Le donne col velo pongono un interrogativo continuo con la loro appartenenza religiosa permanentemente dichiarata in pubblico. Un’intera condizione culturale, esistenziale e sociale che rimbalza addosso alle “altre”. Così nelle nostre strade, espresso attraverso i vestiti, si svolge tra donne un confronto muto, monco, ambiguo.
Categoria: Cultura
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Società – La fotografia in movimento del femminismo islamico
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Città – Giugno, dei mesi il più poetico
“Genova, Palazzo Ducale 13 giugno – Festival della Poesia “Il congedo cerimonioso – vita di Giorgio Caproni” foto di Ivo Ruello.
Un grande fermento poetico pervade Genova e la provincia in queste settimane.
E’ in corso dal 10 giugno e terminerà il 21 il sedicesimo Festival Internazionale della poesia, con la presenza di “parole spalancate” e sottili da tutto il mondo.
Da venerdì 11 si sono accese le “voci del Suq” all’interno del dodicesimo Festival delle culture con la loro promessa poetica che attraversa il ribollire di iniziative di teatro, danza, musica, incontri, mercato, cucina. Spanderanno la loro luce fino al 24 giugno e si spegneranno, mostrando la loro natura abbagliante ma provvisoria, perché a Genova il Suq c’è, disseminato e visibile a chi lo vuol vedere, ogni giorno, già da tempo. -
Cultura – Pahor, un paradiso di amicizia
Mercoledì 9 giugno, Palazzo Ducale, sala del Minor Consiglio, Boris Pahor è acquattato muto tra i due presentatori. A lungo annuisce senza intervenire. C’è una pazienza atavica nel suo ascoltare ed anche lui sembra sapere, insieme ai lettori in sala, che questo è il dazio che paga ad esser presentato. Dazio di gratitudine, perché contestualizzazione storica, sintesi della vita dell’autore, desiderio di tenere insieme bilinguismo, persecuzione della minoranza slovena e guerra richiedono passione, tempo e ascolto.
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OLI 263: CULTURA – Un altro maestro è andato via
Ad un anno di distanza se ne sono andati uno di seguito all’altro due grandi maestri che hanno insegnato a Genova. Maggio ha portato via nel 2009 Claudio Costantini, dopo un anno ha chiesto nuovamente pegno con Edoardo Sanguineti. Una strana coincidenza che si affianca a quella dell’avvicendarsi dei loro ritiri dall’Università, Sanguineti nel 2000, Costantini nel 2001. Si sono lasciati alle spalle un mondo che stava cambiando e il declino dell’università italiana.I fondi sono sempre più scarsi, i criteri metrici con i quali vengono assegnati ciechi delle contestuali particolarità ed eccellenze, pur volendo rispondere alla “meritocrazia”. Su questa progressiva depauperizzazione, o forse oculata scelta di non investire nella cultura e nella ricerca come nostro futuro, si innesta anche l’italianità, magagna dalla quale l’università stessa non è esente. È però un’italianità strumentale, diffusa in maniera infestante nella sfera degli statali, contro la quale si sta combattendo la crociata del terzo millennio (*). In realtà l’ultimo capitolo di un tentativo di disgregazione sociale imbastito, volontariamente o no, un po’ da tutti i fronti di rappresentanza. Basti pensare alla contraddittoria accoglienza del movimento dei precari e ricercatori a contratto in ambito universitario.Costantini e Sanguineti non appartenevano ad una casta. Praticavano la loro professione quotidianamente con criterio di trasmissibilità, non gelosi dei loro segreti. Quanti tra i docenti di letteratura italiana abbandonavano l’antologia per un programma che vedeva Dante accanto a Tiziano Scarpa e Alberto Arbasino, e facevan metter mano ad un libro, lavorarne un capitolo e metter le note da bravo curatore? Quanti tra i tanti maestri di storia scendevano dalla cattedra, partivano dal significato delle parole, la contaminazione tra le discipline, facendo maturare le domande e gli strumenti per la ricerca, dirottando la veemenza post adolescenziale?Chissà se la direzione aziendalista e il timido fund raising con cui le università tentano di tappare la falla piacerebbero loro. La pezza tiene per un po’, ma il buco tende ad allargarsi, le differenze ad acuirsi. Il rischio è la deriva di tanti isolotti.(Ariel) -
Cultura – Un altro maestro è andato via
“Ad un anno di distanza se ne sono andati uno di seguito all’altro due grandi maestri che hanno insegnato a Genova. Maggio ha portato via nel 2009 Claudio Costantini, dopo un anno ha chiesto nuovamente pegno con Edoardo Sanguineti. Una strana coincidenza che si affianca a quella dell’avvicendarsi dei loro ritiri dall’Università, Sanguineti nel 2000, Costantini nel 2001. Si sono lasciati alle spalle un mondo che stava cambiando e il declino dell’università italiana.
I fondi sono sempre più scarsi, i criteri metrici con i quali vengono assegnati ciechi delle contestuali particolarità ed eccellenze, pur volendo rispondere alla “meritocrazia”. -
OLI 262: CULTURA – Per Edoardo Sanguineti
Vivendo per capire
Vivendo per capire perchè vivo,
scrivo anche per capire perchè scrivo:
e vivo per capire perchè scrivo
e scrivo per capire perchè vivo.
(Edoardo Sanguineti)Non ha scelto un buon momento per morire Edoardo Sanguineti. Poteva aspettare ancora un po’. Poteva aspettarci ancora un po’. Non scaricarci addosso in modo cosi improvviso e ammutolente lo spegnimento della sua voce e della luce mobile e penetrante dei suoi occhi.Troppo freddo è stato questo lungo inverno. E troppo duro. Cominciavano appena a prevalere i raggi di sole e le giornate cominciavano a tingersi di colori e tepori primaverili.Non doveva Edoardo, che al calore umano teneva moltissimo, con la sua morte e con il suo scomparire alle nostre viste, aggiungere una ventata di gelo, al gelo già accumulato sulla nostra pelle e nelle nostre persone.Anche nella storia c’è freddo, come diceva Caproni – non troviamo tracce per sapere se amato o no – e nella società, per le strade della città e nella cronaca. E la parola di Sanguineti era sempre calda, fino all’incandescenza a volte. Di calore autentico, con la sua faccia ben esposta, sia che si esprimesse in poesia, sia che si manifestasse in teatro, in saggi, in conferenze, in interventi sui giornali, o in commenti musicali. Aveva la forza della poesia. E non temeva il paradosso, la rottura, le capriole linguistiche, il giuoco. Non temeva polemos che sapeva essere figlio degli dei.Ed era parola colta, molto colta e saggia, profondamente saggia. Capace di suscitare il pensiero sempre, sia che comunicasse ad una platea di allievi, sia che si liberasse in una piazza per invitare a non far retrocedere la linea della dignità e dell’umanità, sia che si esprimesse in una dimensione più intima dove contano la dolcezza delle relazioni umane e scorre l’acqua dell’amicizia e dell’amore.Ed era parola allenata al pensiero critico e alla potenza delle idee, che alla critica richiamava sempre per capire, per non fermarsi alla omologante superficie di ciò che appare, alla seduzione scriteriata, alla finzione ”buonista” e consolatoria. In questo senso era essenza della politica, dell’impegno politico, che quando necessità chiamava non si tirava indietro, ci metteva corpo e carne.“Politico prestato alla poesia” diceva Sanguineti di sé stesso, facendoci intendere, e questo crediamo essere il suo significato più profondo, come politica e poesia siano intrecciate inscindibilmente e come non si dia buona politica senza buona poesia.E “chierico rosso”, rispondendo a Montale, che trova nella materialità della condizione degli operai dell’Italsider e delle loro assemblee, le fonti della materialità poetica della sua scrittura. Parola quindi che si distende fra “l’utile e il bello per arrivare al vero”, secondo la sintesi di Goethe.Ma parola anche che non cela le ombre profonde dell’infelicità, del dolore vissuto e non taciuto, della fragilità che la ragione mai può neutralizzare, e che, se le condizioni lo consentono, con pudore e discrezione possono sciogliersi in lacrime, ricordando il padre o leggendo una poesia per l’amico Berio, appena deceduto.Ora che Sanguineti è morto siamo tutti più poveri, anche coloro che con lui non erano d’accordo; Genova è più povera, senza uno dei suoi figli più amati, l’Italia e il mondo sono più poveri, senza questo ambasciatore della cultura, senza questo “chierico” della dignità e dell’uguaglianza di tutti, senza questo difensore delle “casematte” della democrazie, secondo il suo amato Gramsci, “e che adesso, che potrei dire tutto, proprio, non essendo più vivo davvero, non ho più niente da dire, ecco” (Postkarten, 1977).Questo aveva scritto nel 1977 e ci aveva dato l’illusione che già morto non potesse più morire oppure, ed è la stessa cosa, potesse sempre risorgere e continuare a parlare.Ora ci parleranno solo i ricordi e le opere. Per sempre.La sua morte è stata circondata da un profondo alone di rispetto e di amore.Bene ha fatto il Comune di Genova a destinargli come ultima dimora il Pantheon dei suoi migliori figli, dove certamente prenderà posto “dalla parte del torto”, come direbbe il suo Brecht, accanto a quel Bisagno partigiano, che ha sacrificato la vita per la liberazione dai fascisti e dai nazisti.E per quella Costituzione Repubblicana che senza timore e pavidità Sanguineti ha sempre difeso. -
Vivendo per capire
Vivendo per capire perchè vivo,
scrivo anche per capire perchè scrivo:
e vivo per capire perchè scrivo
e scrivo per capire perchè vivo.
(Edoardo Sanguineti) -
Cultura – Per Edoardo Sanguineti
Non ha scelto un buon momento per morire Edoardo Sanguineti. Poteva aspettare ancora un po’. Poteva aspettarci ancora un po’. Non scaricarci addosso in modo cosi improvviso e ammutolente lo spegnimento della sua voce e della luce mobile e penetrante dei suoi occhi.
Troppo freddo è stato questo lungo inverno. E troppo duro. Cominciavano appena a prevalere i raggi di sole e le giornate cominciavano a tingersi di colori e tepori primaverili.
Non doveva Edoardo, che al calore umano teneva moltissimo, con la sua morte e con il suo scomparire alle nostre viste, aggiungere una ventata di gelo, al gelo già accumulato sulla nostra pelle e nelle nostre persone.
Anche nella storia c’è freddo, come diceva Caproni – non troviamo tracce per sapere se amato o no – e nella società, per le strade della città e nella cronaca. E la parola di Sanguineti era sempre calda, fino all’incandescenza a volte. Di calore autentico, con la sua faccia ben esposta, sia che si esprimesse in poesia, sia che si manifestasse in teatro, in saggi, in conferenze, in interventi sui giornali, o in commenti musicali. Aveva la forza della poesia. E non temeva il paradosso, la rottura, le capriole linguistiche, il giuoco. Non temeva polemos che sapeva essere figlio degli dei. -
Ballata delle Donne
Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.
Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.
Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.
Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.
(E. Sanguineti, Mikrokosmos) -
Cultura – L’inquietudine: male o bene oscuro?
La pioggia ha lucidato il bianco e nero del ciottolato e il sole si fa strada nei vicoli, illuminando le facciate colorate, le piazzette, sulle cui panchine pigramente si alternano turisti e abitanti. Siamo a Finalborgo, uno dei cento borghi più belli d’Italia, che rispetta la sua fama, venerdì 14 maggio, il primo della tre giorni del “Festival dell’inquietudine”.
Il tema di quest’anno è il limite: l’uomo di fronte ai limiti della conoscenza, della filosofia, della religione, della scienza.
