OLI 317: CITTA’ E CANDIDATI – Maddalena: meglio nascere fuori dall’Incubatore?

Porto alcuni vestiti a riparare in una sartoria che ha aperto da pochissimo tempo in Via della Maddalena. Vedere una bella vetrina illuminata e piena di colori, che interrompe la triste sequenza delle saracinesche abbassate è una festa, così dico alla signora: “Allora, l’Incubatore comincia a funzionare …”, ma sono subito smentita: “L’Incubatore? Solo pubblicità ingannevole”. Infatti mi spiega che, dopo aver visitato i locali proposti dall’incubatore, valutate le condizioni di degrado, i costi di ristrutturazione, le voci per cui erano effettivamente previsti finanziamenti a fondo perduto, e gli affitti, ha ben pensato che era meglio andarsi a cercare qualcosa sul mercato privato. Così ha trovato un locale per un affitto più sostenibile (250 euro mensili), di quelli che le erano stati richiesti per gli spazi dell’Incubatore (sui 300 / 350 euro).
Mi dice: “Non vedi che quasi nessuno ha aderito al bando? La strada continua ad essere deserta”. In effetti è così. Le chiedo: “Ma secondo te che tipo di attività ha senso aprire in una strada come questa? Per che tipo di clienti?” Mi risponde: “Certo non per i turisti! Pochi passano di qui, e il turismo che viene a Genova è un turismo povero. Qui servono artigiani, attività che non si trovano più in giro. Invece, fuori dall’Incubatore, pare che stia per aprire una sala giochi: te la figuri qui la clientela?”
Indirizzare il tessuto economico, tipo e qualità degli esercizi commerciali, è centrale, perché determina il tipo di vita che poi si svolge in un quartiere. Il centro storico dovrebbe tornare ad attirare la popolazione cittadina perché concentra esercizi commerciali che offrono cose e servizi utili, e ristorazione popolare. Non regalini e souvenirs. Tantomeno slot machines. Pare che il Comune non abbia la possibilità di indirizzare le licenze di vendita: si può trovare una via per superare questo ostacolo? Occorre dare una svolta capace di ripopolare in tempo rapido le zone in abbandono, altrimenti il destino di chi ci prova, uno per volta, è segnato.
Dalla chiacchierata viene fuori anche un’interessante storia di mancato accesso al credito: l’impossibilità della mia interlocutrice di ottenere un prestito di 2000 euro per completare gli adempimenti necessari all’apertura dell’attività. Prova con la Confapi, che però non prevede prestiti inferiori a 5000 euro, e per cui serve comunque il possesso di un bene da ipotecare, o di un conto corrente con almeno 2500 euro.
Da noi non è prevista la povertà. Il pensiero corre al microcredito: se ne parla per le donne dei Paesi “svantaggiati”, e invece serve qui.
In rete scopro l’esistenza del “Fondo Microcredito FSE 2007 -2013” della Regione Sardegna (http://www.sfirs.it/documenti/15_309_20110704004335.pdf ), nulla di simile in Liguria. Forse non ho cercato abbastanza, e magari ci arriverà qualche segnalazione incoraggiante.
In attesa, resta la poco incoraggiante osservazione della mia interlocutrice: “Chi mi ha aiutato sono stati solo i fornitori, sono stati loro i miei “finanziatori”, perché hanno accettato di farsi pagare a 90 giorni, a 60 giorni, dandomi un po’ di respiro”.
(Paola Pierantoni)