneghi de casserolle, çiotï savatte bocce da inguento, e reggipetti cõn e tette drentu, cõtton idrofilo ancõn bollóu galusci che navegan rognõn giasciou Tappi de natta scarpe cò a bratta, curtelli e mazzi de fiuri pazzi, cû de fenõggio sc-ciûmma da treoggiu, tappi da bõggio e finti panë, fêuggi de meliga brûtte de piscio, bëli pé l’antega de stocchefiscio, ciumme de oxelli bocciê sc-ciappè, miande cò a ruzena e bële sûssê.
Alè ghe semmò popoli all’era da rûmenta beato chi ghe navega meschin chi ghe neghiâ:
Teia metallica çerci da testo, e fiammangille brûtte de pesto, tòcchi de lettera scritte ai galanti, pornoriviste vitte de santi, scàtoe de pilloe vëgie siringhe, clisteri lûridi perette e stringhe, magnë de dischi a pezze da inciastro, e zampe d’anitra e de bibbin. Gaggie da grilli ratti e mandilli, scàtoe e sardenn-e stecche e balenn-e, põnti cõi denti pëteni senza, fiõri in semenza ghiaia e ronfò, çiotï pei calli scösê e braghette, sgûsci d’anguria fî de trenette, piroconofoni ventóse ûsè, oxelli esotici e gõnduin sc-ciûppe.
Alè ghe semmò popoli all’era da rûmenta se a crescie ancûn salvatevi a l’è zà in scià Nunziä.
Qui ce ne sarebbe eccome da differenziare, per non correre il rischio di prender multe salate… Ma per favore, Civici Amministratori, non mettete il carro davanti ai buoi: prima informate (per davvero, in modo esaustivo e capillare, raggiungendo tutti gli utenti con stampati porta a porta e anche con messaggi radiotelevisivi, oltre che con interventi a tappeto nelle scuole di ogni ordine e grado, sensibilizzando gli studenti e di conseguenza le loro famiglie e gli altri adulti di riferimento) e solo dopo, se necessario, si comminino le giuste sanzioni ai trasgressori. (Ferdinando Bonora)
Sui giornali genovesi del 12.1.2011 sono comparsi diversi articoli riguardanti la conferenza stampa del direttore dell’Aeroporto Cristoforo Colombo di Genova Paolo Sirigu, in cui si afferma che l’aeroporto genovese, al quinto posto in Italia per i jet privati, punta a conquistare il terzo posto entro i prossimi cinque anni: nell’occasione si sottolinea l’inizio di voli regolari degli executive jet della compagna MyJet verso destinazioni italiane ed europee (Trieste, Zurigo, Ginevra, Venezia, Marsiglia, Barcellona ed Olbia), prezzi da 850 a 1800 euro a/r. Si tratta di una notizia sicuramente positiva, anche in prospettiva, per l’economia ligure, l’offerta di voli rapidi, affidabili, chiaramente destinati al pubblico Vip di vario genere, verso scali difficili da raggiungere con voli di linea: l’utilizzatore abituale genovese, però, che viaggi per motivi di lavoro o di vacanza, si trova spesso obbligato a scali a Roma, in qualche hub europeo, o a pesanti trasferimenti in auto o treno verso aeroporti vicini (Milano, Pisa, Nizza) che offrono un’ampia scelta di voli low cost. Visto che, inoltre, utilizzare l’Aeroporto di Genova non dà propriamente la sensazione di trovarsi nell’ombelico del mondo, punge il desiderio di approfondire la questione, allargando la visuale. Andando a prelevare i dati di traffico aeroportuale (*) degli anni dal 2000 al 2009 compresi (il 2010 è limitato ai dati di novembre), la posizione dello scalo genovese nel settore dei jet privati è confermata. La situazione diventa però dolente quando si passa ai dati riguardanti il numero totale di passeggeri: l’aeroporto di Genova passa infatti dal 17° posto su 35 aeroporti nel 2000 (1.063.146 passeggeri su un totale di 92.441.619) al 21° posto su 37 nel 2009 (1.136.798 passeggeri su un totale di 130.687.350). Ciò significa che, mentre il traffico passeggeri in Italia aumentava del 41%, l’incremento dei passeggeri nel nostro scalo si è fermato ad un misero 7%; gli aeroporti che hanno sopravanzato Genova sono Roma Ciampino, Lamezia, Treviso ed Alghero. I dati 2010 (limitati a novembre) vedono addirittura precipitare Genova al 23° posto, superata da Brindisi e Trapani. I voli VIP andranno anche bene, ma la percentuale degli utilizzatori di jet privati rispetto al totale dei viaggiatori si aggira attorno allo 0,2% (2 ogni 1000), e anche solo in termini di ricadute economiche per il territorio, sembra ci si occupi della ciliegina anziché dell’intera torta. L’entusiasmo di Paolo Sirigu nell’illustrare il successo dei voli Vip filtra invece senza ostacoli nei titoli e nei testi degli articoli senza che ai redattori venga in mente di offrire ai lettori un quadro generale della situazione tutt’altro che brillante del nostro aereoporto, alla vigilia del delicato passaggio della vendita del 60% delle quote oggi di proprietà della Autorità portuale. Della torta si occupa invece Nicoletta Viziano presidente del gruppo “Giovani di Confindustria” che in una intervista (Corriere Mercantile del 18 gennaio) afferma la necessità “Di creare una rete per aumentare i collegamenti dal Cristoforo Colombo e sviluppare i traffici” e di stabilire “un tavolo” di confronto con le istituzioni, Regione in primo luogo. (*) La fonte di tutti i dati di traffico (numero di voli e passeggeri) è costituita dal sito di Assaeroporti, Associazione Italiana dei Gestori Aeroporti, che permette di visualizzare velocemente tutti i dati traffico negli aeroporti italiani dal 2000 fino ad oggi (http://www.assaeroporti.it/defy.asp ). (Ivo Ruello)
Rileggo a distanza di tempo due articoli, usciti su la Repubblica del 23 dicembre. Uno è di Curzio Maltese, l’altro di Adriano Sofri, ed entrambe descrivono e commentano lo stesso evento: la splendida manifestazione degli studenti dello scorso 22 dicembre a Roma. Non c’è differenza di orientamento tra i due giornalisti. Tutti e due mettono in rilievo la capacità dei ragazzi di spiazzare l’ansiosa e desiderante attesa di incidenti – possibilmente gravi – e sottolineano il momento simbolico dell’omaggio che i giovani hanno reso a Mohammed B., l’operaio marocchino morto sul lavoro in un cantiere dentro alla facoltà di Scienze Politiche. L’intervento di Sofri, in particolare, si concentra soprattutto su questo episodio. Nell’articolo di Maltese si incontra però, in più, questo passaggio: “Dopo il fuoco, il fumo e il sangue di piazza del Popolo, il movimento studentesco più pacifico della storia è tornato con saggezza allo spirito creativo. Il più femminile anche, un fattore che conta nell’evitare il rischio di militarizzazione. Ragazze ovunque a organizzare”.
La stessa cosa avevo osservato a Genova alla grande manifestazione che il 4 novembre 2010 aveva percorso, insolitamente, la zona di Castelletto: ovunque ragazze a correre avanti e indietro lungo il corteo, a dare indicazioni.
Solo in via Assarotti davanti alla Direzione scolastica regionale presidiata dalla polizia, i giovani maschi prendono la testa e i fianchi del serpentone, disponendosi a “servizio d’ordine”. Mi avvicino e chiedo a uno di loro “E le ragazze?”. Risponde imbarazzato, sorridendo: “No guardi le ragazze nell’organizzazione ci sono, sono dappertutto, ma qui può esserci pericolo …” Dunque in queste manifestazioni di persone giovani le ragazze, le donne, ci sono, dirigono e segnano una differenza. Questa è una novità politica che per essere comunicata va messa in rilievo in termini espliciti, come ha fatto Maltese. Non può bastare, a rilevarla, una trasformazione del linguaggio che superi l’utilizzo del genere maschile (gli studenti, i giovani, i ragazzi … ) per indicare il tutto. Detto questo, però, riprendo l’articolo di Sofri dove l’utilizzo del genere maschile per il tutto non ha eccezioni e arriva a formulare frasi come: “Un’immigrazione impetuosa che ha le fattezze di uomini giovani e prolifici “ … “Noi vecchi e con pochi figli, loro giovani come conigli” … “I giovani studenti che si ribellano e i giovani immigrati che vengono qui a faticare e morire”, e non posso che osservare che questo linguaggio mi esclude totalmente, come donna, e che questa esclusione porta la conseguenza di alterare la realtà che si vuole descrivere. Non c’è persona – credo – che leggendo questo articolo non veda formarsi in modo spontaneo e automatico nella mente immagini di schiere solo maschili che lavorano, emigrano, manifestano, (partoriscono?). (Paola Pierantoni)
Per certi aspetti Genova è all’avanguardia. Da qualche tempo anche qui gli utenti del servizio pubblico hanno la possibilità di conoscere i tempi di attesa dei bus e altre informazioni, grazie al centinaio di indicatori del sistema Infobus collocati alle principali fermate. Ma c’è di più! Da alcuni mesi Amt ha esteso il servizio a tutte le circa 2500 fermate dell’intera rete, non mediante paline elettroniche, il cui costo sarebbe stato improponibile, ma attraverso semplici scambi di sms: gli utenti inviano (a loro spese) al numero 320 2043514 il codice della fermata in cui si trovano e l’azienda risponde immediatamente (a sue spese) con un sms che fornisce i tempi di attesa per le varie linee in transito. Per chi possiede un cellulare di ultima generazione o uno smartphone, con accesso a internet, basta impostare nel browser un paio di indirizzi: http://www.amt.genova.it/pianifica/passaggi_tel.asp per le previsioni di arrivo alle singole fermate; http://www.amt.genova.it/pianifica/orari_tel.asp per le tabelle delle partenze programmate dai capolinea. Ovviamente tale consultazione può essere effettuata anche dal computer di casa, per non dover attendere troppo alla fermata, specie quando le corse son meno frequenti. Tutto ciò è descritto con dovizia di particolari sul sito Amt alle pagine http://www.amt.genova.it/pianifica/infobus_sms.asp e http://www.amt.genova.it/COMUNICATI_STAMPA/2010/0853.asp.
Benissimo, meglio di così non si potrebbe fare. Almeno sembrerebbe… Alcune riflessioni infatti si impongono, considerando la distanza che separa il mondo ideale delle citate pagine aziendali – in cui si dà per scontato che tutti navighino in internet con disinvoltura e che addirittura molti dispongano già di cellulari di ultima generazione – e il paese reale costituito da utenti di ogni tipo in attesa alle fermate, sovente a disagio, la maggior parte dei quali non solo non possiede apparecchi in grado di connetterli al web ovunque si trovino, ma neppure ha internet a domicilio, o se ce l’ha è ancora troppo informaticamente imbranato per riuscire ad accedere a tutto quanto sarebbe necessario.
In questi mesi Amt sta procedendo all’apposizione dei relativi codici su tutte le fermate della rete. Benissimo. Ma il numero al quale inviare l’sms dov’è? Ci sono soltanto, in piccolo, l’indirizzo del sito internet e il numero verde 800.085311 del Servizio clienti, attivo dal lunedì al venerdì dalle 8.15 alle 16.30. E al di fuori di tale orario? O, anche nell’orario, non tutti hanno modo di telefonare e appuntarsi il numero richiesto, magari impediti da borse e sacchetti o sotto le intemperie. Di fatto, in questi termini il sofisticato servizio offerto è affatto inutile: inutilizzabile dalla maggior parte dei viaggiatori, salvo quei pochi che hanno memorizzato sul proprio cellulare il fatidico numero, copiandolo dal materiale promozionale distribuito al momento del lancio, oppure dal sito aziendale. A pensar male, si direbbe che vi sia dietro una strategia che da un lato confeziona e propone raffinati prodotti da esibire come fiori all’occhiello, ma dall’altro ne scoraggia un uso diffuso che comporterebbe ulteriori costi di gestione difficilmente quantificabili – con la miriade di sms di risposta alle interrogazioni degli utenti, a carico dell’azienda sia pure in un piano tariffario concordato a condizioni di favore – o fors’anche un intasamento delle linee telefoniche tecnicamente problematico. Ma preferiamo credere che si tratti di una semplice dimenticanza o sottovalutazione della questione, facilmente risolvibile apponendo accanto al codice della fermata un vistoso adesivo con il benedetto numero e le istruzioni per l’uso.
L’articolo su ilsecoloxix.itingloba due filmati, che sono però stati rimossi dall’utente di Youtube accusato di aver ripreso le sue malefatte per metterle in onda e farsi bello coi compagni. Se ne accorge anche un lettore, che commenta “MrGiacomo1997 ha prontamente rimosso i video; non è che qualcuno li ha preventivamente salvati?”. Elementare, Watson. Prima dell’avvento di internet, si usava dire “non sai fare un piffero”, oggi protremmo sostituirlo con la sua versione più moderna “non sai fare un link”. Il Secolo XIX casca nella trappola del nuovo web, quello dove la gestione dei contenuti è affidata in modo autonomo agli autori. Forse, abituati ad un lavoro di redazione inquadrato in regole tradizionali e rigide, è sfuggito all’articolista che i video su Youtube possono essere anche rimossi: necessita una copia locale, personale, per documentare quello che si asserisce. Per riportare il discorso sul tradizionale, è un po’ come se, recandosi in un luogo per fare un servizio, ci si dimenticasse di fare le fotografie: “l’asfalto ha le buche”, “il muro stava per crollare”, il giorno dopo sono notizie che senza foto potrebbe essere difficile documentare. E adesso, il buon MrGiacomo1997 che farà? Forte della mancanza della prova, chiederà al Secolo XIX una rettifica? Potrebbero negargliela? Certo, Santo Google potrebbe resuscitare il video incriminato, se però la cosa fosse richiesta da un magistrato. Google, si sa, fa sul serio, conserva tutto. http://www.ilsecoloxix.it/p/savona/2010/12/12/AM4xRBQE-vandalismi_esibiti_youtube.shtml (Stefano De Pietro)
La notizia in sé stessa, a parte il contenuto umano che trasmette, non è eclatante: un paziente muore in sala operatoria e il Corsera ne dà notizia con un articolo della sua redazione online. Nei fatti, i parenti del deceduto prendono a calci e pugni l’equipe medica. L’ospedale, su denuncia dei parenti, apre un’inchiesta che porterà ad appurare i fatti sulla morte del malato. Riveste un certo interesse analizzare i variegati commenti dei lettori. Da notare che il titolo è ineccepibile, fornisce una notizia esatta. 1. Togliamo ai medici il diritto di essere umani – non è possibile continuare a sentire casi del genere. I medici devono capire che la vita degli altri è importante almeno quanto la loro. Togliamo ai medici, tutti, il diritto di essere umani, bisogna che sappiano che la gente è pronta ad affrontarli con tutti i mezzi per vedere riconosciuti i loro diritti. Togliamo ai medici la disgraziata possibilità di sbagliare e di trincerarsi dietro fantasiose storie di difficoltà operatorie e formiamo medici che non sbagliano mai, che ridonano la vita a tutti, che sappiano risolvere ogni tipo di urgenza senza nessuna possibilità di inconveniente perché tutti i casi di malasanità , oramai è chiaro, sono tutti determinati dai loro errori. Togliamo loro i diritti di essere umani. 2. Colpa dei “media” – Sono un medico chirurgo, e posso solo dire, senza scendere nel dettaglio del gravissimo episodio, che la colpa principale è di voi “media”, in quanto al solo scopo di un “presunto scoop” non ci pensate due volte a titolare una notizia “…caso di malasanità….” senza andare ad intervistare i diretti interessati esprimendo giudizi affrettati, e come di moda oramai, istruendo i processi sulla carta stampata o in studi televisivi, inasprendo cosi gli animi…ovviamente per gravissimo episodio intendo l’aggressione al personale sanitario e parasanitario, nel più profondo rispetto e dolore della perdita di una vita umana. 3. I medici devono pagare – In un Ospedale Romano, sei mesi fa, la mia compagna veniva operata per l’asportazione di due noduli ai seni con conseguente biopsia. Una settimana fa, una nuova ecografia rivela che, nonostante il referto dell’intervento affermi il contrario, i noduli sono ancora lì, tali e quali. Immediato il ricorso ai nostri legali. 4. Anche il titolo è una forzatura… – “Muore durante un’operazione”. Poi leggi invece che era appena iniziata l’anestesia, e che, essendo gravemente malato di anemia mediterranea, il rischio era forte e ben conosciuto. Bisognerebbe smetterla di alimentare idee sbagliate nella gente. E bisognerebbe anche smettere di compatire le persone violente. Quel genere di sceneggiate non sono infrequenti, e con i malati e le povere vite perse non hanno nulla a che fare. Non sono manifestazioni di dolore, ma di ben altro. 5. Occorre prima capire! – Cosa è successo veramente in sala operatoria? I parenti erano stati bene informati del rischio elevato che correva il ragazzo o qualcosa è andata storta oltre ogni previsione? Esempio: ci si è accorti solo tardivamente di una errata manovra di intubazione oro-tracheale con ovvie e nefaste conseguenze? Sono un medico ma sono dalla parte dei parenti … almeno fino a prova contraria! 6. Guardate cosa scrivono i lettori – Concordo pienamente con chi attribuisce gran parte della colpa di questi episodi ai media che pur di cercare lo scoop non hanno la benchè minima attenzione alla obiettività dei fatti. Tutto questo ha portato ad un concetto di immortalità sempre più diffusa : non si può morire, se accade deve essere colpa di qualcuno. Invece morire succede e può succedere in qualsiasi momento senza che per questo sia colpa di qualcuno. E’ ovvio che per casi simili ci saranno indagini adeguate, come sempre ci sono ma non certo per furore di popolo. Accadrà che nessuno vorrà più assumersi dei rischi e si faranno sempre meno interventi. questo sta già accadendo da tempo. Di fronte a casi del genere, invece di gridare all’untore ognuno si faccia per la sua parte il Mea Culpa. Guardate cosa scrive un lettore “formiamo dei medici ..che ridiano la vita a tutti…” Se potessero esistere medici simili nessuno morirebbe mai. Per formare questo tipo di fantascientifici medici forse dovremmo rivolgerci a Gesù… ma forse neppure…. Se ci sono persone (e tante) che scrivono questo vuol dire che lo credono. http://roma.corriere.it/roma/dilatua/cronaca/articoli/2010/12/04/ragazzo-muore-durante-operazione-reazione-genitori_full.shtml (Stefano De Pietro)
L’immagine delle donne in Italia, e la loro concreta condizione, attraversano tempi bui dalle nostre parti. Gli elenchi che Emma Bonino, Susanna Camusso, Arabella Soroldoni hanno scritto per “Vieni via con me” (quello di Arabella è stato letto da Laura Morante) sono la voce delle donne che incultura e sfruttamento tentano di cancellare.
Molti ieri li avranno sentiti questi elenchi, e in ogni caso tutti sanno andare a cercarseli su You Tube. Però li proponiamo anche qui, su OLI, per dire che sono un antidoto formidabile ai nostri veleni quotidiani. http://www.youtube.com/watch?v=vsdyLCzXcgU (Paola Pierantoni)