Categoria: Cultura

  • OLI 344: CULTURA – Villa Durazzo Bombrini, un’estate in una reggia di tutti

    Da maggio a settembre ci aspettano a Genova Cornigliano oltre 50 giorni di musica, teatro, artisti di strada, dibattiti, spettacoli per bambini e altre occasioni per stare insieme e crescere culturalmente nella più grandiosa e moderna (per l’epoca) residenza costruita in Liguria nel XVIII secolo. Una piccola reggia alla francese eretta dai marchesi Durazzo per villeggiare sull’allora incantevole foce del Polcevera, ora più nota col nome degli ultimi proprietari che la vendettero all’Ansaldo nel 1916, avviandola a nuovi destini industriali: Villa Bombrini, di cui la Società per Cornigliano, attuale proprietaria, sta gestendo da alcuni anni un uso pubblico che la apre al godimento di tutti i genovesi e non solo.
    Il ricco programma per l’estate 2012 si inaugura sabato e domenica prossimi, 26 e 27 maggio dalle ore 10 alle 24, con IF istruzioni per il futuro: una kermesse con oltre trenta stand, decine tra laboratori pratici, seminari ed alcuni convegni di carattere nazionale ed internazionale che faranno da cornice alle proposte di IF – la rete ligure per l’altraeconomia e gli stili di vita responsabili. Un vero e proprio cantiere a cielo aperto capace non solo di costruire ma di confrontarsi con le nuove amministrazioni che si avviano a governare la città.
    Seguiranno molti altri eventi di diverso tipo, per rispondere alle richieste di un pubblico quanto mai vario e articolato (per il calendario si rimanda al relativo sito), che sono stati presentati oggi in una conferenza stampa durante la quale il nuovo presidente eletto del Municipio VI Medio Ponente, Giuseppe Spatola, ha insistito sull’importanza della cultura e in particolare di una cultura diffusa, non riservata solo agli addetti ai lavori.
    Cultura – aggiungiamo noi – che occorre cominciare a considerare un bisogno primario per il benessere della comunità, non più un accessorio superfluo, fanalino di coda nella distribuzione delle risorse. In tal senso è apparsa assai grave e discutibile la decisione del governo di sospendere la Notte dei Musei sabato scorso in segno di lutto e solidarietà per la strage di Brindisi. Così facendo s’è veicolato un messaggio quanto mai negativo e controproducente, perpetuando un’idea di cultura come svago leggero, come un di più di cui si può anche fare a meno e non come momento fondante della coesione sociale e dell’identità collettiva, che avrebbe per giunta potuto diffondere in questa tragica occasione opportunità di riflessione e partecipazione. Tanto più a fronte delle partite di calcio lasciate invece giocare, riscattate dal consueto minuto di silenzio di circostanza.

     (Ferdinando Bonora)

  • OLI 343: CULTURA – Come è triste Venezia

    I famosi “tagli alla cultura” ci sono venuti incontro nel corso di una visita alle Gallerie dell’Accademia (http://www.gallerieaccademia.org/ ) di Venezia, tesori immersi nella melanconia della trascuratezza.
    Nessuno controlla all’entrata della galleria che i visitatori abbiano fatto il biglietto, e quindi, di conseguenza, se abbiano con sé oggetti inopportuni. 
    Una volta entrati si gira per sale in cui i capolavori della pittura veneta sono esposti ad ogni contatto: i distanziatori spesso sono assenti, o sono costituiti da una simbolica catenella. Nella maggioranza delle sale è assente qualunque sorveglianza.
    Quasi ovunque assenti anche le “schede di sala”, indispensabili in un assetto museale antico, in cui mancano alle pareti quadri che illustrino le opere esposte. A volte manca perfino la targa che indica titolo e autore dei quadri.
    Fuori uso l’ascensore che porta alle toilettes. Qualche libro sul bancone della biglietteria costituisce tutto il “book shop” del museo.
    Tanto i visitatori, in questa Venezia sommersa dal turismo ci vengono lo stesso, pagano quello che devono in ristoranti e alberghi, e tanto basta.
    (Paola Pierantoni – foto dell’autrice)

  • OLI 340: MOSTRE – Cultura o business?

    Van Gogh al Ducale: uno dei business “culturali” più riusciti della stagione. Indugiavo ad andarvi, memore di passate esperienze, e anche stavolta sconforto e rabbia hanno avuto il sopravvento, come già l’anno passato per Mediterranea. Stesso curatore, stesso stile. Mai vista mostra più sconclusionata e brutta di questa, né una simile accozzaglia di argomentazioni retoriche e pretestuose per giustificarla. È chiaro che non sono in discussione le opere in sé: nella mostra del Ducale sono concentrati capolavori di bellezza e importanza unica. Peccato che non si afferri il criterio della scelta e il suo scopo, per quanto il tema del viaggio, pur nella sua genericità, vorrebbe essere il filo conduttore della loro presenza qui. Non si poteva, più onestamente, dire: “Abbiamo la fortuna di poter avere in prestito queste opere. Pensiamo di proporvele, magari con un piccolo corredo di notizie, giusto per collocarle un po’ nella storia dell’arte”? Invece, con rara supponenza, limitata fantasia e abbondanti salti mortali, si è preteso di inventare un “percorso”, entro cui costringere artisti, epoche, tematiche e stili che fra loro mai e poi mai potrebbero parlarsi e che in chi non bazzica le cose dell’arte può solo generare confusione.
    Qualcuno dovrebbe spiegare cosa c’entra, per esempio, Nicolas de Staël (di cui l’unica tela presente richiederebbe uno spazio di cinque e non di due metri per essere non dico “goduta” ma guardata) con Caspar David Friedrich (di cm 30 x 25 e una stanza tutta per sé). E cosa avrebbero da dirsi Kandinsky e Hopper o Rothko e Gauguin, magari passando per Turner (4 opere in mostra). E come è possibile affermare enfaticamente, in riferimento all’unico Gauguin (peraltro preziosissimo) presente, che «senza questo quadro la mostra non si sarebbe potuta fare e che con quest’unico quadro tutta la mostra si potrebbe fare». C’è di che risentirsi, se calati nei panni degli altri artisti esposti, e c’è di che rammaricarsi di non aver fatto davvero una mostra con un unico quadro. Perché no? Si sarebbe potuto. Naturalmente con i mille collegamenti e con tutti gli apparati critici del caso, al posto di quelle sbobbe graficamente illeggibili e stomachevoli nei contenuti: torrenti di parole che non spiegano nulla ma hanno la prerogativa di creare inutili ingorghi e affollamenti nel flusso di folla plaudente.
    Per non parlare delle cadute di gusto, tipo il plastico con la riproduzione delle proprietà di Monet e lui in persona sotto l’ombrellone, intento a dipingere, indovinate cosa? Le ninfee! E che dire della stanzuccia di Van Gogh in grandezza naturale come primo impatto all’ingresso? Due rimandi al mondo concreto dei pittori – il letto di Van Gogh e i laghetti di Monet – che in una mostra organizzata diversamente, ad esempio per coinvolgere bambini e magari anche qualche adulto che li accompagna, sarebbero divertenti e anche stimolanti. Qui sono solo cafoni.
    Potrei continuare, ma mi limiterò a un’unica domanda, che non rivolgo al curatore, il quale fa il suo mestiere come lo sa fare e secondo coscienza (la sua), ma ai responsabili delle scelte culturali cittadine, agli “esperti”, agli amministratori, a coloro che hanno una qualche voce in capitolo: capisco il business e capisco che una mostra come questa debba “rendere”, ma dove sta scritto che non si possa fare una bella mostra e redditizia senza per questo fare un insulto alla cultura?
    (Antonella Mancini)

  • OLI 339: CULTURA – “Magico artifizio…”

    Henry Parke, Panorama di Genova e Sampierdarena da San Benigno, 1822.

    Si segnala una conferenza con proiezioni organizzata dall’Associazione ex allievi del D’Oria:

    Ferdinando Bonora
    “Magico artifizio…”: gli esordi della realtà virtuale
    Nei panorama di Henry Parke, Luigi Garibbo e altri,
    tra Genova, Firenze e il resto del mondo
    Mercoledì 18 aprile 2012 alle ore 17.00
    aula magna del Liceo Classico Statale Andrea D’Oria
    via Armando Diaz, 8 – Genova
    ingresso libero

    I panorama, invenzione di un pittore inglese di fine Settecento, sono immensi quadri raffiguranti vedute di città o campagne a 360°, da chiudere a cilindro e osservare ponendovisi al centro, ricavandone coinvolgenti illusioni.
    In gran voga nel XIX secolo, specie in Inghilterra, Francia e Stati Uniti, dopo essere stati a lungo trascurati dalla critica d’arte, solo di recente se n’è rivalutata l’importanza nella storia della rappresentazione del reale.
    Anche Genova fu oggetto d’attenzione da parte di pittori di panorama e una sua veduta totale venne esposta a Londra nel 1828. Altre celebri raffigurazioni vanno intese come panorama, forse però rimasti allo stadio di bozzetti o esercitazioni e mai tradotti in formato gigante.
    Luigi Garibbo, pittore genovese trasferitosi a Firenze, verso il 1840 vi costruì un edificio in muratura per realizzare ed esporre panorama, tuttora esistente sia pur molto trasformato e misconosciuto dagli stessi fiorentini: l’unico realizzato in muratura in Italia e il più antico sopravvissuto al mondo.

    Luigi Garibbo, Lo Stabilimento del Panorama a Firenze, circa 1845.
  • OLI 328: CULTURA – La segreteria ingannevole dell’assessore Ranieri

    Si tratta solo di un dettaglio, ma anche i dettagli parlano, e rivelano le pieghe della realtà.
    Dunque, la segreteria dell’assessore Ranieri riceve, con largo anticipo, l’invito a partecipare a un’iniziativa organizzata da un gruppo di cittadine. Naturalmente, a un mese di distanza, la presenza dell’assessore non può essere garantita. Si resta intesi che l’invito sarà rinnovato nella prossimità dell’avvenimento, e così avviene. “In questo momento – viene detto – non possiamo ancora assicurarvi la presenza dell’assessore, che però è perfettamente informato; in ogni caso sarà nostra cura prendere contatto con voi per informarvi tempestivamente se potrà, o meno, essere presente”.
    Ringraziamenti e attesa: vana. Vince l’ala realista / pessimista del gruppo, quella che ne dava per scontata l’assenza. Il “dettaglio” che aggrava il quadro, e determina una franca irritazione, è quella mancata telefonata “di cortesia”, annunciata a vanvera, e poi non effettuata.
    Si potrà pensare: magari questa iniziativa era talmente una fesseria, talmente lontana dalle competenze dell’assessorato, talmente trascurabile rispetto alle urgenze che incombono, che dimenticarsi anche di telefonare è il più veniale dei peccati veniali: quante storie!
    Ma, veramente … la cosa riguardava direttamente proprio le competenze dell’Assessorato alla Cultura. L’iniziativa (cena, spettacolo, discussione sullo stato degli archivi dei movimenti) aveva infatti lo scopo di raccogliere risorse finalizzate alla conservazione e consultabilità di un fondo archivistico, l’archivio del “Coordinamento Donne FLM” che raccoglie i documenti prodotti dalle donne delle fabbriche genovesi tra il 1973 e i primi anni ’80.

    Il fondo, che ha recentemente ricevuto il riconoscimento “di interesse storico particolarmente importante” da parte del Ministero dei Beni Culturali, ed ha già fornito la base documentaria per numerose ricerche e pubblicazioni, è conservato presso il Centro Ligure di Storia Sociale, insieme ad altri fondi di grandissima importanza per la storia della città.
    Il punto critico è che da circa due anni l’Associazione “Centro Ligure di Storia Sociale” – venuto a mancare il sostegno di alcuni sponsor, e dovendo comunque corrispondere al Comune un affitto per i locali in cui sono conservati gli archivi – versa in una grave situazione debitoria, tanto da paralizzare di fatto qualunque attività che possa garantire l’adeguata conservazione, valorizzazione, e agevole consultazione del materiale archivistico.
    La questione del destino di questo prezioso patrimonio è da tempo alla attenzione della Amministrazione comunale, ma stenta a trovare uno sbocco. Una situazione di stallo inquietante, a cui le donne protagoniste o eredi della stagione dei Coordinamenti Donne nelle fabbriche hanno reagito inventandosi l’iniziativa di cui sopra.
    Si dirà: ma chissà chi ci sarà andato! Una serata su un fondo archivistico! Barba colossale …
    E invece no, grande successo, sala piena, serata bellissima! Gli archivi, a saperli far vivere, possono appassionare. Sono uno dei tanti aspetti della cultura che circola segretamente nelle vene della città, sostenuta da passioni e competenze che meriterebbero maggiore attenzione.

    A proposito di storia, femminismo, e di archivi che vivono: ricordiamo ancora che questa settimana c’è un appuntamento da non perdere, la “prima” del film “Donne in Movimento. Il femminismo a Genova negli anni Settanta“, realizzato dall’Archivio dei movimenti. Giovedì 26 gennaio, ore 18 alla Sala Sivori, ingresso libero.
    Intanto guardate il trailer!
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 323: CULTURA – Ken Russell: un ricordo personale

    “Correva l’anno 1987”, si usa dire, molti anni sono trascorsi, eppure la memoria in me è ancora vivida. Nel Teatro Margherita di allora, i cui spazi sono ora utilizzati dal supermercato Coin, si rappresentava Mefistofele, di Arrigo Boito, sotto la regia di Ken Russell (*): le scelte di Russell avevano creato un clima burrascoso già nei giorni precedenti (**), per scatenarsi poi, la sera della prima, in una forte contestazione, senz’altro attesa e, forse, programmata, visto che alcuni si presentarono in teatro muniti di fischietti da vigile urbano (***).
    Durante la replica a cui assistetti, la contestazione si scatenò solo alla scena in cui Margherita canta la sua aria, in una cucina moderna, nell’atto di stirare panni, davanti ad un frigorifero contenente la testa della madre. Scelte provocatorie, dissacranti, certo, ma anche divertenti, almeno a giudizio di un melomane “dilettante”, quale lo scrivente si ritiene: il gusto della provocazione cercata, della contestazione che evidentemente risultava in qualche modo gradita anche a Ken Russell.
    A quella replica cui assistetti, il regista sedeva in galleria, qualche fila davanti a noi: ai fischi ed agli applausi che si contendevano la scena, rispose alzandosi in piedi, voltandosi verso il pubblico, ringraziando tutto il pubblico, contestatori e non, vestito con un’incredibile giacca a grandi scacchi rossi, quale solo un’inglese, per quanto eccentrico, si può permettere. Indimenticabile.
    Al di là di giudizi estetici, a livello di reazione puramente emotiva, è per me un piacere ricordare quella sera, un salutare schiaffo al tradizionalismo imperante nei teatri d’opera.
    (Ivo Ruello)
    (*) http://www.teatrodel900.it/index.php?option=com_content&task=view&id=449&Itemid=360
    (**) http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/24/il-vecchio-faust-diventato-hippy.html
    (***) http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/25/evviva-mefistofele-abbasso-ken-russell.html

  • OLI 316: ARCHIVI – Ehi, candidati a sindaco: sveglia!

    Tutte le volte che ci si guarda in giro al di fuori dell’imbonimento mediatico, della monotona rappresentazione che gli attori titolati fanno della politica, si scopre la politica vera, quella che scorre nelle vene segrete del paese, grazie ad attori misconosciuti. Tra questi – lo avreste pensato? – gli archivisti.
    La sintesi del problema, in pochissime parole, la dava Enzo Costa nel Lanternino pubblicato su La Repubblica del 15 ottobre col titolo: “Memoria zero”: “Nella scientifica riduzione degli organici degli archivisti c’è lo sprezzo di chi sgoverna per la cultura, rea di non essere commestibile. Ma forse di quella cosa superflua e fastidiosa che è il sapere, si prova ancora più gusto a tagliare quella cosa pericolosa che è la memoria. Elemento sgradito a quanti praticano la manipolazione delle menti. Il sogno osceno di un regime è che la protesta degli archivisti scompaia grazie alla sparizione degli archivi.”
    Scopo dell’iniziativa dell’Anai (Associazione Nazionale Archivistica Italiana http://www.anai.org/anai-cms/) era fare appello all’opinione pubblica, unica sponda per uscire da un massacro compiuto nel silenzio e nell’indifferenza. Cercare di far capire che gli archivi hanno a che fare con la vita.
    Il bellissimo opuscolo “… E poi non rimase nessuno.” predisposto dall’Anai (ne consigliamo la lettura!) dice: “Gli archivi sono come i ricordi di una persona: tutti sanno che perdere la memoria è una delle peggiori tragedie”
    Nella sala che accoglie l’incontro di Genova si radunano un centinaio di persone, tutti “addetti ai lavori”. Francesca Imperiale, della Soprintendenza Archivistica della Liguria dice “Gli interlocutori dovrebbero essere i politici, gli amministratori locali. Ma c’è indifferenza”.
    Di fatto in sala non si vede l’ombra né di amministratori, né di politici. Unica presenza cittadina “di prestigio” è il presidente della Camera di Commercio.
    A Milano, ci dicono, è andata diversamente: una sala piena di gente, inclusi i nomi di rilievo della città. Sarà il mondo di Pisapia …

    Archivio del Forum Antirazzista” salvato dalla Associazione ArFor

    Francesca Imperiale insiste sull’importanza degli archivi non statali. Fondi fondamentali per la nostra identità, cultura, diritti, costituiti da una pluralità di soggetti.
    A questo proposito qui a Genova abbiamo un grande problema in attesa di soluzione: il destino del Centro Ligure di Storia Sociale  che conserva fondi archivistici molto importanti.
    Ma l’operatività del Centro è ferma ormai da diversi mesi, bloccata da una grave situazione debitoria che ne impedisce l’attività.

    Arch. Coord. Donne FLM” salvato dalla dispersione da “Generazioni di donne

    Ci si augura che i contatti in corso con l’Amministrazione Comunale vadano a buon fine. Il rischio altrimenti è che venga dispersa la memoria della storia del movimento operaio genovese. Ad esempio la Cgil vi ha depositato il suo archivio storico. E singole associazioni hanno affidato al Centro Ligure la memoria di esperienze importanti, salvando documentazioni preziose dalla dispersione e dalla rovina a cui sarebbero andate incontro a causa della disattenzione e incuria dello stesso sindacato.
    Ehi, candidati a sindaco! Sveglia. Sarebbe stato un appuntamento interessante per voi: la questione vi chiama direttamente in causa.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 315: ELEZIONI – Marco Doria scende in campo

    Mercoledì 5 ottobre, nella sede del dopolavoro dei portuali a San Benigno, Marco Doria si è presentato alla città come candidato alle primarie per la scelta di chi dovrà contendere alla destra la poltrona di sindaco di Genova, nelle prossime elezioni amministrative.
    Il salone era strapieno: giovani e meno giovani, molta gente in piedi, tante facce estranee ai consueti appuntamenti della politica.
    Su di lui stanno convergendo grandi aspettative, come figura nuova esterna alle nomenklature dei partiti, pur con salde radici nell’esperienza della sinistra. Su alcuni può far colpo il fatto che abbia alle spalle una lunga tradizione familiare di gestione della città e dell’intera regione, fin dal medioevo, ma di questo non ama parlare, pur non rinnegandola: intende offrire il suo contributo come Marco Doria e basta, senza approfittarsi del cognome dei propri avi. Apprezzato storico dell’economia e dell’industria, docente prima in un istituto tecnico e ora all’università. Non è digiuno di politica, ma non ne fa la sua carriera, dichiarandosi soddisfatto e orgoglioso della propria professione di studioso: ha militato nella FGCI, l’organizzazione giovanile del PCI, ed è stato prima in un consiglio di quartiere e poi in consiglio comunale. È sceso in campo non di sua iniziativa, ma rispondendo all’invito di sette esponenti della società civile: Paolo Arvati, Luca Beltrametti, Mario Calbi, Walter Fabiocchi, Silvio Ferrari, Alessandro Ghibellini, Giovanna Rotondi Terminiello, firmatari di un appello pubblicato anche su Il Secolo XIX del 27 settembre scorso, insieme a due pagine dedicate a questa candidatura.
    L’incontro è stato moderato da Silvio Ferrari, che insieme ai suddetti ha introdotto Doria, leggendo due messaggi di Arvati e Rotondi Terminiello impossibilitati a presenziare. A questi si è aggiunto don Andrea Gallo, tra il pubblico, invitato a esporre anch’egli il suo sostegno.
    Prendendo la parola, Doria ha chiarito subito che la sua non è una candidatura “contro” le altre, ma “insieme” alle altre, per offrire ai cittadini un’opportunità di scelta in più. Per un resoconto del suo articolato discorso rimandiamo a quanto pubblicato l’indomani sulla stampa. Ci limitiamo a ricordare che, a chi gli rimprovera di apparire troppo serioso e di sorridere poco, ha risposto che nell’attuale situazione c’è poco da ridere, richiamando l’esempio e la serietà di Enrico Berlinguer, anch’egli avaro di sorrisi fuori luogo.
    E a chi si aspettava anche la presentazione del suo programma, ha fatto sapere che non intende affatto proporre un documento partorito da lui solo o con pochi intimi, ma che vuole costruirlo in un percorso comune, il più possibile condiviso e partecipato da tutti gli interessati, senza nulla di calato dall’alto, mettendosi in ascolto e misurandosi con le diverse componenti della città, operando soprattutto sulle problematiche del lavoro, della cultura – con una valorizzazione degli splendori di Genova non solo come attrazione turistica, ma soprattutto per i suoi abitanti – e dell’articolata policentricità di un grande comune frutto dell’unione di abitati diversi, tuttora caratterizzati da specifiche individualità.
    Il confronto con gli altri candidati è appena iniziato. Sarà interessante seguirne gli sviluppi.

    Video-intervista de Il Secolo XIX a Marco Doria:

    (Ferdinando Bonora, foto dell’autore)
  • OLI 314: SOCIETA’ – Ambiguità del multiculturalismo

    In Oli 313, Saleh Zaghloul denuncia, giustamente, “la confusione delle parole”, e l’ambiguità che accompagna l’utilizzo di termini come multiculturalismo e società multietnica. Appunto sul senso, e sulle implicazioni, di queste parole si erano concentrati alcuni interessanti interventi nel corso del convegno “Punto G, genere e globalizzazione” (Genova, 25 giugno 2011 – vedi anche Oli 307 e Oli 308).

    Houzane Mahmoud, attivista Kurdo-Irakena, non aveva usato mezzi termini: “Non ha senso parlare di femminismo islamico. L’Islam è una forma addizionale di violenza. Le donne devono lottare per una costituzione laica … Le donne occidentali di sinistra che affermano che non dobbiamo imporre i valori occidentali non conoscono il contesto. Noi abbiamo rischiato la nostra vita per uno stato laico

    Gita Sahgal, scrittrice, giornalista, attivista per i diritti umani e delle donne, di nazionalità indiana, aveva concentrato il suo intervento sulla necessità che il rispetto per le diversità e le culture trovi un limite quando queste sono in contraddizione con i diritti delle donne. Molto netta la critica alla politica dei governi occidentali, che nella lotta al terrorismo praticano forme di alleanza e di compromesso con movimenti islamici moderati, anche quando la contropartita è l’introduzione della Sharìa, e l’accettazione della violenza verso le donne.

    Maryam Namazie, giornalista iraniana, attivista dei diritti umani è stata nettissima: “Il relativismo culturale e il multiculturalismo in una realtà formata da comunità incasellate e separate, mette il rispetto delle tradizioni al primo posto, e i diritti al secondo. E’ il razzismo delle aspettative basse e dei doppi standard.” Namazie attacca con decisione anche la presunta “libertà di scelta” delle donne “Le donne scelgono? Non c’è possibilità di scelta sotto l’inquisizione. Nell’inquisizione sei solo colpevole”.

    Soad Baba Aissa, nata in Francia da genitori algerini, attualmente dirigente presso il Ministero degli Interni francese, si definisce sindacalista e militante femminista laica. Il suo intervento è una forte denuncia del “doppio fronte” contro cui si trovano a combattere le associazioni femministe laiche: “da una parte i partiti di destra, che fanno proprio l’integralismo religioso; dall’altro le forze progressiste che hanno abbandonato l’ispirazione laica in nome del dialogo interculturale”.
    Queste quattro attiviste e intellettuali denunciano che “i diritti delle donne non fanno parte del tutto dei diritti universali”. Sono mercanteggiabili. Ci si può giocare sul filo dell’ambiguità della “libera scelta”, del “rispetto delle altre culture, delle tradizioni”. I cambiamenti procedono inevitabilmente con passaggi graduali, ma richiedono una radicalità e una nettezza nel pensiero e negli obiettivi.
    Osservo che Genova ha ospitato un dibattito internazionale su uno dei nodi principali in cui si dibatte la nostra società, quello appunto di quali debbano essere le basi legislative su cui costruire una società che ospita diverse culture, rispettando e tutelando i diritti di tutti i suoi componenti, senza che la stampa cittadina ne abbia minimamente dato conto.

    (Paola Pierantoni)

  • OLI 305: CULTURA – Melina Mater Matuta


    La Galleria Studio44, in Vico Colalanza 12r a Genova, in occasioni chiamate Jour fixe, presenta artisti che vogliono far conoscere il proprio lavoro.
    Melina Riccio non ha certo bisogno di esporre i suoi lavori in una galleria per farsi conoscere: le sue opere sul territorio, con le inconfondibili scritte in rima, sono presenti ben al di là dei confini cittadini, fino a Roma, Napoli e oltre.
    L’intenzione degli organizzatori della presentazione di giovedì 16 maggio 2011, alle 19.00, è semmai di mettere in discussione il lavoro di Melina, molto apprezzato da una parte dei cittadini, soprattutto giovani, mentre altri lo vedono come atto vandalico, per le poesie dipinte sui muri che non si fermano neppure davanti a monumenti secolari, con citazioni per la pace, l’amore e l’attenzione per le risorse sprecate.

    Talvolta un artista nel suo lavoro può esprimere un atto di follia e spesso non viene riconosciuto in quanto tale. Il suo diritto alla libera espressione, nel momento in cui tocca spazi comuni, viene negato e accade sovente che il suo genio venga riconosciuto soltanto a posteriori, quando i mercanti si prendono cura del suo operato facendolo diventare oggetto di speculazione. Basti pensare ai tanti writer nella New York degli anni ‘70/’80: prima erano perseguiti e i loro lavori cancellati;

    ora vengono riscoperti e restaurati, per conservarli, proteggerli e dare valore alla città.
    Melina Riccio «Melina Mater Matuta» (Mater Matuta era la benefica dea romana del Mattino e dell’Aurora, madre e principio femminile della Natura) crea nello storico spazio della Galleria una sua installazione, un fiume di messaggi, canti e immagini, ormai simboli di un pensiero di una vita diversa.
    La serata, in collaborazione con l’Associazione Culturale ContempoArt, verrà condotta da Gustavo Giacosa, curatore d’arte che lavora nei musei di Francia e Belgio con particolare interesse per l’arte di confine.
    (Michele Fiore, Ferdinando Bonora)