Categoria: OLI 298

  • OLI 330: INFORMAZIONE – Quando un’immagine suscita un dibattito

    E’ in qualche modo singolare che un articolo di un anno fa (Oli 298, “Il futuro è nelle tue mani?”) centrato sul messaggio veicolato da un’immagine pubblicitaria, abbia finito per sollecitare una piccola catena di commenti, che continua a tutt’oggi.
    A suo tempo avevamo avanzato delle osservazioni critiche sulla qualità del messaggio pubblicitario della azienda Futurweb “Il manifesto è talmente brutto e respingente da indurre degli interrogativi: a chi si rivolge? Come può pensare di essere in qualche modo attraente, invitante? Che mondo rappresenta?”, sottolineando il divario esistente tra la vaghezza delle condizioni contrattuali dichiarate (offresi fisso … tipo di contratto da definire), e la magnificenza con cui veniva pesentato il futuro di chi avrebbe intrapreso questa attività: “Il futuro è nelle tue mani … se stai cercando di sviluppare un business innovativo con elevata redditività e ti piacciono le sfide, potresti essere il candidato ideale per diventare un consulente Futurweb S.p.A”.
    Senza alcun riferimento specifico all’azienda Futurweb, osservavamo poi che l’esperienza di alcuni amici precari, e, sull’altro fronte, quella di molti comuni cittadini interpellati da “consulenti” inviati a piazzare prodotti o servizi, davano un’immagine assai meno allettante di questo lavoro: “L’esperienza di vita dei molti precari che conosciamo può farci intuire la natura delle sfide che ti devono piacere per correre l’avventura, tra un contratto “da definire”, un “offresi fisso” di natura non meglio precisata e una “elevata redditività” da conquistarsi salendo e scendendo molte scale”.
    Tra i commenti che si sono impilati nel tempo, tre sono di un lettore che si firma “Angelo” che difende con decisione e vis polemica le opportunità offerte da questo tipo di attività: “La signora che ha firmato l’articolo … dovrebbe prima di tutto prendere informazioni di tutte quelle persone che, nella morsa della disoccupazione, trovano un attimo di respiro vendendo in aziende similari a quella pubblicizzata …” e ancora: “basterebbe fare un giro fra chi questo lavoro lo fa davvero in termini di attività (non chi lavora 2 giorni a settimana, o 2 ore al giorno … quelli sono coloro che aspirano al lavoro fisso non per sicurezza contrattuale ma per potersi mettere in malattia 20 giorni al mese! Ovvero quelli che Marx chiamava sottoproletariato) … rimarrebbe stupita dai redditi che queste persone riescono a generare”.
    Un anonimo aggiunge: “Forse non sapete che esistono molte agenzie di questo tipo e i commenti non dovrebbero farli fare a tutti specie quando sono diffamatori”.
    Sull’altro fronte, c’è chi condivide perplessità e critiche, socializza scoraggianti esperienze sul campo, segnala siti che hanno analizzato e/o commentato criticamente altre realtà di lavoro che impiegano “consulenti” magnificando questa attività come “una scommessa verso te stesso”. C’è perfino un lettore che chiede consiglio: “Volevo sapere se ci sono aggiornamenti sull’azienda oggetto del post dal momento che ne sono entrato in contatto per valutare un rapporto di collaborazione. C’e’ da fidarsi?“.
    Naturalmente è completamente al di fuori dei nostri compiti, volontà e possibilità esprimere pareri di questo tipo. Ma sarebbe certamente interessante, e magari utile, il racconto di esperienze lavorative che aiutino ad inquadrare aspetti critici, o al contario positivi, di questo tipo di attività.
    (Paola Pierantoni – disegno di Guido Rosato)

  • OLI 300: NUCLEARE – Una risposta semplice

    Faccio riferimento all’articolo di Maurizio Montecucco su Oli 298, che ho letto con attenzione e che, naturalmente, non smuove la mia convinzione che la soluzione nucleare a fissione sia da scartare. Non tanto per i rischi legati al suo “normale” funzionamento (eludendo però come d’uso tra i fautori del nucleare, una serie di importanti fattori negativi dimenticati nei dibattiti, elencati più avanti), quanto per l’effetto devastante delle condizioni considerate “incredibili” dai progettisti, invece regolarmente verificatesi tre volte in trent’anni. Se un evento “top” viene escluso nelle analisi di rischio quando la sua aspettativa di accadimento è inferiore a 1×10-8 (si usa 1×10-6 come limite di credibilità nel settore petrolchimico ricadente nella normativa “Seveso”), mi chiedo come sia possibile che sia accaduto nella realtà con una frequenza statistica di 1×10-1 (un evento ogni 10 anni). Evidentemente qualcosa non funziona nella metodologia impiegata per la messa in sicurezza delle centrali, tanto meno nella tecnologia che si è dimostrata così fragile. Lo stesso Prof. Rubbia in un’intervista ha messo in dubbio la validità dell’analisi affidabilistica basata sulle tecniche attuali, quando si tratti di calcolare la sicurezza di impianti che, in caso di incidente, possono arrivare a mettere in pericolo la vita su intere aree del pianeta. A me sembra che si stia giocando con un fuoco troppo grande per essere tenuto sotto controllo per sempre, non ne siamo capaci. L’esposizione dei vantaggi del nucleare elencati nella sua lettera non parlano di quando l’impianto si rompe: a quel punto, del costo del kilowattora o della CO2 potrebbe interessare poco più di nulla.
    Inoltre, i ragionamenti, i calcoli, la politica e le ragioni da lei portate a difesa del nucleare non tengono conto e non parlano affatto del problema delle scorie, della produzione del combustibile, dello smantellamento, che sono argomenti che attraverseranno la storia ben oltre la prossima generazione, lasciando un’eredità di potenziale inquinamento a fronte di una grande incertezza su quelli che potranno essere gli scenari politici e sociali che aspettano l’umanità.
    Gli italiani si sono già espressi in passato dicendo di no, e non sarà certo la vampata di preoccupazione di Fukushima la causa della resistenza che ancora oggi si esprime forte e chiara contro il nuovo exploit nucleare di questo governo. Certo, la produzione di energia centralizzata è un obbligo per una classe politica legata al mondo industriale, anzi, industriale essa stessa, non si potrebbe tollerare che alcuno si faccia la sua corrente come crede, contento di limitare i propri consumi di fronte ad una impossibilità materiale di produrre di più ma in autonomia. Mentre quando la produzione viene sempre e comunque demandata a chi ne fa il business istituzionale, è chiaro che l’interesse sia quello di massimizzare i consumi ignorando totalmente la formazione delle persone al risparmio, a cominciare dalle scuole. Lampade a led ignorate, luci sempre accese in centri commerciali, scuole, uffici pubblici, interi palazzi di uffici, solo perché ormai nessuno sa più dove si trova l’interruttore, sono i sintomi di uno stato catatonico dei consumatori. E quando non sono i consumatori a consumare, sono gli apparecchi che nello stato “stand-by” consumano molto più di quanto l’UE aveva richiesto, su questo come saprà ci sono in corso inchieste.
    Renda i consumatori produttori per sé stessi e ne vedremo delle belle. Via il monopolio Enel, via il nucleare, un’equazione quasi perfetta.


    Intervista a Rubbia http://www.youtube.com/watch?v=ZfV8ZXIWNEk
    Consumo stand-by http://www.iljournal.it/2011/troppo-dormire-impoverire-evitare-sprechi-energetici/202637


    (Stefano De Pietro)

  • OLI 298: VERSANTE LIGURE – SARÒ (TROPPO) BREVE

    Perché qui si deplora
    e non in modo lieve
    la norma che scolora
    e scioglie come neve
    processi a dismisura
    che il tempo se li beve?
    Risponder (ciò addolora)
    adesso non si deve:
    varata si è, ultim’ora,
    l’indignazione breve.

    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA
  • OLI 298: LAVORO – Il futuro è nelle tue mani?

    Il manifesto è talmente brutto e respingente da indurre degli interrogativi: a chi si rivolge? Come può pensare di essere in qualche modo attraente, invitante? Che mondo rappresenta?
    A meno di non supporre una totale incompetenza del pubblicitario incaricato della campagna, c’è da pensare ad una intenzionalità. Una amica infatti mi avverte “Se non ti piace vuol dire che non sei target”.
    Stiamo parlando di una pubblicità comparsa di recente in alcune zone della città, quella dell’azienda Futurweb SpA che dal 30 marzo cerca “per la città di Genova e provincia consulenti per la vendita di servizi vodafone, enel energia, sky e teletu”, e anche “telefonisti/e per lavoro di presa appuntamenti, no vendita. Zona di lavoro Certosa. Offresi fisso, formazione e supporto fornite direttamente dall’azienda” . Tipo di contratto: “da definire”.
    Queste informazioni non compaiono sul manifesto, ma in alcuni siti dedicati alla pubblicizzazione di offerte di lavoro: (http://lavoro.trovit.it/lavoro/futurweb-genova; http://www.n-jobs.it/lavoro-futurweb.html). Sul manifesto c’è solo un numero di telefono e una domanda: “Cerchi un lavoro sicuro?”. La risposta, implicita, è che Futurweb te lo può garantire. Dopodiché, si presume, le giovani persone che verranno scelte potranno subire la metamorfosi che le renderà simili alla schiera di ultracorpi rappresentata in fotografia. Altrimenti, visto che “il futuro è nelle tue mani”, se ne deduce che la colpa devi darla solo a te stesso.
    Sul sito della azienda (http://www.futurwebonline.it/ ) si può leggere che “Se stai cercando di sviluppare un business innovativo con elevata redditività e ti piacciono le sfide, potresti essere il candidato ideale per diventare un consulente Futurweb S.p.A.
    L’esperienza di vita dei molti precari che conosciamo può farci intuire la natura delle sfide che ti devono piacere per correre l’avventura, tra un contratto “da definire”, un “offresi fisso” di natura non meglio precisata e una “elevata redditività” da conquistarsi salendo e scendendo molte scale.

    Al tempo stesso i pensionati stanziali che abitano i condomini nelle lunghe ore diurne, possono darci una idea della natura del lavoro dei cosiddetti consulenti, a qualunque azienda appartengano: quando il campanello di casa suona, e si apre la porta, ci si trova di fronte a giovani uomini o donne che ti parlano non come da persona a persona, ma come da robot a persona. Dietro deve esserci la famosa formazione aziendale. Nel tempo lo stile si è fatto più aggressivo e insistente. Vengono poste domande perentorie. Se stai facendo dell’altro, se semplicemete non ne hai voglia, se cerchi con cortesia di sottrarti, vieni esplicitamente rimproverata “Contenta lei!”, “Se preferisce pagare di più!”. A volte le reprimende ad alta voce ti inseguono anche a porta ormai chiusa. Te ne resti lì con dispiacere e imbarazzo, consapevole che per le scale ci sono persone che stanno facendo un lavoro ingrato, accettato perché non c’era altro, o perché erano un po’ target e magari all’inizio ci hanno anche creduto.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 298: VITTORIO ARRIGONI – Morire senza un perché

    Il 15 aprile nella casella mail arriva un appello dall’Associazione per la pace, che invitava a firmare per la liberazione di Vittorio Arrigoni, il giovane pacifista che viveva a Gaza, rapito il giorno 14 e apparso su youtube bendato e pestato. Troppo tardi.
    Troppo tardi per firmare, troppo tardi perchè Vik era già morto, ucciso ancor prima che scadesse l’ultimatum dei suoi rapitori.
    “Restiamo umani” era il suo blog, commoventi i suoi scritti: Stay Human, a conclusione di ogni intervento su http://guerrillaradio.iobloggo.com/
    Folgorato dal barbaro embargo che Israele imponeva agli abitanti della Striscia, Vittorio viveva ormai a Gaza da tre anni, scortava nel mare i pescherecci, sfidava il blocco navale. Era palestinese persino nel passaporto concessogli da quella terra, dove la cecità dello Stato israeliano è paragonabile a quella dei Paesi fratelli di quel popolo, che a parole ma non con i fatti lo aiutano.
    Finte democrazie arabe; in realtà in quasi tutta l’Africa e dintorni, sia pure con eccezioni, il potere è oggi dei militari, ed erano fino a ieri in vigore regimi autoritari fondati sulla forza, come in Egitto con una “democrazia socialista” presidenziale, eletta a suffragio universale da decenni. (Corriere della Sera, Giovanni Sartori, 15/4)
    Non si può certo dimenticare come vivono i palestinesi nelle altre terre arabe, confinati da decenni in quartieri ghetto e campi profughi. Un popolo scomodo: non sono tanti quelli riusciti ad affrancarsi da una sorte segnata.
    L’Onu, l’ Europa, il pontefice esprimono condoglianze per la morte di Vik, che non risultano pervenute dalla Lega Araba, mentre in Egitto per Vittorio funerali di stato, dopo le tante manifestazioni di solidarietà da parte dei palestinesi per l’amico, che condivideva le loro difficoltà.
    L’ultimo scritto di Vik è del 13 aprile, per comunicare la morte di quattro palestinesi nel crollo di uno dei tunnel della sopravvivenza, che servivano a far passare viveri e ogni bene di prima necessità ai palestinesi. Nel suo racconto per PeaceReporter riassume i bombardamenti, le violenze, le uccisioni, un bollettino di guerra atroce e infinito: tanta pietà per i bimbi palestinesi, ma nessun accenno ai bambini israeliani trucidati da un palestinese in Cisgiordania il 12 marzo insieme ai loro genitori.
    Non giovano alla causa della pace le parole della madre: “Israele non l’ha voluto da vivo. Non avrà il mio Vik da morto”, ribadendo il suo desiderio di far passare dal valico di Rafah, dalla parte egiziana, la salma del figlio e non da Israele.
    Così la risposta all’appello dello scrittore israeliano Etgar Keret comparso sul Corriere della Sera il 17 aprile: “La madre ci ripensi. La nostra Terra merita speranza..Così quest’ultimo viaggio diventa simbolo dell’odio”. Purchè restiamo tutti umani.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 298: YEMEN – Le donne di Piazza del Cambiamento.

    Il movimento per la libertà e la democrazia che sta coinvolgendo quasi tutti i paesi arabi ha già avuto grandi risultati con la caduta di Mubarak in Egitto e Ben Al in Tunisia. Nello Yemen il processo di cambiamento è in una fase avanzata.
    I giovani yemeniti stanno seguendo il modello egiziano: l’occupazione ad oltranza delle piazze principali delle città. Piazza del Cambiamento nella capitale Sana’a è occupata dal 3 febbraio scorso. Come è stato in Egitto e Tunisia (dove il processo di costruzione della democrazia sta andando sempre avanti con tutti i pericoli e le insidie che caratterizzano queste delicate fasi storiche), anche nello Yemen le donne stanno partecipando molto attivamente alle lotte. Le loro colleghe tunisine stanno ottenendo risultati importanti che, soltanto qualche mese fa, erano inimmaginabili: in base alla nuova legge elettorale non saranno ammesse liste che non abbiano almeno il 50% di candidate.
    Le donne presenti in piazza hanno avuto un ruolo fondamentale per mantenere il movimento per il cambiamento nello Yemen sulla linea della nonviolenza. I giovani continuano a non rispondere alle provocazioni e non cadono nella trappola della violenza alla quale è stato costretto il movimento in Libia.
    Consapevole della determinazione e del coraggio delle donne il contestato presidente Ali Saleh ha cercato nel suo discorso al popolo di venerdì scorso di neutralizzarle attaccandole su un punto molto delicato della tradizione yemenita: ha fatto appello alle forze dell’opposizione (che, come in Egitto, non rappresentano i giovani in piazza, ma che hanno partecipato in un secondo momento al movimento), di evitare la promiscuità tra donne e uomini nelle piazze.
    La riposta delle donne yemenite è stata forte ed immediata con cortei femminili in tutte le principali città, chiedendo di processare il presidente per calunnia al loro onore. “Ci vuole rinchiudere in casa come le galline”, “saremo noi donne a farlo cadere e a processarlo”, “noi siamo educate, oneste e coscienziose è lui che non è stato onesto nei confronti del popolo e dei suoi diritti”.
    Poche, invece, sono state le donne che hanno seguito il classico del calcio mondiale sullo schermo gigante allestito in piazza del Cambiamento a Sana’a. La partita di calcio tra Real Madrid e Barcellona, due tra le squadre più forti e spettacolari del mondo, dove giocano Messi e Ronaldo, è stata seguita dai giovani divisi nel tifo per una squadra o l’altra, ma, alla fine della partita, uniti nel chiedere la partenza del presidente Ali Saleh.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 298: STORIA – La guerra di un soldato in Cecenia

    Arkadij Babčenko pare un foglio bianco. E’ inespressivo come una statua. I ricordi a cui accenna lo trapassano come brevi note informative che non sembrano avere a che fare con la sua vita. Laddove il termine “sua” implica relazioni affettive, emozioni, dolore e felicità. E’ stato invitato a Palazzo Ducale, il 15 aprile, nell’ambito di La Storia in Piazza per presentare il libro La guerra di un soldato in Cecenia (ed. Mondadori)

    L’incontro è stato fortemente voluto dal Comitato per la pace nel Caucaso e dall’associazione Mondo in cammino. Accanto a Babčenko, Lucio Caracciolo e la traduttrice del libro Maria Elena Murdaca.
    L’autore racconta di esser partito di leva, in Siberia, a diciassette anni. Passati sei mesi, con altri compagni, viene convocato dai superiori: “Andrete a servire al Sud. Lì fa caldo, ci sono le mele. Vi piacerà” . Che il frutteto fosse la Cecenia è stato detto loro all’ultimo momento. Era il 1996. Arkadij Babčenko spiega ai presenti l’assenza di tempo, l’impossibilità di uno spazio per farsi domande sulle ragioni della guerra. “Ci sei e devi pensare solo a sopravvivere”. E guarda il pubblico “quando una persona è stata in guerra cambia la sua psicologia, la sua coscienza rimane in guerra, torna solo il corpo. Vai in giro per questo mondo, lo guardi e non capisci niente. Ci sono due ore di volo tra Mosca e la Cecenia. A due ore di distanza da Mosca ci sono montagne di cadaveri che bruciano”.
    Ma Babčenko ci tornerà una seconda volta. Da volontario. “Siamo tornati a migliaia. Era come una droga. La guerra è come un virus. Siamo tutti portatori sani. E’ la cosa più bella che mi è capitata, ma anche la più brutta”. Racconta del nonnismo “che nella prima guerra Cecena aveva superato i limiti” e dei battaglioni penali. Della moralità e della spietatezza capaci di animare lo stesso individuo in una logica capovolta per la quale quello che da noi è inaccettabile in guerra diventa normale. Ci tornerà da corrispondente di guerra nel 2002 e nel 2003 . Babčenko parla di un conflitto che si è esteso ad altre repubbliche caucasiche e di una Cecenia dominata Kadyrov “personaggio singolare, fatto a modo suo, un tagliatore di teste, imposto dal Cremilino, uno che ha ucciso tutti i suoi oppositori”.
    Il quadro che offre dell’opinione pubblica russa è desolante: “la maggior parte è convinta che abbiano fatto bene ad ammazzare la Anna Politkovskaja” e racconta del preoccupante aumento dei movimenti neofascisti, insieme all’integralismo islamico.
    Oggi Babčenko è giornalista del Novaja Gazeta . Elenca sulle dita della mano i 6 colleghi uccisi negli ultimi 11 anni, ultima vittima una stagista del quotidiano, due anni fa.
    L’autore si occupa della rivista letteraria Isskustvo Voynj – L’Arte della Guerra, uno spazio “dei veterani e per i veterani” in cui grazie alla scrittura ci si racconta, e si prova a guarire dalla guerra.
    (Giovanna Profumo)
  • OLI 298: CULTURA – La barriera di Palazzo Ducale

    Giovedì 14 aprile alle 21 nel salone del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale c’è stato un concerto bellissimo, parte del calendario de “la Storia in Piazza”.
    Titolo del concerto “Musica Al Hurria”, direzione musicale di Davide Ferrari che ha riunito cinque musicisti di nazionalità egiziana, marocchina, tunisina, algerina ma che vivono in Italia, per un progetto in cui l’espressione musicale diventa veicolo per un rapporto con il Nord Africa, e con la sua aspirazione alla libertà e alla democrazia.

    La sala del Maggior Consiglio era piena, il rapporto tra musicisti e pubblico molto caldo, la qualità della musica e degli artisti davvero alta, gli applausi tantissimi. La cortesia dei musicisti aveva inserito nel programma una canzone napoletana, Dicitencello vuje, cantata in arabo, ma non era solo la lingua a cambiare, anche la melodia aveva subìto una trasformazione, si colorava di scale e di ritmi che non erano nostri, ma richiamavano antiche radici comuni. Un’altra musica conteneva indiscutibili echi di flamenco, altre avevano suoni e ritmi non arabi, ma decisamente africani. La musica parlava di contatti, di legami, di spostamenti, di commerci. Di storia, appunto.
    Nel corso del concerto più volte i musicisti hanno fatto riferimento agli avvenimenti del Nord Africa, alla speranza di un cambiamento che è ancora sospeso nell’incertezza. Hanno detto che la prossima volta tra loro avrebbe dovuto esserci qualche musicista libico. Gli applausi del pubblico hanno sostenuto con calore queste frasi. Solo che in sala, salvo due o tre persone chiaramente nordafricane, c’erano solo italiani.

    C’è una barriera anche nella nostra città, e il Salone del Gran Consiglio di Palazzo Ducale, per gli immigrati, è al di là di questa barriera. Potremmo definirla, in senso lato, una barriera di classe.
    Immagino la sala se la barriera non fosse esistita, immagino le danze che sicuramente si sarebbero accese, la commozione che ci sarebbe stata, il filo invisibile che – come dice Calvino per una delle sue città – avrebbe allacciato per un attimo, in quella sala, un essere vivente ad un altro.
    Ma la barriera c’era eccome, visibilissima attraverso le assenze. Per superarla ci sarebbe voluta una precisa azione ed intenzione politica da parte di chi gestiva gli eventi, che invece è mancata.

    I nomi degli artisti: M’Barka BEN TALEB Tunisia: voce; Samir ABDELATY ELTURKY Egitto: voce – darbouka – daf – riqq – bendir; Marzuk MEJRI: Tunisia voce -darbouka – ney; Abbes BOUFRIOUA: Algeria voce – oud – chitarra; Abdenbi EL GADARI: Marocco voce – guinbri – qarraqeb – t’bel
    (Paola Pierantoni – foto Ivo Ruello)

  • OLI 298: MOSTRE – Mafalda al Ducale

    Mafalda sono io.
    O meglio, così mi sono sentita venerdì 15 aprile dopo aver fatto un salto a Palazzo Ducale.
    Consapevole che la mostra Mediterraneo era prossima alla chiusura, ho deciso – per evitare le code del week end – di munirmi per tempo dei biglietti.
    Al bookshop di Palazzo Ducale vengo informata che loro non gestiscono la mostra e sono indirizzata al piano superiore. Lì mi comunicano che se desidero prenotarmi per i giorni successi devo telefonare al numero 0422 429999 – disattivo sabato e domenica – o prenotare sul sito htpp://www.lineadombra.it, pagando con carta di credito.
    Viene tassativamente esclusa la possibilità di prenotarsi e comprare il biglietto seduta stante.
    Uscendo dalla biglietteria scorgo Luca Borzani, presidente di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura. Lo avvicino con piglio determinato chiedendogli ragione di tale follia.
    Io sono qui ed ora. Perché non posso prenotarmi e pagare adesso?
    Questa è la regola. Mi risponde lui. Regola ampiamente condivisa da molte organizzazioni di mostre in Italia.
    Ma i vecchi? Come fanno gli anziani?
    I vecchi, mi sento rispondere, vengono alla mostra senza alcuna difficoltà.

    Ma anche se la regola è condivisa, non è detto che sia saggia. E mi viene in mente il lampionaio del Piccolo Principe che, in base alla consegna, spogliatosi del suo senso critico, si ritrova ad accendere e spegnere il lampione, anche se il moto del suo pianeta è follemente accelerato.
    A me non va giù. E mi sento come Mafalda. Sgarrupata e inutile nel mio insistere.
    Ma Luca Borzani è paziente. E mi fa notare che questa mostra non mi costa nulla come contribuente, mentre mi ostino a voltarmi verso il cartellone tariffe, dicendo che invece mi costerà 10 euro. Ma lui mi ricorda che io, come contribuente, non pagherò nulla. E chiede se sono, o non sono consapevole del fatto che se vado a vedere l’Opera – a Genova il capitolo sarebbe bene non aprirlo – pago un biglietto che copre solo in parte gli oneri accessori dell’evento. Perché il resto lo pagano i contribuenti. Mi invita, infine, a visitare la mostra durante la settimana.
    Borzani ha un distacco e una flemma che solo pochi… e il tono moderato e uniforme dovrebbe indurre a pacatezza anche il profugo tunisino. Se non fosse che ciò che dice mi pare lontano anni luce da quanto vorrei fosse detto da un politico così navigato.
    Provo a formulare un’ipotesi del tutto personale:
    “Signora, so che questa delle prenotazioni è una sciocchezza. E farò il possibile affinché in futuro questo non accada”.
    Per Habemus Papam nessuna difficoltà ad acquistare il biglietto al botteghino il sabato per la domenica successiva. Ma quello è cinema.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 298 – NUCLEARE: I sessanta chilometri di Milashima


    Nel numero 295 di Oli un lettore ha inviato una lettera alla quale rispondo con piacere, trattandosi di argomenti abitualmente portati a difesa del nucleare.
    1 – Se in Italia ci fosse un sisma come quello di Fukushima, l’Italia sarebbe distrutta “da Napoli ad Ancona” (Rai 1).
    La prospettiva di un terremoto “da Napoli ad Ancona” esclude regioni certamente altrettanto attive, come la Sicilia, la Calabria, le Puglie: forse chi fa questa affermazione in Rai ha ancora in mente la vecchia classificazione tellurica, quella che ha permesso a scuole e palazzi di cadere (ma a norma di legge, s’intende) durante gli ultimi terremoti. Comunque, a parte questo, un terremoto delle dimensioni di quello giapponese aggiungerebbe solo macerie ai problemi delle centrali nucleari. Come dire: già che crolla tutto, facciamoci anche gasare …
    In Italia non è comunque necessario attendere un terremoto di magnitudo 9 Richter, basta vedere cosa riusciamo a fare con le poche barre di combustibile nucleare stipate qua e là ad inquinare di stronzio 90 le falde acquifere. Lui, lo stronzio, non è cattivo, è che lo hanno chiamato così … (http://freeforumzone.leonardo.it/lofi/Il-Piemonte-e-la-piscina-radioattiva/D5875056.html)

    2 – I reattori BWR sono obsoleti (http://it.wikipedia.org/wiki/Reattore_nucleare_a_fissione#Reattori_BWR)
    Se sono “obsoleti” perché sono ancora in funzione? Beh, perché nessuno si prende la briga di demolirli, è antieconomico come dimostrano le continue proroghe, e non si sa bene ancora come farlo. Quando si comincerà a chiuderli, avremo anche i primi casi di incidenti legati alla dismissione. Comunque, dopo 50 anni di nucleare a fissione, ancora non esistono certezze per lo stoccaggio delle scorie. In Germania le miniere di sale hanno ceduto e i detriti nucleari rischiano di contaminare le falde. Mi piacerebbe mandare gli stessi dirigenti e ingegneri che avevano firmato i vari documenti autorizzativi a levare i fusti, adesso. I filo-nuclearisti dovrebbero avere l’iniziativa di andare a spalare l’acqua di Fukushima, per aiutare i pochi volontari che restano a lavorare là, come fecero i liquidatori di Chernobyl che con il loro lavoro suicida hanno letteralmente salvato il mondo da una catastrofe ancora peggiore, e ai quali non mi risulta che il popolo italiano abbia ancora dedicato una giornata di lutto nazionale. Chi farebbe un fuoco così grosso da non avere abbastanza acqua per spengerlo? Il top event non ha soluzione, per cui lo si rende incredibile con artifici numerici, quando già per la terza volta siamo saliti a livelli di incidente superiore a 6. Il prof. Rubbia stesso ha avuto da dire sulla metodologia dell’analisi di rischio probabilistica per impianti così critici.
    3. Fukushima è stata costruita male.
    Repetita iuvant: anche qui la risposta si morde la coda con la domanda. Costruita male a norma di legge. Attendiamo il prossimo incidente e la prossima considerazione tecnica “a posteriori”, sperando che resti sempre qualcuno vivo per accertarla. Ci sono molte centrali “obsolete” e “costruite male” pronte a regalarci emozioni, circa 500 in tutto il mondo, la maggior parte delle quali molto vecchie, non pensate né per durare in eterno, né tantomeno per essere demolite in sicurezza. Non siamo poi molto lontano dagli “ingegneri Neanderthal”. Si usa dire che la nostra civiltà non lascerà molte informazioni perché ormai sono tutte virtualizzate: in realtà resteranno le scorie, a testimonianza dell’elevato grado di tecnologia raggiunto dalla scimmia sapiens.
    4. Si deve pensare a “nucleare anche”.
    Al di là delle considerazioni sul risparmio energetico fatto eliminando gli sprechi e sui diversi modi di fare elettricità con altri sistemi che non la fissione, per chi proprio volesse continuare sull’attuale tendenza che “consumo è bello” resta la speranza della fusione a freddo. Rapporto 41: l’Enea era arrivata ad un risultato sperimentale verificato ma il gruppo di lavoro è stato ignorato ed anzi, sostituito quando il Ministero delle attività produttive si era interessato al loro risultato (conosciuto per caso, s’intende). In attesa di verifica, esiste anche l’avventura di Rossi e Focardi, vedremo come va a finire. In questo caso c’è un’evidenza di laboratorio nelle loro conferenze di gennaio e di aprile 2011. Alcuni scienziati si lamentano che non è stato seguito il metodo scientifico classico; però, se fossi il fortunato scopritore di un processo di tal fatta, che interesse avrei a dover rivelare i miei segreti industriali per far contente le riviste scientifiche? In fondo, il mondo della scienza non ha dato un dollaro per questa ricerca, quale correttezza di ritorno si aspetta di ricevere adesso? (Rapporto 41: http://www.youtube.com/watch?v=XMW6rAU2X1Q) (intervista a Focardi http://www.territorioscuola.com/interazioni_2/2011/04/10/0046-100411-sergio-focardi-parla-il-padre-della-fusione-fredda-ni-h/)
    5. I francesi si comprano l’Italia.
    Sono contento per i Francesi, che si stanno adesso accorgendo cosa succederà da loro con le scorie e con le malattie professionali di chi lavora in quegli stabilimenti, costruiti con le risorse anche militari. Preferirei sentirle commentare come mai in Italia le lampadine a Led ad alta luminescenza non siano commercializzate in modo diffuso: si trovano nei negozi dei cinesi a 6 euro e cinquanta, ma non dai grossisti di materiale elettrico; siamo invece pieni di porcheria a fluorescenza. Con il costo del solo progetto di una singola centrale si potrebbe investire sull’illuminazione pubblica e privata, riducendo i consumi del valore dell’energia prodotta dalle ipotetiche centrali nucleari. Solo a Genova il semplice cambio dei semafori consentirà il risparmio di 400.000 euro di bolletta (oltre a inquinare meno). Invece si continua a spacciare per ecologiche le lampade a fluorescenza, alle quali adesso sono state aggiunte palate di elettronica usa e getta nel codolo, oltre alla sostanza molto inquinante del bulbo, al vetro, al peso dei materiali, del trasporto, della lentezza nel raggiungere la luminosità massima, motivo per il quale spesso sono lasciate perennemente accese: bel risparmio, non ho parole. Questa è l’industria, che pilota i mass media per i propri scopi commerciali.
    Riguardo a Parmalat comprata dai francesi, non credo che sia un problema energetico: semmai politico e organizzativo. I minori costi si vadano a cercare nel numero di ore richiesto ad un’azienda italiana per compensare l’inefficienza dello stato, la corruzione dilagante, il comportamento da gangsters delle banche, la truffa degli interessi anatocistici semestrali, i vari trust che impediscono il mercato libero, tra i quali proprio quello di Enel, “l’energia che ti ascolta”. Castorama costa più caro di qualsiasi ferramenta di medie dimensioni, solo che da loro trovi tutto, subito. E’ un problema di dimensioni e di risultati, non solo di concorrenza economica. Io non ci compro volentieri, preferisco scornarmi a sostenere la microimpresa, ma non tutti la pensano come me e li capisco.
    Se poi l’energia viene usata per una globalizzazione infantile delle merci, per cui si assiste a follie di uso di plastica usa e getta che ha raggiunto vertici da belinismo collettivo, questo non importa a nessuno? Proprio a cominciare dalla grande distribuzione che manda la carne già tritata in vaschette di plastica da un chilo in atmosfera modificata per cinquemila chilometri a spasso con i tir, sotto l’occhio indifferente di UE e governi locali. Dobbiamo solo continuare a ragionare ognuno per il suo tassello, chi per il kWh, chi per l’etichetta, chi per il sacchetto, dimenticando la globalità del problema energetico/ambientale? Io non ci sto. Molti non ci stanno più. La soluzione inizia dalla decrescita o crescita consapevole, la chiami come preferisce, non solo dal ridurre i costi economici, e basta.

    Carissimo lettore, la invito con la sua stessa cortesia a provare lei a pensare diverso. L’attendiamo a braccia aperte in un mondo che, almeno, ci prova a levare i monopoli per far sviluppare il vero mercato dell’energia libera, dove ognuno se la fabbrica come crede, inquinando il meno possibile e senza spendere un bel niente in più del necessario. Soprattutto senza il trust di Enel, davvero una porcata colossale ai danni dei cittadini italiani. Vedrà, senza questo trust e con un’informazione non filtrata dai gruppi di potere, che rivoluzione nelle scelte degli italiani. In Germania ci stanno davvero pensando.

    Alla fine di tutto, includo un’immaginaria piantina di un immaginario incidente di un’immaginaria centrale nucleare sita nel centro di un’ipotetica città chiamata Milashima, in emergenza a livello 7 come Fukushima: le auguro di non abitare a Nord di Alessandria. Così, giusto per capire cosa significa creare “desplazados” in un’area di 11 mila chilometri quadrati, alla faccia dei numerini tranquillizzanti degli ingegneri nucleari. Lo dico già da ora: se dovesse succedere io, a Genova, i lumbard non ce li voglio! 🙂
    Vogliamo chiacchierare anche di rifiuti e di telecomunicazioni ?
    (Stefano De Pietro)