Categoria: Città

  • OLI 291: CITTA’ – Antidoti

    Credo che abitare qualche anno nel “Ghetto” di Genova (zona racchiusa tra Vico del Campo, Vico Untoria e Piazzetta Fregoso) o nelle sue prossimità potrebbe essere un formidabile antidoto, una splendida terapia psico-sociale, consigliabile a tutti gli spaventati, a tutti quelli che cercano protezione nella uniformità, perché anche i più refrattari, dopo un po’, si accorgerebbero dei regali che può dare vivere immersi nelle differenze, nelle contraddizioni, accettandone le spine.

    Quali siano queste spine viene detto dalle parole che fanno da sfondo, in trasparenza, al testo dell’opuscolo “contratto di quartiere 2 – Il ghetto di Genova”, e sono: marginalità, disagio sociale, illegalità, buio, povertà, conflitti culturali, droga, prostituzione. Solo che insieme alle spine c’è la rosa, e cioè una vitalità che percorre continuamente le strade. Non ci sono saracinesche chiuse, le attività commerciali tenute nei dintorni da italiani e immigrati se la cavano bene, c’è sempre gente per strada almeno fino alle 11, negozi aperti fino a tarda sera, domenica inclusa; il venerdì si popola di mussulmani festiti a festa per andare al centro di preghiera senza alcuna tensione col resto degli abitanti; un circolo Arci in una traversa di Via del Campo raduna alla sera decine di ragazzi per attività di musica, danza, teatro, canto, gioco; impiegati che lavorano nei pressi popolano i bar per il caffè di metà mattina o per lo spuntino del mezzogiorno. Una “realtà variegata” dice l’opuscolo. E’ vero: qui vivono a contatto molto stretto persone molto diverse. E siccome, alla prova dei fatti, anche se ci sono problemi non avvengono catastrofi, e uscire di casa è cosa allegra perché ti immerge in suoni e colori, questo contatto è profondamente terapeutico. Paradossalmente credo che sia difficilissimo diventare leghisti in un posto come questo.
    Certamente si tratta del filo di un rasoio. Senza interventi urbanistici, culturali e sociali, che leghino tutta la comunità ad un progetto, si fa presto a precipitare nel lato oscuro.
    Qui c’è stata davvero lungimiranza da parte degli amministratori pubblici, Regione e Comune, quando nel 2006, hanno avviato il progetto “Restauronet”, e realizzato un “contratto di quartiere” che riesce a dare risposta alle differenti esigenze di un quartere molto complicato.

    Il 24 febbraio è stata inaugurata una delle strutture previste, la “Casa di quartiere”, collocata in Vico della Croce Bianca, un tempo additato come luogo “impercorribile”. Ospiterà attività culturali, educative, di festa, ma anche riunioni di condominio, assemblee di quartiere, inizative interetniche. Il nome della casa è GhettUP, richiamo al ghetto, e ad alzarsi per i propri diritti
    L’inaugurazione è stata una festa, una vera festa.
    I volti di chi c’era raccontano questo quartiere: andate alla galleria di immagini.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 289: ARTE – Disegnare l’acqua per i bambini

    Hai visto? Ha disegnato sull’acqua!
    E’ la voce di una bambina – quattro anni – che condensa lo spettacolo di Gek Tessaro a Palazzo Ducale sabato 5 febbraio.
    No, non è certo una folla oceanica quella che assiste alla magia. Ma un pubblico sofisticato di adulti e bambini – il piccolo accanto a me ha appena 6 mesi – che in silenzio si fanno portare in un mondo incantato.
    Lui di certo è uno che la magia la pratica, e gli basta poco: un telo bianco, l’acqua, i colori, un proiettore e il buio, nel quale tuffarsi insieme ai suoi spettatori.

    E tutto parte dalla storia che Tessaro racconta accompagnato dal gruppo musicale Extrapola che ritma con suoni africani gli istanti della narrazione. Gek mescola i colori, li stende nell’acqua e dà loro forma. E uccelli e alberi si trasformano in villaggi, cacciatori in nuvole e vento che scivolano sotto lo sguardo e mutano intensità e sfumature. E’ un mondo di grazia, suono, e colori mostrati sul grande telo.
    Gek Tessaro proietta le sue immagini mentre le dipinge e le racconta, come un cartone animato fatto all’istante, ma senza tv o case di produzione. Quindi la maga cattiva della sua storia “L’albero della strega” prende corpo in un istante sotto il pennello, gli occhi spietati, per poi sparire rabbiosa soffocata dalla pennellata successiva che la riduce in nuvola e pioggia.
    In una vaschetta d’acqua galleggiano e mutano colori e cose. E lo stupore dei bambini seduti in terra è identico a quello degli adulti.
    Peccato per chi non c’era.
    L’invito a chi ha figli, alunni, nipoti o solo fantasia è di tener d’occhio questo artista.
    http://www.gektessaro.it/
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 289: CITTA’ – Bucato story

    Il pezzo “La rivoluzione del bucato” di Monica Profumo, pubblicato lo scorso 8 febbraio su Oli, ha ricevuto il seguente commento: “Magari se avesse almeno tentato di chiamarmi la signora Monica Profumo avrebbe scoperto che questa notizia è una gran bufala ma già… basta scrivere… Francesco Scidone”.
    Lo stile del messaggio ci fa dubitare della autenticità della firma.
    Autentico o apocrifo che sia il commento merita comunque l’osservazione che nemmeno la stampa cittadina – da cui anche noi prendiamo le notizie – aveva evidentemente scoperto che si trattava di una “gran bufala”. Ripercorriamo le notizie:
    “Il comune, come il cavaliere, vieta i panni stesi … In tutta la città sarà vietato stendere la biancheria da finestre e balconi … Prima, esisteva un lungo elenco di vicoli dove stendere è lecito. Nel nuovo regolamento, stendere la biancheria è (in via generale) vietato ovunque se i panni sono visibili” (Il Secolo XIX, 3 febbraio)
    “Delirante, dovrà cambiare. Così Marcello Danovaro, capogruppo del Pd, interviene sulla norma del regolamento dei vigili che vieta di stendere i panni” (Il Secolo XIX, 4 febbraio)
    “Danovaro (Pd): vietare di stendere i panni all’aperto? Idea fuori dal mondo. … Pensare di recuperare il decoro urbano con un provvedimento come questo significa avere una idea davvero distorta di cosa è il decoro”; “Considerando che Danovaro è il capogruppo del partito più grosso della maggioranza di Palazzo Tursi è prevedibile che il regolamento che sarà approvato dal consiglio comunale sarà alla fine molto diverso da quello approvato dalla giunta” (Il Corriere Mercantile, 4 febbraio)
    “Nel nuovo regolamento, come raccontato nei giorni scorsi dal Secolo XIX, figura anche la norma in base alla quale sarà vietato stendere la biancheria o panni di ogni genere fuori dalle finestre se gli oggetti saranno visibili dal suolo pubblico, fatta eccezione per le località elencate. Ma quella norma, annuncia Scidone, sarà quasi certamente rovesciata: Il nuovo regolamento permetterà di stendere ovunque la biancheria … fatta eccezione per un elelnco di vie del centro, le piazze principali, le strade con chiese o palazzi di prestigio”. (Il Secolo XIX , 11 febbraio)
    Dunque, le notizie di stampa raccontano la seguente storia: la giunta vara un testo del regolamento di pulizia urbana che contiene una estensiva probizione di stendere i panni; a seguito di ciò vengono sollevate obiezioni, tra cui quella rilevante del capogruppo del Pd in Comune; qui si inserisce l’articolo di Oli 288; alcuni giorni dopo l’assessore Scidone dichiara alla stampa che questa norma sarà “rovesciata”. 
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 288: CITTA’ – La rivoluzione del bucato

    Foto di Monica Profumo

    In almeno due città della Liguria, una di destra e una di sinistra, si è deciso di impedire ai cittadini di stendere il bucato fuori.
    Ma perché?
    In nome di una estetica da condominio chic? Cespugli quadrati, non si accettano cani e bambini?
    Il bucato steso fuori è una tradizione italiana, è allegro, è estetico, è ecologico: si asciuga ad energia eolica, e solare: che modernità!
    Ma soprattutto, ce lo stendiamo in pace da secoli, senza far male a nessuno.
    Mi chiedo: ma quando in Italia è esibito tanto schifo a tutte le ore, roba che non si sa come spiegarla ai bambini, quando il cittadino perbene vive ogni giorno l’impunità di chi gli fa torto, perché dobbiamo accettare un controllo sempre più fitto del nostro innocente quotidiano?
    Allora vorrei vedere la rivoluzione del bucato, una faccenda senza pietre e pistole con fili stesi tra un’auto e l’altra, calzini spaiati sparsi come coriandoli, felpe e lenzuola che danzano al vento per dire: “noi il marciume e la muffa nelle nostre case non li accettiamo! I panni che stendiamo, noi, sono puliti”.
    ( Monica Profumo)

  • OLI 288: CITTA’ – Genova alla finestra

    Venerdì 11 febbraio alle ore 16:30, nell’Auditorium di Palazzo Rosso a Genova, si terrà un incontro seminariale nell’ambito della mostra TESTIMONI INATTENDIBILI Il Paesaggio Contemporaneo nelle Fotografie degli Architetti, a cura del Comune e dell’Ordine degli Architetti della provincia di Genova.
    Sarà proiettato tra l’altro il documentario Genova alla Finestra, realizzato da Giorgio Bergami nel 1977. Ricevette il Premio Qualità, ma fu respinto dal Comune, che intendeva utilizzarlo per promuovere nel mondo l’immagine della città a patto che l’autore tagliasse la parte finale dove la cementificazione delle periferie manifestava tutto il suo colpevole squallore, in controcanto con il fascino del centro antico e misterioso. Bergami, con raro rigore, si rifiutò di mutilare la propria opera in cui la superba città emerge non in immagini soltanto accattivanti, ma nell’autenticità della sua complessità e delle sue contraddizioni anche sgradevoli ma vere. Il film rimase nel cassetto, Genova perse un’occasione per presentarsi con onesta sincerità.
    (Ferdinando Bonora)

  • OLI 288: PAROLE DEGLI OCCHI – Speculazione edilizia a Genova

    Foto dal catalogo
    Parole degli occhi. Giorgio Bergami, 50 anni di fotografia, Milano, ed. Mazzotta, 2007
  • OLI 287: GIORNATA DELLA MEMORIA – I bambini di Terezin

    La notizia viene dal consigliere comunale Antonio Bruno: i giardini di via Laviosa a Pegli verranno intitolati ai bambini che persero la vita nel lager di Terezin.
    La richiesta era stata fatta all’Amministrazione da un cittadino, iscritto all’A.N.P.I., sostenuta e sollecitata da alcuni consiglieri comunali sensibili, valutata ed accolta dall’apposita Commissione Toponomastica del Comune di Genova ed infine approvata dalla Giunta.
    Dopo questo cammino faticoso e necessario ci sarà nel vasto territorio di Genova un luogo aperto, visibile e arioso, un giardino, dedicato ai quindicimila bambini che nella fortezza – lager di Terezin si videro rubare il futuro e la vita. Solo in cento sopravvissero.
    Un luogo vivo che alimenterà il ricordo e i segni dell’immane tragedia che fu l’Olocausto, il male assoluto, che di certo si fa bene a celebrare ogni anno con riflessioni e solenni cerimonie, ma che non può essere racchiuso nei nobili rituali di un giorno, nelle affermazioni impegnate e impegnanti di personalità della cultura e delle Istituzioni.
    Onore quindi al cittadino che ha fatto la proposta e a chi l’ha sostenuta. E al Comune di Genova, nelle sue articolazioni, che aprirà un suo spazio importante – i giardini sono importanti, anche se ogni tanto lo dimentichiamo – perché i bambini di Terezin continuino a vivere e forse a trovare un po’ di pace negli sguardi, negli interrogativi e nei pensieri, dei bambini, dei genitori, dei pensionati, dei viandanti che quello spazio frequenteranno.
    La notizia dell’avviarsi concreto di questo progetto è giunta proprio un giorno prima della data ufficiale della Giornata Della Memoria. Mi è sembrato uno di quei segnali invisibili, subliminali, che costellano quotidianamente la nostra vita e, attraverso il fuoco delle emozioni, ci richiamano alla coltivazione della memoria, per non farla appassire, per ricercare le linee di distinzione fra il bene e il male, perché il “mai più” venga impresso in noi, come il numero che marchiava i deportati e seviziati nei lager nazisti e fascisti.

    Dalla fine del 1941 alla liberazione nella fortezza – lager di Terezin furono reclusi gli ebrei cecoslovacchi destinati al campo di sterminio di Auschwitz. Tra di loro 15.000 bambini e ragazzi.
    La loro presenza è testimoniata dalla commovente produzione di migliaia di disegni e di centinaia di poesie. Questi documenti sono stati nel tempo oggetto di affettuoso studio e hanno rivelato capacità creative straordinarie, maturità di pensiero precoce, straziante consapevolezza della tragedia nella quale si era immersi e insopprimibile anelito alla vita.
    Ma soprattutto la musica trovò spazio nel dolore e nella tragedia, anche per il concentrarsi a Terezin di un consistente e validissimo numero di musicisti. Vennero creati un coro e un’orchestra con ampia partecipazione di bambini e ragazzi. Vennero eseguite opere di Smetana e Mozart e venne composta un’opera originale, Brundibar, usata fra l’altro dai nazisti a scopi propagandistici.
    Quasi tutti i componenti dell’orchestra e del coro trovarono la morte a Terezin e ad Auschwitz.
    Ci rimasero, cenere che non si consuma e fumo che non si disperde, la musica e l’insegnamento. E un pugno di poesie. Una tra tutte:

    Pesanti ruote ci sfiorano la fronte
    e scavano un solco nella nostra memoria.
    Da troppo tempo siamo una schiera di maledetti
    che vuole stringere le tempie dei suoi figli
    con le bende della cecità.
    Quattro anni dietro a una palude
    in attesa che irrompa acqua pura.
    Ma le acque dei fiumi scorrono in altri letti,
    in altri letti,
    sia che tu muoia, sia che tu viva.
    Non c’è fragore d’armi, sono muti i fucili,
    non c’è traccia di sangue qui: nulla,
    solo una fame senza parole.
    I bambini rubano il pane e chiedono soltanto
    di dormire, di tacere e ancora di dormire…
    Pesanti ruote ci sfiorano la fronte
    e scavano un solco nella nostra memoria.
    Neppure gli anni potranno cancellare
    tutto ciò.
    di anonimo
    (Angelo Guarnieri)

  • OLI 285: CITTA’ – Aster, colloquio con Antonio Gambale

    Lunedì 17 gennaio, uffici Aster, civico 15 di Via XX Settembre, poco dopo la chiesa della Consolazione, quella di Santa Rita, la santa dei casi impossibili.
    Antonio Gambale, presidente e amministratore delegato di Aster da otto mesi, sfoglia un raccoglitore di articoli della stampa locale, mostra le foto e accenna alle inquadrature.
    In molti lo avevano avvisato. Anche dissuaso ad imbarcarsi in un impresa che lui, oggi, non vuole abbandonare “prima di aver fatto tutto quello che è utile alla buona manutenzione della nostra città”.
    Ci crede. E appare totalmente lontano dalle dinamiche che hanno abitato Aster negli anni passati. Lontano al punto di non pronunciarsi sul passato e di stare con la barra fissa al presente. L’oggi gli mostra un conto amarissimo del quale lui è tenuto a rispondere. Ha detto a coloro che lavorano con lui di aver fiducia in se stessi, perché in gioco c’è l’identità delle persone. Certo è che l’inchiesta del Secolo XIX racconta ai propri lettori di un’azienda assai mal gestita i cui risultati sono a dir poco modesti. Gambale, inizialmente l’aveva accolta come uno strumento prezioso, da stimolo per obbiettivi da raggiungere. Oggi, pacatamente si chiede le ragioni di una virulenza che reputa eccessiva.
    Di cosa stiamo parlando?
    “Le nostre tariffe – dichiara – sono quelle ufficiali della Camera di Commercio e al Comune vengono scontate del 15%, la produzione è stata raddoppiata, ci occupiamo di manutenzione stradale, manutenzione del verde, manutenzione impianti elettrici e permessi… E’ evidente che se ci fossero più risorse si potrebbe fare di più. I lavoratori che hanno accettato di stare in Aster hanno accolto una sfida, ci hanno creduto.” E lui li difende. In azienda ci sono competenze preziose, c’è una memoria storica e tecnica, ma è un’azienda con due cervelli doverosamente in ascolto di aree, direzioni, assessorati, municipi ai quali si aggiungono gruppi locali e ambientali.
    Gambale mostra le inquadrature di alcuni scatti pubblicati sul Secolo XIX, tutte fotografie con l’inquadratura dal basso verso l’alto, così da ingigantire dettagli minimali. E mostra le sue di fotografie con i lavori svolti da Aster ai quali si aggiungono quelli dei grandi utenti che intervengono su asfaltature nuove di zecca lasciando tapulli. Su alcune aree prima del ripristino finale bisogna attendere che il terreno si assesti, che non siano necessari ulteriori interventi. Si tratta di tempi tecnici. Lo sguardo va ad altre realtà, aziende finite. E ancora alle risorse che i comuni non hanno.
    Insiste sul lavoro, globalmente parlando, perché spiega Gambale “siamo sull’orlo del baratro”. E suggerisce un titolo La fine del lavoro di Jeremy Rifkin, ma quella è un’altra storia. Troppo sofisticata per rispondere ai buchi dell’asfalto.
    Otto mesi di nuova direzione di una realtà così complicata sono sufficienti per produrre un bilancio?
    Santa Rita è al civico accanto.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 284: PORTO ANTICO – Desolazione al mercatino natalizio

    Natale, dall’8 al 24 dicembre la società Porto Antico di Genova organizza davanti a Porta Siberia il “Villaggio di Natale”, e sul suo sito (*) annuncia con letizia e baldanza: “L’area di Porta Siberia per le feste diventa un Villaggio per la vendita di prodotti e regali artigianali … Nel pomeriggio, dalle 15.30 alle 17.30 sul Palchetto Musicale del Mercatino di Natale ricco programma di spettacoli musicali che coinvolgerà scuole di musica e gruppi emergenti”
    L’organizzazione della scaletta musicale viene affidata alla “Casa della Musica”, che mi propone di partecipare: suono musica greca rebetika nel duo “To Pànsellino”. Non è previsto alcun compenso, nemmeno il rimborso delle ore di lavoro perdute, ma, si sa, suonare è un piacere e si accetta ben volentieri.
    Solo che il giorno previsto (mercoledì 22) il tempo è inclemente, piove con ostinazione. Pazienza, d’inverno succede. Si intrecciano scambi telefonici con la Casa della Musica, che propende per annullare l’incontro: non ci sono le condizioni logistiche per suonare in caso di pioggia, ci dice. Ma la “Porto Antico” insiste: non si deve assolutamente annullare il concerto. Si va avanti nell’incertezza fino alle 16, quando arriva la telefonata conclusiva: la Porto Antico non sente ragioni, the show must go on. Così timbro il cartellino ed esco dall’Ansaldo.

    Alle 16 ci presentiamo.
    Piove.
    Non c’è un’anima viva in tutto il cosiddetto “Villaggio di Natale”.
    La maggioranza dei banchi è chiusa.
    La pedana alta 20 cm. su cui dovremmo suonare (il “palchetto” del sito …) non ha alcuna copertura antipioggia, sedie bagnate, prese elettriche per i cavi della amplificazione messe precariamente al riparo di una delle casette destinate alla vendita.
    La responsabile della Casa della Musica è infreddolita e desolata: la richiesta di avere un palchetto coperto è stata recisamente rifiutata dalla Porto Antico per “ragioni di sicurezza” (?!).

    Domanda: ma come può pensare la Porto Antico che si possa suonare col rischio di danneggiare gli strumenti e senza protezione per l’amplificazione? Qualcuno si è preso il disturbo di venire lì a vedere?
    Così non suoniamo.
    Ma poi, per chi avremmo dovuto suonare? Intorno a noi non c’è nessuno, ma proprio nessuno. Deserto totale. Colpa del tempo cattivo? No, mercatini natalizi pieni di gente nonostante pioggia e neve affollano mezza Europa, incluse altre piazze di Genova, e anche nei giorni asciutti – ci dicono poi alcuni amici – di lì non passava nessuno.
    Colpa quindi di una idea improvvisata, realizzata male, e in più senza rispetto per le persone. Del resto si trattava solo di musicisti “emergenti” e per di più “agratis”, che pretendevano? Sono stati trattati in linea coi tempi. Inclusi quelli di candida chioma ed emersi da un bel po’, come il gruppo (musica e danza) di “Banda Brisca”.

    Mia moglie passa a dare un’occhiata anche il giorno dopo. Minaccia, anche se non piove, ma il deserto che circonda il gruppo di danza della Banda Brisca è lo stesso: giudicate dalle fotografie.

    (*) (http://www.portoantico.it/calendario_dettaglio.aspx?lang=ita&id_area=3&Id=3447).

    (Ivo Ruello)

  • OLI 284: TRASPORTI – Amt informa, ma come e quanto informa?

    Per certi aspetti Genova è all’avanguardia. Da qualche tempo anche qui gli utenti del servizio pubblico hanno la possibilità di conoscere i tempi di attesa dei bus e altre informazioni, grazie al centinaio di indicatori del sistema Infobus collocati alle principali fermate.
    Ma c’è di più! Da alcuni mesi Amt ha esteso il servizio a tutte le circa 2500 fermate dell’intera rete, non mediante paline elettroniche, il cui costo sarebbe stato improponibile, ma attraverso semplici scambi di sms: gli utenti inviano (a loro spese) al numero 320 2043514 il codice della fermata in cui si trovano e l’azienda risponde immediatamente (a sue spese) con un sms che fornisce i tempi di attesa per le varie linee in transito.
    Per chi possiede un cellulare di ultima generazione o uno smartphone, con accesso a internet, basta impostare nel browser un paio di indirizzi:
    http://www.amt.genova.it/pianifica/passaggi_tel.asp per le previsioni di arrivo alle singole fermate;
    http://www.amt.genova.it/pianifica/orari_tel.asp per le tabelle delle partenze programmate dai capolinea.
    Ovviamente tale consultazione può essere effettuata anche dal computer di casa, per non dover attendere troppo alla fermata, specie quando le corse son meno frequenti.
    Tutto ciò è descritto con dovizia di particolari sul sito Amt alle pagine http://www.amt.genova.it/pianifica/infobus_sms.asp e http://www.amt.genova.it/COMUNICATI_STAMPA/2010/0853.asp.

    Benissimo, meglio di così non si potrebbe fare. Almeno sembrerebbe…
    Alcune riflessioni infatti si impongono, considerando la distanza che separa il mondo ideale delle citate pagine aziendali in cui si dà per scontato che tutti navighino in internet con disinvoltura e che addirittura molti dispongano già di cellulari di ultima generazione e il paese reale costituito da utenti di ogni tipo in attesa alle fermate, sovente a disagio, la maggior parte dei quali non solo non possiede apparecchi in grado di connetterli al web ovunque si trovino, ma neppure ha internet a domicilio, o se ce l’ha è ancora troppo informaticamente imbranato per riuscire ad accedere a tutto quanto sarebbe necessario.

    In questi mesi Amt sta procedendo all’apposizione dei relativi codici su tutte le fermate della rete.
    Benissimo. Ma il numero al quale inviare l’sms dov’è?
    Ci sono soltanto, in piccolo, l’indirizzo del sito internet e il numero verde 800.085311 del Servizio clienti, attivo dal lunedì al venerdì dalle 8.15 alle 16.30. E al di fuori di tale orario? O, anche nell’orario, non tutti hanno modo di telefonare e appuntarsi il numero richiesto, magari impediti da borse e sacchetti o sotto le intemperie.
    Di fatto, in questi termini il sofisticato servizio offerto è affatto inutile: inutilizzabile dalla maggior parte dei viaggiatori, salvo quei pochi che hanno memorizzato sul proprio cellulare il fatidico numero, copiandolo dal materiale promozionale distribuito al momento del lancio, oppure dal sito aziendale.
    A pensar male, si direbbe che vi sia dietro una strategia che da un lato confeziona e propone raffinati prodotti da esibire come fiori all’occhiello, ma dall’altro ne scoraggia un uso diffuso che comporterebbe ulteriori costi di gestione difficilmente quantificabili – con la miriade di sms di risposta alle interrogazioni degli utenti, a carico dell’azienda sia pure in un piano tariffario concordato a condizioni di favore – o fors’anche un intasamento delle linee telefoniche tecnicamente problematico.
    Ma preferiamo credere che si tratti di una semplice dimenticanza o sottovalutazione della questione, facilmente risolvibile apponendo accanto al codice della fermata un vistoso adesivo con il benedetto numero e le istruzioni per l’uso.

    (Ferdinando Bonora)