Categoria: Lettere

  • OLI 338: LETTERE – Pasqua buona. Auguri!

    Piero della Francesca – La Resurrezione

    La settimana di passione si annuncia

    con il volto trafitto da una corona di spine.
    A ciascuno il suo frammento di vitale dolore.
    Solo chi veste la dura corazza dell’oro
    non sente gli spigoli aguzzi della pietra
    e le lame affilate del fuoco interiore.
    Ma ogni spina è sentinella a un fiore.
    E ci troviamo nella scia della resurrezione.
    Ne sentiamo il vento che richiama.
    Non vigilavamo quando si aprì il sepolcro.
    (Angelo Guarnieri)
     
  • OLI 335: LETTERE – Dipingere per diletto

    Da diversi anni l’Associazione Culturale Azzurra e Radio Azzurra 88 Rete Liguria organizzano concorsi di pittura aperti a tutti, senza limiti di età, alternativamente patrocinati dai municipi 1° Centro Est, 2° Centro Ovest e 3° Bassa Val Bisagno, ospitati nei rispettivi centri civici di salita Prione, Buranello e Villa Imperiale.
    Si tratta di occasioni che offrono a chi dipinge per diletto la possibilità di presentare al pubblico le proprie opere, uscendo dall’ambito strettamente privato e confrontandosi con quanto realizzato da altri, con diversi linguaggi figurativi e a vari livelli di capacità tecnica ed espressiva.
    Siamo ora giunti alla diciannovesima edizione del Concorso Azzurra Liguria – Trofeo Agostino Zappaterra, che si inaugurerà sabato 17 marzo alle ore 16,30 a Sampierdarena presso il Centro Civico Buranello (via Buranello, 1 – via Daste, 8) e rimarrà aperta tutti i giorni, tranne i festivi, dalle ore 16,00 alle 18,00. A conclusione, la premiazione di coloro che la giuria riterrà più meritevoli avverrà venerdì 23 alle 16,30.
    Chi fosse interessato a partecipare può ancora iscriversi entro il 14 marzo, consegnando le opere (a tema libero, dimensione massima senza cornice: cm 50 x 70) nei pomeriggi dei giorni 15 e 16.
    Per informazioni, tel. 0108690734 e 3925689955.
    Cordiali saluti
    (Paola Colombo Zappaterra)

  • OLI 332: LETTERE – Piccoli orti crescono… a Genova cambiare è possibile

    Come spesso accade, in America ci sono arrivati prima di noi: il fenomeno degli orti urbani, ricavati in luoghi degradati da rottami e sporcizia, ma non solo, perché ne esistono persino sui tetti dei grattacieli, da almeno 5 anni ha visto nascere una nuova figura sociale, gli “agricoltori metropolitani”, così come li ha definiti Michael Pollan, docente di giornalismo a Berkley, che sul New York Times Magazine ha lanciato il loro manifesto:
    “Se avete un cortile togliete l’erba, se non ce l’avete o vivete in un grattacielo cercatevi un pezzetto di terra in un giardino comunitario. Piantare un orto sembra una cosa piccola e insignificante, ma in realtà è una delle cose più importanti e decisive che un individuo può fare per ridurre la quota personale di inquinamento, per diminuire il senso di dipendenza dall’industria del cibo e per cambiare il nostro modo di pensare i risparmi energetici”.
    Il rilancio dell’agricoltura urbana in America non è più un fenomeno elitario, ma una tendenza che mette al centro l’idea di riqualificazione del territorio come espressione di nuove (o forse bisognerebbe dire “antiche”?) forme di socialità, nell’ottica della sostenibilità e della dimensione estetica nella quotidianità.
    Questa tendenza è arrivata anche in Italia, e qui a Genova adesso si aggiunge un nuovo sogno, che va in questa direzione e vuole inserirsi nell’ambito del Puc (Piano Urbanistico Comunale) recentemente approvato e che, come dichiarato dal Sindaco, si pone “l’obiettivo di uno sviluppo strettamente legato ai principi di qualità ed equità sociale”.
    Renzo Piano è stato chiamato a collaborare a questo progetto, e con la semplicità che contraddistingue le persone di grande ingegno, ha tracciato due linee, che sono da considerarsi le linee guida del piano: una linea verde, oltre la quale non bisogna costruire, ed una linea blu, quella del mare.
    L’architetto ha spiegato che “bisogna smetterla di costruire anche sul mare, e di coprire la vista del mare, occorre invece lavorare all’interno di queste linee e costruire sul costruito… C’è un’idea antica, che deriva dal fatto che Genova è una città stretta tra monti e mare, dove non c’è spazio da sprecare. Ha a che fare con l’idea di parsimonia, non con quella di avarizia. … La linea verde tracciata nel piano urbanistico comunale è solo una linea di buon senso”.
    A Castelletto, il territorio della Valletta dell’Istituto Brignole a San Nicola (alle spalle dell’Albergo dei Poveri), abbandonato al degrado quasi totale, ci interroga appunto su dove sia finito il buon senso di cui parla Renzo Piano.
    Un gruppo di abitanti del quartiere, qualche mese fa, ha dato vita ad un percorso che sta per concretizzarsi in un Comitato, sostenuto da Italia Nostra, Legambiente, Movimento per la Decrescita Felice, Doctors for the Environment.
    Il sogno che anima queste persone è quello di poter realizzare un modello di gestione sostenibile del territorio, basato sull’organizzazione di spazi ricreativi e di aggregazione sociale, attraverso una produzione agricola e biovivaistica, mantenendo anche una tutela e conservazione storico-ambientale della Valletta.

    Nel 1652 Emanuele Brignole, fondatore dell’Albergo dei Poveri, scriveva nel suo testamento che “nel giardino posteriore i poveri dell’Albergo havranno da passeggiare e prendersi il sole d’inverno e poi, piantativi gli alberi, godere l’ombra e frescura d’estate”.
    Prendendo in prestito il pensiero di un altro grande genovese, dopo Renzo Piano, mi piace concludere che, come ha scritto Ivano Fossati, troppo spesso “le parole non hanno chances”, e il Comitato vorrebbe invece far rivivere l’antico auspicio espresso nelle parole di Emanuele Brignole.
    Chi volesse percorrere questa strada insieme a noi, è invitato venerdì 24 febbraio, alle ore 21, all’Assemblea Pubblica che si terrà presso l’Auditorium della Parrocchia di San Nicola (Salita della Madonnetta, 1) a Genova.
    (Roberta Boero)


  • OLI 327: LETTERE – Marco Doria e le primarie viste da Arenzano

    L’intervento che segue è stato già pubblicato su Facebook, qualche giorno fa. Ha suscitato un’ampia e vivace discussione. Mi sembra opportuno riproporlo ai lettori di Oli, perchè penso possa essere un contributo alla ventata di cambiamento e rinnovamento (in meglio) della politica genovese. Son d’accordo con Don Gallo nel dire che questa aria nuova può essere rappresentata dalla candidatura di Marco Doria, che però per essere convincente non può prescindere dal riunificare nel suo progetto tutti i democratici e tutte le forze della Sinistra.
    La discontinuità è ancora più urgente nel momento in cui diventano sempre più palesi sintomi di avvelenamento dei meccanismi di potere che dovrebbero portare a una buona amministrazione. Mentre d’altra parte si profila un ferreo pantano in cui, nella confusioni dei campi, delle responsabilità, dei valori – basta destra e sinistra come fossero orpelli – ma nella santificazione dei poteri forti, andrà avanti la mutilazione della democrazia e l’umiliazione di coloro che non contano.
    Io abito e voto ad Arenzano. Amo Genova che ha alimentato la mia vita di emigrante e mi ha regalato la gioia del crescere, dello scoprire, del ’68, della rivoluzione psichiatrica oggi offesa, della grande storia, della grande cultura, della poesia, dell’amicizia di tante buone persone. Vorrei una città amministrata secondo i principi della democrazia non corruttibile, della partecipazione paritaria di tutti, del rispetto del generoso e permaloso ambiente naturale. Vorrei una Genova in cammino verso una rinascita di uguaglianza sociale, di fratellanza, di accoglienza dei migranti, di promozione di interazioni e scambi. Una Genova che punta al recupero della bellezza che ci consegna perché, accresciuta, possiamo donarla alle future generazioni; che trovi in sé le risorse per creare lavoro buono e sicuro. E in questa direzione fare a meno di grandi opere a grande impatto territoriale e a predominio tecnologico e grande, mai ripagabile, consumo di risorse. Sto pensando alla gronda di ponente, al terzo, oggi sesto, valico, all’inceneritore-gassificatore. E penso lealmente che su questi contenuti si possano mobilitare l’entusiasmo dei giovani, la passione politica dei cittadini genovesi, erede di esperienze storiche di grande valenza ( la resistenza, il giugno ’60, il G8), l’impegno di un’intelligenza politica diffusa, che oggi attende con il fiato sospeso.
    Ho ascoltato Marco Doria l’altra sera a Pra, fra tanta buona gente, tanti buoni compagni. Mi è sembrato che su tanti argomenti ci fosse una piacevole e robusta consonanza. Su altri non c’è stata chiarezza, forse per il tempo ristretto, forse per effettiva divergenza. Ci sarà modo di approfondire e di chiarire. Penso che oggi il pericolo da non correre sia il non dire le cose con chiarezza per inseguire un consenso facile e fragile. Io penso che bisogna riunificare tutta la sinistra dell’autenticità, che bisogna puntare a un chiaro progetto di giustizia sociale e di redistribuzione egualitaria, e quindi umana, della ricchezza. Che bisogna scommettere con coerenza sull’utopia della pace e dell’armonia con la natura.
    Penso che per questa scommessa il male maggiore che possiamo infliggerci è il non parlare fra noi, il non parlar chiaro, il puntare a vincere ma non a convincere.
    L’autore di questo intervento è stato definito un utopista che vive su una nuvoletta sull’iperuranio. Riconosce che per lui è un assillo quotidiano che spesso lo fa precipitare in un’umida cantina della Maddalena. Certo, come tutti, continuamente percorre vie di mezzo, ma le imbocca con riluttanza. Non si accontenta del meno peggio. Vorrebbe assaggiare il bene.
    (Angelo Guarnieri)

  • OLI 324: LETTERE – Roberta De Monticelli, Don Verzè e la servitù volontaria

    Nel suo articolo straordinario, a proposito dello scandalo del San Raffaele e del suo padre-padrone Don Verzè, Francesco Merlo ha “giustificato” le personalità eccellenti cadute nella sua rete: “… del resto don Verzé non ha sedotto solo il cardinale Martini e tutta la credula Milano cattolica. Come ogni rispettabile padrino aveva bisogno della copertura laica e dunque l’ha ingaggiata. Massimo Cacciari ed Ernesto Galli della Loggia sono due intelligenze di prima grandezza nella cultura italiana, di quelli che braccano e scovano e mettono alla gogna i vizi del paese…”
    In risposta e con riferimento al “fiume melmoso del disastro che ha travolto ma non sradicato la direzione dell’ospedale e non ha finora toccato l’Università (la cui amministrazione è comunque separata e autonoma)..”, Roberta De Monticelli scrive oggi su Repubblica a proposito del “… tema profondissimo della responsabilità personale di ogni atto e di ogni cosa detta, e la divisa della veglia critica nei confronti delle proprie stesse pulsioni oscure. Allora? Merlo parla di “seduzione”, di cui sarebbero stati vittime molti che hanno creduto e sono “caduti nelle panie”.
    Evidentemente prescindendo da nomi e cognomi, la domanda che (si) pone ci riguarda tutti: “non ci sarà una sorta di troppo facile giustificazione, in questa immagine delle panie? È questa la domanda che io credo dobbiamo porre a noi stessi. Questo io chiederei a tutti noi, che di questa meravigliosa giovinezza che è la ricerca vera, e di questa vera religione che è l’indagine nelle profondità dell’umano, abbiamo avuto il privilegio di vivere. A noi, che dal pensiero che scienza e sapienza dell’umano potessero quotidianamente incontrarsi abbiamo ricevuto linfa e nutrimento. E che riconosciamo con dolorosa gratitudine da dove, da chi, ci viene questo pensiero, o almeno la possibilità di metterlo in pratica.
    Questo chiederei: quanto ha potuto giocare nella nostra ignoranza del lato oscuro il rinvio ingiustificabile del nostro primo dovere, quello di chiedere e dare ragione, sempre? Di chiedere trasparenza, e di applicarla, sempre? Quanto si applica agli altri, agli amministratori, e quanto anche a noi stessi, il detto che non c’è servitù se non volontaria, o almeno che anche l’opacità delle decisioni ultime, dove è subita, è volontaria? Oggi non c’è altra salvezza per questo bene, la ricerca, l’università, l’eccellenza e la libertà, che nella nostra prontezza a scindere il riconoscimento della paternità di un’idea e della sua forza, dall’acquiescenza all’oscurità dei metodi consortili della “padronanza”.
    Scrisse per ben altra occasione Piero Calamandrei che «sotto la morsa del dolore e della vergogna gli indifferenti…(si sono risvegliati) alla ribellione contro la propria cieca e dissennata assenza ». “
    Resta altro da dire? Mi inchino alle parole e al loro significato. Che le vergogne, che individualmente e collettivamente abbiamo attraversato e che attraversiamo, ci traghettino “alla ribellione contro la nostra cieca e dissennata assenza”.
    (Daniela Patrucco)

  • OLI 322: LETTERE – Car Sharing, i chiarimenti di Marco Silvestri

    ICS è il circuito a cui appartengono undici città dove è attivo il car sharing in Italia.
    ICS gestisce i fondi del Ministero dell’Ambiente per l’attivazione del servizio e per la gestione nei primi anni di vita.
    Le città che hanno iniziato prima, ovvero Bologna, Torino, poi Genova, hanno terminato i finanziamenti stanziati per lo start up e devono camminare con le proprie gambe. Bologna è però controllata al 100% da ATC Bologna (servizio di trasporto) e riceve un sostanziale aiuto dal bilancio del trasporto pubblico.
    Anche Milano gode ancora dei finanziamenti ministeriali, in quanto i due car sharing precedentemente esistenti, ovvero quello gestito da Legambiente e quello di ATM, si sono uniti nel servizio GuidaMI, gestito da ATM. Questo è avvenuto circa un’anno e mezzo fa.
    Nella situazione attuale, con l’assenza di fondi per i servizi primari (come ad esempio il trasporto pubblico), non esiste più la possibilità di avere finanziamenti per la gestione del car sharing per le città che li hanno terminati. Considerando che molti parcheggi cosiddetti “a domanda debole”, ovvero quelli più periferici, sono stati aperti dalle diverse città unicamente perché esistevano i finanziamenti pubblici che ne consentivano l’apertura, allo stato attuale le uniche due alternative per mantenere in vita il servizio presso queste zone sono:
    1) Chiudere i parcheggi periferici, ovvero quelli non redditizi
    2) Aumentare le tariffe.
    In questo momento non sembra opportuno né corretto penalizzare il servizio nei parcheggi periferici chiudendoli, visto che molti cittadini hanno cambiato le proprie abitudini di mobilità proprio grazie all’apertura del car sharing e che stiamo comunque offrendo un servizio utile alla città.
    Resto a disposizione per ogni chiarimento.
    Cordiali saluti
    (Marco Silvestri – direttore Genova Car Sharing)

  • OLI 321: LETTERE – Manuela Arata si lancia su FB

    Scrivo per segnalare che qualche giorno fa, sulla mia casella di posta di Facebook ho ricevuto un messaggio misterioso: “Ciao, io con tutta probabilità mi candido a fare il Sindaco, se mi puoi aiutare a raccogliere le firme metti mi piace sulla mia pagina Manuela4Sindaco e fai girare? grazie Manuela”. Sul momento sono rimasta un po’ spiazzata: chi era costei, e come aveva il mio contatto, dal momento che ho impostato un alto livello di privacy?

    Poi ho compreso. Manuela Arata, direttore dell’Ufficio CNR-PSC, fondatrice e presidente dell’Associazione Festival della Scienza di Genova, di cui è anche fondatrice, è la più recente candidata sindaco per le primarie ed ha voluto far sapere proprio a me che si proporrà. Rileggendo il messaggio non posso esimermi però da qualche domanda:
    – Come ha avuto il mio nominativo?
    – Se la sua idea è di convincermi a farmi votare per lei, anzi, addirittura a cercare sostenitori per la candidatura, sarebbe valsa forse la pena spendere qualche parola sul suo programma? Non tutti sono disposti a cliccare “mi piace” sulla fiducia, specie se trentenni, disoccupati o precari, arrabbiati e con l’acqua alla gola.
    – Se la candidata ha avuto il nominativo, come suppongo, perché ho fatto parte dello Staff del Festival della Scienza di cui è presidente e fondatrice, ha presente che l’età media degli animatori scientifici si è drasticamente alzata dalle prime edizioni? che non si tratta più soltanto di studenti universitari che fanno un lavoretto per arrotondare ma di adulti 30-35enni superqualificati per cui il ricavato del lavoro al Festival sarà un tassello per andare avanti e pagarsi le spese, non l’happy hour nella movida? E che gli animatori del Festival percepiscono al netto da 4 a poco più di 6 euro all’ora? E che sono pagati circa sei mesi dopo aver lavorato?
    Certo, i soldi sono pochi e il Festival è un evento di prestigio per Genova, ma a renderlo possibile sono proprio le ore di lavoro di animatori sottopagati e comunque entusiasti.
    E’ questo il modello di valorizzazione delle competenze scientifiche ed intellettuali dei giovani che si applicherà nel suo programma?
    La mia non vuole essere una critica distruttiva, non ho nulla contro la candidata, che esporrà, credo, a tempo debito le sue proposte per Genova, ma mi chiedo se questo modo di ricercare il consenso attraverso il web sociale non abbia completamente sbagliato il target, creando una sorta di malumore e fastidio in quanti, nelle mie condizioni che sono purtroppo assai diffuse, diffidano nelle richieste di fiducia incondizionata avanzate da chi si occupa di politica.
    (lettera firmata)

  • OLI 320: LETTERE – Parole pesanti! Attenzione.

    Federico Valerio, ambientalista storico genovese e non solo, continua a svolgere un ottimo lavoro di informazione e pulizia sulla tragedia di Genova di pochi giorni fa. Lo affida prevalentemente alla mailing-list ambiente_liguria@yahoogroups.com dalla quale io lo raccolgo con gratitudine.
    Penso che sia un contributo utile alla formazione di un pensiero critico su quanto avvenuto, presupposto necessario per allontanare fantasmi e paranoie e per evitare giudizi affrettati e tribunali impropri. Che non servono a niente se non ad avvelenare ulteriormente il già avvelenato clima politico in cui siamo immersi. E che forse comincia “a riveder le stelle”.
    Torniamo alle informazioni di Federico Valerio. Ci dice che “in inglese si chiamano “Cloud-Burst”, in italiano “nubifragio”,… eventi durante i quali, in due ore, piovono più di 50 milimetri di pioggia, 600 milimetri in 24 ore”. L’evento nel linguaggio mediatico e purtroppo politico è stato definito “bomba d’acqua”, almeno nei primi giorni. Su Quezzi, il quartiere del Ferreggiano, il 4 novembre sono caduti 514 milimetri di acqua in 24 ore. Un nubifragio di violenza simile a quello dell’alluvione di Genova del 1970, ma in un’area più ristretta e in un tempo più concentrato.
    Le previsioni ARPAL del giorno prima parlavano di 30-70 millimetri di pioggia prevedibili per il giorno dopo. Se le previsioni si fossero avverate al massimo si sarebbero verificati allagamento dei sottopassi, degli scantinati. Eventi certamente pericolosi ma non di potenza tragica come quelli che si sono verificate. D’altra parte non esistono modelli di previsione sperimentata sulla intensità e sulla concentrazione spazio-temporali dei nubifragi.
    Dopo questa dolorosissima esperienza quando si parlerà di “allerta 2” le indicazioni sui comportamenti protettivi e le azioni di tutti i soggetti responsabili, cittadini compresi, saranno improntati al massimo del principio di precauzione e al massimo dell’allerta.
    Alle informazioni e alla riflessione di Federico Valerio ho voluto aggiungere una considerazione che mi appassiona e mi preoccupa e che considero fondamentale per il dispiegarsi di una buona convivenza e di una autentica democrazia. Riguarda il linguaggio, troppo spesso sfigurato, de-animato, corrotto. Nel nostro caso l’uso della parola “bomba d’acqua” ha dato l’innesco a questa mia riflessione. C’è differenza nella risonanza linguistica fra nubifragio e bomba d’acqua.
    E la parola nubifragio è assolutamente esaustiva e convincente.
    Credo che possa chiarire meglio il mio argomentare un breve aforisma: “Bombe intelligenti, bombe umanitarie, bombe d’acqua. E noi, parolai sempre più stupidi”.
    Forse dire “noi” potrebbe pungere qualcuno, ma va nel senso del “…siamo tutti coinvolti”.
    Bomba è parola di grande tensione inquietante. E questi primi anni del secolo ce lo hanno mostrato, avvelenando vita e futuro.
    Ora è ancora più angosciante nel momento in cui c’è fra i potenti che cercano di fermare la presunta e illegale, sicuramente minacciosa, bomba atomica iraniana, con bombe atomiche capaci di penetrare la crosta terrestre con le conseguenze immaginabili. Al riparo di ogni loro illegalità.
    E perdonate la digressione conclusiva.
    (Angelo Guarnieri)

  • OLI 319: LETTERE – Shock economy e privatizzazione

    Terremoto dell’Aquila, aprile 2009 – Gli imprenditori embedded nell’economia dei disastri si preparano a raccogliere il bottino:
    – GAGLIARDI:..oh ma alla Ferratella occupati di ‘sta roba del terremoto perché qui bisogna partire in quarta subito… Non è che c’è un terremoto al giorno
    – PISCICELLI:… no…lo so (ride)– GAGLIARDI:… così per dire per carità.. poveracci
    – PISCICELLI:.. eh certo … Io ridevo stamattina alle 3 e mezzo dentro al letto
    – GAGLIARDI:… io pure… va buo’… Ciao.

    Alluvione Spezia e Massa, ottobre 2011 – Comunicato della Protezione Civile – 31/10/2011: “La Prefettura della Spezia rivolge nuovamente un invito a non recarsi presso i Comuni interessati dagli eventi alluvionali in quanto la presenza di volontari singoli non organizzati sta creando intralcio alle operazioni di soccorso e sgombero delle strade”.

    Shock Economy – L’ascesa del capitalismo dei disastri – Naomi Klein –RCS, 2007:
    “Date le temperature bollenti, sia climatiche sia politiche, i futuri disastri non avranno bisogno di cospirazioni segrete. Tutto lascia pensare che, se le cose restano come sono ora, i disastri continueranno a presentarsi con intensità sempre più feroce. La generazione dei disastri, dunque, può essere lasciata alla mano invisibile del mercato. Questa è un’area in cui il mercato funziona davvero.”
    La Klein, a proposito dell’uragano Katrina che nel 2005 ha spazzato New Orleans, ha ipotizzato che le autorità abbiano deliberatamente assecondato la furia della natura che, radendo al suolo l’intera area, avrebbe facilitato la delocalizzazione delle popolazioni (povere) residenti e un’imponente opera di riurbanizzazione.
    In questa alluvione ligure ho sperimentato, in una giornata trascorsa a Brugnato, (che è diverso dal generico sapere, leggere, vedere in TV) l’ovvio:

    1. massiccia presenza di imprese riconducibili ai settori della movimentazione di terra e dell’edilizia;
    2. massiccia presenza di volontariato organizzato e istituzionalizzato, che opera in coordinamento con la protezione civile;
    3. tentativo, da parte delle istituzioni, di tenere fuori i volontari-volontari;
    4. quantità smisurata di iniziative di raccolta fondi.

    Mentre si spala si argomenta, si dibatte, si delibera e uno degli esiti di tale deliberazione è stato il seguente:
    “In un’Italia di disoccupati, di occupabili, di disastri, non avrebbe maggior senso destinare alla cura del territorio lo stesso denaro che inevitabilmente viene investito “nell’emergenza”? Non di più o di meno, ma lo stesso denaro; garantendo occupazione e stabilità economica a un maggiore numero di persone?” Banale? Mica tanto.
    Se si ragiona in termini di economia dei disastri, allora il quadro diventa molto chiaro: si preferisce investire nell’emergenza perché le medesime risorse sono ridistribuite in una ristretta cerchia di soggetti, spesso ben selezionati. Socializzazione dei costi, privatizzazione dei profitti.

    “Come il prigioniero terrorizzato che rivela i nomi dei compagni e abiura la sua fede, capita che le società sotto shock si rassegnino a perdere cose che altrimenti avrebbero protetto con le unghie e con i denti”.

    Se si ragiona in termini di “shock economy”, si può ben capire il senso della proposta del senatore Grillo: l’attivazione dei privati, attraverso il project financing, per la ricostruzione delle zone alluvionate nello spezzino, in cambio dell’acquisizione di una struttura dismessa da una forza armata o di una concessione che ne preveda l’uso protratto nel tempo.
    Il senatore Grillo, naturalmente, ha già coinvolto gli americani: Milton Friedman docet.
    (Daniela Patrucco)

  • OLI 311: LETTERE – Cup, lo sfacelo organizzativo della Asl 3

    Lunedi: come si sa, giorno dell’ottimismo e delle buone intenzioni. Poiché non fumo e non sono sovrappeso, non mi resta che ripromettermi di affrontare l’impegno di una prenotazione al Cup.Intanto ho già fatto una telefonata per scoprire che l’esame che devo fare non è prenotabile per telefono e un’altra per chiedere a un istituto privato il prezzo da pagare per intero: 350 euro superano il mio budget mensile. E anche una inutile corsa all’ufficio Asl che nel frattempo scopro che si è spostato in un’altra sede, con orario solo mattutino. Stamattina alle 8,10 mi presento alla nuova sede.Un atrio di ingresso di appena 10 metri quadrati chiamato “ufficio prenotazioni”, qualche sedia sparsa in bel disordine sul passaggio, un cartello che avvisa dello sciopero di domani che accolgono i soliti pensionati in attesa del turno, già una decina. Il distributore di numeri nuovo di zecca (come tutto il resto) è già restio a distribuire, e mi assegno automaticamente l’epiteto di “ultima della fila”.Una signora si accorge che a lei non serve il numero, e “molto” democraticamente lo cede all’ultimo arrivato (…), che dal 14 fa un balzo in avanti all’8. Ho già un sussulto di ingiustizia.L’impiegata, barricata dietro un “paravento” improvvisato, evidentemente non avendo altro modo si alza 3 volte per chiedere alla collega della stanza di fronte informazioni utili alla prenotazione (“ma tu quando vai in ferie?”) portando con sé la borsa, casomai uno degli astanti avesse intenzione di portargliela via, di fronte a una decina di testimoni …Comincio il conto alla rovescia: se fra 15 minuti devo andare a lavorare, e in 7 minuti solo una persona è riuscita ad avere la sua prenotazione, che ci sto a fare qui? A parte il signore poco udente che continua a chiedermi quando tocca a lui, ormai sappiamo tutti qualcosa di più del fortunato arrivato ultimo e passato per primo, del tipo tipo “quando dovrà fare le analisi, quali, quanta pipì dovrà portare, che è diabetico e cosa gli ha detto il dottore”, e anche della sua signora, perchè con un numero regalato sono riusciti a passare in due, tra gli sguardi per niente rassegnati di chi era arrivato lì un’ora prima.Basta, non ce la faccio più.Non ho più tempo, non ho voglia di conoscere le malattie di altre 9 persone, e tantomeno di far conoscere le mie.Finirà come al solito che dovrò rimandare le visite mediche perché chi ha la fortuna di lavorare in proprio deve aspettare di poter prendere mezza giornata libera per pagare un ticket esoso per una prestazione che aspetterà per mesi.
    (Cristina Capelli)