Categoria: Candidati

  • OLI 321: LETTERE – Manuela Arata si lancia su FB

    Scrivo per segnalare che qualche giorno fa, sulla mia casella di posta di Facebook ho ricevuto un messaggio misterioso: “Ciao, io con tutta probabilità mi candido a fare il Sindaco, se mi puoi aiutare a raccogliere le firme metti mi piace sulla mia pagina Manuela4Sindaco e fai girare? grazie Manuela”. Sul momento sono rimasta un po’ spiazzata: chi era costei, e come aveva il mio contatto, dal momento che ho impostato un alto livello di privacy?

    Poi ho compreso. Manuela Arata, direttore dell’Ufficio CNR-PSC, fondatrice e presidente dell’Associazione Festival della Scienza di Genova, di cui è anche fondatrice, è la più recente candidata sindaco per le primarie ed ha voluto far sapere proprio a me che si proporrà. Rileggendo il messaggio non posso esimermi però da qualche domanda:
    – Come ha avuto il mio nominativo?
    – Se la sua idea è di convincermi a farmi votare per lei, anzi, addirittura a cercare sostenitori per la candidatura, sarebbe valsa forse la pena spendere qualche parola sul suo programma? Non tutti sono disposti a cliccare “mi piace” sulla fiducia, specie se trentenni, disoccupati o precari, arrabbiati e con l’acqua alla gola.
    – Se la candidata ha avuto il nominativo, come suppongo, perché ho fatto parte dello Staff del Festival della Scienza di cui è presidente e fondatrice, ha presente che l’età media degli animatori scientifici si è drasticamente alzata dalle prime edizioni? che non si tratta più soltanto di studenti universitari che fanno un lavoretto per arrotondare ma di adulti 30-35enni superqualificati per cui il ricavato del lavoro al Festival sarà un tassello per andare avanti e pagarsi le spese, non l’happy hour nella movida? E che gli animatori del Festival percepiscono al netto da 4 a poco più di 6 euro all’ora? E che sono pagati circa sei mesi dopo aver lavorato?
    Certo, i soldi sono pochi e il Festival è un evento di prestigio per Genova, ma a renderlo possibile sono proprio le ore di lavoro di animatori sottopagati e comunque entusiasti.
    E’ questo il modello di valorizzazione delle competenze scientifiche ed intellettuali dei giovani che si applicherà nel suo programma?
    La mia non vuole essere una critica distruttiva, non ho nulla contro la candidata, che esporrà, credo, a tempo debito le sue proposte per Genova, ma mi chiedo se questo modo di ricercare il consenso attraverso il web sociale non abbia completamente sbagliato il target, creando una sorta di malumore e fastidio in quanti, nelle mie condizioni che sono purtroppo assai diffuse, diffidano nelle richieste di fiducia incondizionata avanzate da chi si occupa di politica.
    (lettera firmata)

  • OLI 317: CITTA’ E CANDIDATI – Panchine e poltrone

    Disegno di Guido Rosato

    Panchine.
    Mentre i candidati alle primarie si sforzano di individuare un programma accattivante per la città, ricco di temi, progetti, desideri, c’è un gruppo di cittadini, sotto la sigla “Vivo il centro storico”, che organizza un presidio per protestare contro l’assenza di panchine. Panchine per il centro storico. Non sicurezza o ronde. Ma semplicemente spazi dove sedersi a parlare.
    Il comitato arriva alla spicciolata martedì 18 ottobre ore 17.00 con due panchine e un folto gruppo di ragazzini al seguito, e manifesta in faccia all’ingresso principale di palazzo Tursi. Davanti alla tabaccheria di Via Garibaldi.

    I manifesti del comitato s’ispirano al cinema: Woody Allen, Forrest Gump, Stanlio e Olio. E gli slogan, diventano per se stessi manifesto di un programma possibile: “Le panchine sono la più bella isola democratica di questo pianeta” e “Le panchine sono il posto giusto, e sempre in prima fila per contemplare lo spettacolo del mondo”.
    I bambini del gruppo si arrampicano sulle finestre del distaccamento della Polizia Municipale, cercano un luogo, altri si distendono sulla panchina portata appresso. Le ragazzine si guardano attorno e parlano.
    Gli adulti, piantina alla mano, organizzano un presidio in piazza della Meridiana nel quale invitano i cittadini a collocare la loro panchina ideale nel centro storico. Ci sono pennarelli e suggestioni. Tanta voglia di sedersi e ascoltare.

    Chissà se i candidati alla poltrona di sindaco dimostreranno sensibilità per questo comitato, se ci sarà spazio per far proprie le loro istanze. O se l’assessore competente sarà in grado, magari prima di Natale, di prendere in esame la richiesta di panchine.
    In effetti i dehors dei caffè in città non mancano, nemmeno in via Garibaldi, ma di panchine anche nella strada più importante di Genova nemmeno l’ombra.
    “La panchina è l’ultimo simbolo di qualcosa che non si compra, di un modo gratuito di trascorrere il tempo e di mostrarsi in pubblico. Di abitare la città”, c’è scritto su manifesti del comitato.
    E i candidati sindaco che ne dicono?
    Stanno in panchina?
    (Giovanna ProfumoFoto dell’autrice)

  • OLI 317: CITTA’ E CANDIDATI – Maddalena: meglio nascere fuori dall’Incubatore?

    Porto alcuni vestiti a riparare in una sartoria che ha aperto da pochissimo tempo in Via della Maddalena. Vedere una bella vetrina illuminata e piena di colori, che interrompe la triste sequenza delle saracinesche abbassate è una festa, così dico alla signora: “Allora, l’Incubatore comincia a funzionare …”, ma sono subito smentita: “L’Incubatore? Solo pubblicità ingannevole”. Infatti mi spiega che, dopo aver visitato i locali proposti dall’incubatore, valutate le condizioni di degrado, i costi di ristrutturazione, le voci per cui erano effettivamente previsti finanziamenti a fondo perduto, e gli affitti, ha ben pensato che era meglio andarsi a cercare qualcosa sul mercato privato. Così ha trovato un locale per un affitto più sostenibile (250 euro mensili), di quelli che le erano stati richiesti per gli spazi dell’Incubatore (sui 300 / 350 euro).
    Mi dice: “Non vedi che quasi nessuno ha aderito al bando? La strada continua ad essere deserta”. In effetti è così. Le chiedo: “Ma secondo te che tipo di attività ha senso aprire in una strada come questa? Per che tipo di clienti?” Mi risponde: “Certo non per i turisti! Pochi passano di qui, e il turismo che viene a Genova è un turismo povero. Qui servono artigiani, attività che non si trovano più in giro. Invece, fuori dall’Incubatore, pare che stia per aprire una sala giochi: te la figuri qui la clientela?”
    Indirizzare il tessuto economico, tipo e qualità degli esercizi commerciali, è centrale, perché determina il tipo di vita che poi si svolge in un quartiere. Il centro storico dovrebbe tornare ad attirare la popolazione cittadina perché concentra esercizi commerciali che offrono cose e servizi utili, e ristorazione popolare. Non regalini e souvenirs. Tantomeno slot machines. Pare che il Comune non abbia la possibilità di indirizzare le licenze di vendita: si può trovare una via per superare questo ostacolo? Occorre dare una svolta capace di ripopolare in tempo rapido le zone in abbandono, altrimenti il destino di chi ci prova, uno per volta, è segnato.
    Dalla chiacchierata viene fuori anche un’interessante storia di mancato accesso al credito: l’impossibilità della mia interlocutrice di ottenere un prestito di 2000 euro per completare gli adempimenti necessari all’apertura dell’attività. Prova con la Confapi, che però non prevede prestiti inferiori a 5000 euro, e per cui serve comunque il possesso di un bene da ipotecare, o di un conto corrente con almeno 2500 euro.
    Da noi non è prevista la povertà. Il pensiero corre al microcredito: se ne parla per le donne dei Paesi “svantaggiati”, e invece serve qui.
    In rete scopro l’esistenza del “Fondo Microcredito FSE 2007 -2013” della Regione Sardegna (http://www.sfirs.it/documenti/15_309_20110704004335.pdf ), nulla di simile in Liguria. Forse non ho cercato abbastanza, e magari ci arriverà qualche segnalazione incoraggiante.
    In attesa, resta la poco incoraggiante osservazione della mia interlocutrice: “Chi mi ha aiutato sono stati solo i fornitori, sono stati loro i miei “finanziatori”, perché hanno accettato di farsi pagare a 90 giorni, a 60 giorni, dandomi un po’ di respiro”.
    (Paola Pierantoni)