Categoria: OLI 267

  • OLI 267: PRESENTAZIONE – Il nuovo blog di OLI

    Cari lettori,
    come vi avevamo preannunciato, dopo alcuni numeri di prova, da questa settimana parte una nuova avventura di OLI: un blog.
    Vuole essere una maniera per intensificare i contatti con voi, offrendo – oltre ai contenuti della newsletter che ben conoscete – una nuova grafica, con un’attenzione particolare a foto (per le quali attendiamo vostri contributi) e video, insieme a molte altre opportunità che qui vi illustriamo.
    Ogni settimana troverete diversi post: i pezzi della redazione, le rubriche e le vostre lettere.
    I vostri commenti appariranno sotto i post e i più recenti nella colonna laterale.
    Vi sarà anche un SONDAGGIO, che cambierà periodicamente. Per ora chiediamo la vostra opinione proprio sulla nuova veste grafica di OLI.
    Sotto ciascun post vi sono “etichette” o “tag”, ossia parole chiave che vi aiuteranno a ritrovarlo (dalla colonna laterale, sotto ETICHETTE o in CERCA NEL BLOG), per argomento, autore, numero della newsletter. Sempre nella colonna laterale, è presente un ARCHIVIO che catalogherà ogni contributo per mese.
    E’ in cantiere la costruzione dell’archivio completo degli scorsi anni (attualmente, tra le pagine cliccabili in alto, sopra il nostro logo di apertura, troverete ARCHIVIO VECCHIO SITO, con un link che vi permetterà di accedere a quanto pubblicato negli anni precedenti).
    Inoltre, col titolo LETTORI FISSI, viene offerta la possibilità di iscriversi al blog a coloro tra voi che, utenti di gmail o “colleghi di Blogger”, vorranno sostenerci apertamente con il loro nome (ed eventuale avatar), e che riceveranno gli aggiornamenti del blog sulla loro bacheca.
    Per tutti i lettori, invece, vi sono poi due opzioni: l’iscrizione ai post e/o ai commenti del blog (riceveranno via mail la notifica degli aggiornamenti del blog, post e/o commenti).
    Per entrambe le opzioni è sufficiente un click sul pulsante apposito (si trovano tutti sempre nella colonna di destra).
    In fondo alla colonna, troverete la sezione CONDIVIDI: presenta i loghi dei vari social network per condividere – sempre con un semplice click – un certo post con gli amici di Twitter, Facebook, Googlebuzz ed altre comunità virtuali.
    Come avrete intuito, Oli sta sperimentando nuove vie di comunicazione per essere ancora più vicino ai propri lettori.
    Nel farlo, ha però bisogno di ascoltare le vostre voci, per capire meglio quali sono le vostre preferenze o necessità nel ricevere i nostri articoli.
    Cominciate dunque a “navigare” tra le nuove proposte offerte dal blog (in particolare le diverse opzioni per iscriversi a blog, post e/o commenti) in modo da poterci aiutare rispondendo ad alcune domande:
    1) Come ti appare la nuova veste grafica di OLI?
    2) Ti muovi con facilità tra le diverse sezioni del blog? Hai rilevato qualche problema?
    3) Ti sei già iscritto? Quale forma di iscrizione hai scelto?
    4) Hai qualche proposta/osservazione da farci?
    Inviate le vostre risposte a osservatorioligure1@gmail.com e grazie per la vostra preziosa collaborazione!
    Buona navigazione a tutti!
    OLI
  • OLI 267: VERSANTE LIGURE – Puc indolore

    Il Tar sentenzia e zac:
    è cancellato il Puc!
    Comune sotto choc
    d’urbanistìco crac,
    ma con seduta ad hoc
    al Puc già di Perìc
    (la “u” restata è in Bic)
    rinnova tosto il look
    (seduta-lampo doc
    stile “Già fatto? Pic”).

    Versi di ENZO COSTA

    Vignetta di AGLAJA

  • OLI 267: STORIA – Un 25 giugno a Genova

    Il 25 giugno 1960 cominciavano le giornate di Genova.

    “storiAmestre”, Associazione per la storia di Mestre e del territorio, ricorda l’anniversario con un saggio inedito di Manlio Calegari e Gianfranco Quiligotti.

    Per leggere presentazione e testo integrale:

     Le foto sono di Giorgio Bergami

  • OLI 267: COSTITUZIONE ITALIANA – Calamandrei: la Costituzione spiegata agli studenti

    Discorso di Piero Calamandrei (1889-1956), rivolto nel 1955 ad alcuni studenti milanesi, sui principi della Costituzione Italiana e della Libertà.

    Membro della Consulta Nazionale e dell’Assemblea Costituente

    La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica. È un po’ una malattia dei giovani l’indifferentismo. «La politica è una brutta cosa. Che me n’importa della politica?». Quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina che qualcheduno di voi conoscerà: di quei due emigranti, due contadini che traversano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime, che il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda ad un marinaio: «Ma siamo in pericolo?» E questo dice: «Se continua questo mare tra mezz’ora il bastimento affonda». Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno. Dice: «Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare il bastimento affonda». Quello dice: «Che me ne importa? Unn’è mica mio!». Questo è l’indifferentismo alla politica.

    È così bello, è così comodo! è vero? è così comodo! La libertà c’è, si vive in regime di libertà. C’è altre cose da fare che interessarsi alla politica! Eh, lo so anche io, ci sono… Il mondo è così bello vero? Ci sono tante belle cose da vedere, da godere, oltre che occuparsi della politica! E la politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai. E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perchè questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica…

    Quindi voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come vostra; metterci dentro il vostro senso civico, la coscienza civica; rendersi conto (questa è una delle gioie della vita), rendersi conto che nessuno di noi nel mondo non è solo, non è solo che siamo in più, che siamo parte, parte di un tutto, un tutto nei limiti dell’Italia e del mondo. Ora io ho poco altro da dirvi. In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie. Sono tutti sfociati qui in questi articoli; e, a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane…
    E quando io leggo nell’art. 2: «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale»; o quando leggo nell’art. 11: «L’Italia ripudia le guerre come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», la patria italiana in mezzo alle altre patrie… ma questo è Mazzini! questa è la voce di Mazzini!
    O quando io leggo nell’art. 8: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge», ma questo è Cavour!
    O quando io leggo nell’art. 5: «La Repubblica una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali», ma questo è Cattaneo!
    O quando nell’art. 52 io leggo a proposito delle forze armate: «l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», esercito di popoli, ma questo è Garibaldi!
    E quando leggo nell’art. 27: «Non è ammessa la pena di morte», ma questo è Beccaria! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani…

    Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti! Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, cha hanno dato la vita perché libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, è un testamento, è un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.

    (a cura di Aglaja)

  • OLI 267: INFORMAZIONE – Lo Sbarco e la pigrizia dei giornali

    Parliamo di come i giornali locali hanno parlato dello “Sbarco”. Prima di tutto una incredibile “avarizia”: mettendo  insieme Secolo XIX, Repubblica, Corriere Mercantile e Gazzetta del Lunedì abbiamo trovato –  oltre al “Lanternino” di Enzo Costa – solo cinque articoli per i due giorni dell’evento. Avevamo a Genova tante persone giovani, molte delle quali vivono una esperienza di studio, vita e lavoro in altri paesi europei, tante altre venute da altre città italiane, una gran parte portava con sé inedite forme di impegno intellettuale, artistico, politico. Era l’occasione, assolutamente straordinaria per una città vecchia come Genova, per svolgere una inchiesta su quello che fa, spera e pensa una generazione giovane interessata ad agire nel mondo per trasformarlo.
    E invece i giornali ci hanno offerto nel migliore dei casi il minimo di una informazione appena dignitosa.  

    Nel caso di Repubblica (“La protesta sbarca in Piazza”, articolo del 28 giugno), vorremmo poi capire la logica di dedicare più della metà del testo all’intervento in piazza di Don Paolo Farinella, indicato come colui che è “alla testa” del movimento. Don Farinella ha dato il suo contributo aderendo, esponendosi, come ha fatto Moni Ovadia, o Don Gallo, e i moltissimi altri, intellettuali o gente comune che si trovano elencati sul sito dello “Sbarco. L’intervento in piazza di Don Farinella è stato uno dei tanti. Non il migliore dei suoi interventi. Di certo non il migliore, né il più significativo, degli interventi  che si sono ascoltati in queste due giornate. Ma Don Farinella è  finito nel ruolo del “personaggio”, e parlare dei personaggi costa meno impegno e fatica di andarsi a cercare la realtà tra le persone.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 267: POLITICA – Il tempo di naufragare è terminato

    Buongiorno Genova, buongiorno minoranza degli italiani,
    desidero ringraziare gli organizzatori e tutti coloro che hanno lavorato per rendere possibile questa grande manifestazione. Ringrazio, inoltre, quegli italiani e tutti coloro che dall’estero hanno sentito la necessità di tornare per ricordarci il nostro dovere civile, quello di vegliare e difendere i diritti sanciti dalla nostra Costituzione.
    La nave dei diritti è sbarcata ieri sera. La zattera italiana, invece, naufraga ancora in mezzo al Mediterraneo, confusa tra i flutti schiumosi. Vi stanno aggrappati alle sartìe milioni di italiani, tutt’altro che preoccupati, anzi, apparentemente felici.
    Felici perché incoscienti. Ojetti scrisse che l’ignoranza è la palpebra dell’anima: le cali e puoi dormire; le cali e puoi persino sognare.
    Ed è proprio una condizione di felice torpore quella in cui ci vogliono spingere, tagliando i fondi all’istruzione pubblica, inondando i media di ottimismo, imbavagliando ed aggredendo l’informazione indipendente.
    In questo modo possono raccontare senza timore che l’Italia è un’isola d’oro, che la crisi l’abbiamo superata in autostrada. Evitano di dire, invece, che in questi ultimi due anni abbiamo perso quasi un milione di posti di lavoro, portando la disoccupazione al 9,1%, con prospettive di crescita fino al 9,6% per la fine del 2011.
    E come in ogni buon Paese d’oro, serviva un capro espiatorio: prima i clandestini, poi i magistrati, sono diventati bersagli dei media. Così i naufraghi si sono stretti all’albero della zattera ed hanno acclamato prima il pacchetto sicurezza, poi – quasi si sentissero troppo sicuri – hanno chiesto di tagliare le intercettazioni per difendere la loro privacy.
    Proprio loro, coi vestiti a brandelli. Loro che, in questa deriva, hanno chiuso entrambe le palpebre e non si sono accorti di essere rimasti nudi. Hanno creduto ingenuamente a ciò che gli è stato raccontato dalle televisioni, felici di stare su una zattera che – senza saperlo – portava la zavorra di uno dei più alti debiti pubblici al mondo. Questi sognatori, non si sono nemmeno resi conto dell’aumento dell’evasione fiscale, assestata a 124,5 miliardi di euro. Un’evasione che è cinque volte quei 24 miliardi di euro di sacrifici che il governo ha deciso di imporre alle nostre buste paga, proprio mentre regala agli evasori un nuovo condono edilizio.
    Non c’è dubbio che tra Paese virtuale e Paese reale si sia creato un gap incolmabile. In 1984, di Orwell, il Ministero della Verità riduceva l’espressività della lingua per evitare che qualcuno parlasse. Nel 2010, in Italia, si limita direttamente la percezione per evitare che qualcuno pensi.
    La gente che oggi protesta per le vie di Genova non esiste nei media. Gli studenti, i ricercatori, gli operai, gli statali, i cassintegrati e i disoccupati sono fantasmi, cancellati sia dalle chiacchiere dei bar che da quelle del Parlamento.
    La fabbrica del consenso funziona. Funziona anche grazie ad un’opposizione senza carattere, senza corpo né voce. Un’opposizione che dovrebbe avere il diritto – ma ancor più il dovere – di rappresentarci in questo momento difficile. La fabbrica del consenso è vincente, ma non deve diventare convincente.
    Mentre la ciurma felice continua a galleggiare, dondolata da onde attente che nessuno si lamenti, si va incontro a quello che Eco ha definito uno “struscìo di Stato”, una graduale erosione della democrazia che, un passo alla volta, ci porterà ad una dittatura, che nessuno sarà più in grado di riconoscere perché assuefatto.
    Qualche giorno prima di morire, José Saramago, autore portoghese e premio Nobel nel 1998, ha aderito allo “Sbarco” affermando: “Stiamo tutti soffrendo quel che succede in Italia col popolo italiano, che in questo modo sta negando la propria storia e la propria cultura. E io cosa c’entro alla fine? Non sono neanche italiano. Ebbene, sì che c’entro. Perché sono una persona a cui interessa tutto ciò!”.
    Questo è il motivo che ha spinto anche me e tutta la redazione della rivista Aeolo a venire qui. Mai come oggi ci siamo ritrovati nel motto che ci mosse in quell’aprile 2008: “Aeolo nasce per spazzar via la bonaccia che domina nella cultura contemporanea: come i venti soffiano da parti diverse ed anche opposte, noi vogliamo divergere, essere d’accordo, scontrarci, per creare nuovi luoghi d’incontro, nuovi punti di vista, nuovi modi di comunicare”.
    Ed eccoci qui, a soffiare. Soffiare per agitare queste acque, soffiare per scuotere la zattera e le coscienze, soffiare per strappare quei naufraghi felici dal torpore che li coccola, prima che sia la zattera stessa a trascinarli nell’abisso.
    Siamo qui perché l’Italia è il Paese che tocchiamo ogni giorno con mano, è il profumo del pane che ci ha cresciuti, è la rabbia di un padre che perde il lavoro. L’Italia è questo, non quello che ci raccontano, non quello che vogliono farci credere.
    Oggi non vogliamo riprenderci Genova. Oggi vogliamo riprenderci la lente del dubbio. Oggi vogliamo che la gente sollevi le palpebre e valuti coi propri occhi la ruvidezza del legno che li trascina a fondo.
    Perché il tempo di naufragare è terminato.
    (Enrico Santus – Direttore editoriale della rivista culturale Aeolo)

  • OLI 267: SOCIETA’ – Uno sbarco tutto spagnolo

    Dalla Nave dei diritti, la sera di sabato 26 giugno, scendono circa 600 persone, i partecipanti allo Sbarco, l’iniziativa di un gruppo di italiani residenti all’estero. Molti di loro sono migrati per trovare lavoro, altri per seguire un compagno, altri ancora perché è capitato così. Tutti insieme sono arrivati al porto di Genova, ad attenderli un altro gruppetto di italiani, quelli rimasti qui, meno di quanti fossero loro stessi: il primo specchio di quello che attende chi voglia cercare di smuovere l’Italia, una gran fatica per ottenere poco, forse se l’erano dimenticato, vivendo altrove.
    Nelle piazze, di domenica, poche persone. I media hanno parlato quasi niente dell’iniziativa se non proprio all’ultimo, facendo mancare quel clima di aspettativa che è poi il successo degli eventi come questo. Suq, Festival della poesia, forse perché maggiormente supportati dalle istituzioni cittadine, sono stati spinti ovunque, e nonostante questo la presenza non è stata certo esplosiva come i primi tempi. Senza questo apporto, lo Sbarco ha sofferto, e molto. Un aneddoto per tutti: ad una settimana dalla data, la certezza della disponibilità di Commenda e Museo di Sant’Agostino era ancora dubbia.
    Nella Piazza delle differenze, alla Commenda, dopo qualche ritardo organizzativo inevitabile quando le iniziative sono giovani o alla prima edizione, comincia la musica, le letture. Il pubblico la mattina era atteso molto scarso, dopo la notte di festa di sabato al Porto antico, ma lo stesso flusso di persone, se così possiamo chiamarlo, tende addirittura a scemare nel pomeriggio.
    La sera a Matteotti, Rita Lavaggi, la “mamma” dello sbarco genovese, accusa senza mezzi termini. Accusa chi non ha voluto supportare l’iniziativa. Accusa, di fatto, gli italiani che non hanno capito. E ringrazia una per una le persone che hanno prodotto le due giornate.
    Forse, quando non si vogliono cercare le cause all’interno delle proprie fila, si cercano fuori. Però c’è a mio avviso una chiave di lettura che apre uno spazio diverso, pensando come un Primo marzo sia riuscito a smuovere, solo a Genova, quasi 10 mila persone, delle quali ben più della metà stranieri extracomunitari, mentre l’iniziativa tutta italiana, tra italiani, non abbia raggiunto il tetto di partecipazione sperato: forse abbiamo davvero bisogno del lavoro degli immigrati, non solo nella produzione ma anche nella società civile.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 267: POLITICA – Lo sbarco dei ragazzi che pensano al domani

    Mirella ha gli occhi chiari che ti guardano dritto, pare una giovane signora capitata lì per caso se non fosse per quel trolley che si trascina con nonchalance in piazza. Ma allora fa parte dello sbarco! Intorno giovani ballano e lei guarda con tenerezza. Insegna alla scuola italiana da ventiquattr’ anni a Barcellona e l’indomani ha scuola, ma è contenta e dice che non dobbiamo essere noi a ringraziare lei, ma il contrario. Si chiacchiera e si ascoltano ringraziamenti vari: a proposito dov’erano le istituzioni, a parte il saluto della sindaco al momento dell’arrivo? Ma queste sono domande che ci facciamo noi di Genova in silenzio, chiedendoci come mai fra i tanti manifesti che annunciano un’estate folle di eventi, non si siano trovati i fondi per un manifesto di benvenuto ai tanti giovani e non arrivati fin qui per farsi sentire. Per far vedere che ci sono anche loro, pur se l’Italia si è dimenticata dei suoi ragazzi, dei suoi figli emigrati non solo per diletto: meno male che c’è facebook.

    Poi irrompe una voce dolente. Ricorda le vittime di stato, l’appuntamento del 20 luglio: Heidi Giuliani, una mamma che non si rassegna, che vuol ricordare il suo Carlo.

    Ci si guarda, c’è un sesto senso tra chi insegna, tra chi sta con il futuro, senza volerlo rubare. E malinconicamente ci si sforza di vedere un futuro per tutti quei ragazzi che sono arrivati, sciamando allegramente all’Acquasola e mangiando con voracità, si sono raccontati delle associazioni, dei gruppi all’estero, che si tengono in contatto, preoccupati del Paese che non c’è, sopito e assorto nel presente. Manca il lavoro per giovani, figli, padri, ma c’è chi sta bene comunque. Lo sguardo è ridente però. Beata gioventù, pensaci almeno tu al tuo domani, noi forse non ne siamo più capaci. E i balli riprendono mentre l’insegnante italiana dice ciao e grazie, sparendo tra la folla.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 267: POLITICA – “Le” e “Gli” extraparlamentari dello Sbarco



    Dopo un anno di lavoro, alla fine, “Lo Sbarco” è avvenuto, e un vento di idee, speranze, intelligenza e passione per ventiquattro ore ha sollevato mulinelli qua e là nella città.

    Al Terminal traghetti, quando la lunga fila (circa seicento) di questi messaggeri della politica ha cominciato a percorrere la passerella, i visi erano ancora indistinti, ma mentre si avvicinavano tra sventolii di mani e lanci di grida di benvenuto, chi aspettava si è accorto che entro breve sarebbe stato investito da un’ondata di giovinezza e di speranza, che portava con sé l’invito pressante a riprendere in mano la politica.
    Sul sito (http://www.losbarco.org/), negli striscioni, nei volantini, nei discorsi si dice di che si tratta: è necessario, urgente “contrastare le derive culturali, politiche, sociali” che stanno affondando il nostro paese. Ma come? Quale è la strada?
    Domenica pomeriggio in Piazza Matteotti, al momento dei saluti, salta fuori un indizio.   
    Andrea de Lotto, l’italo-barcelloneta a cui un anno fa, nel giorno di San Giovanni, è venuta in mente l’idea dello “Sbarco”, prende la parola e ripete quello che aveva già detto ventiquattro ore prima, nel momento dell’arrivo: “L’ottanta per cento delle persone che hanno dato vita a questa impresa sono donne”, e aggiunge che l’intensità dell’impegno per tutti, donne e uomini, è stata tale in quest’anno di lavoro che c’è voluta molta arte per non mettere a rischio gli equilibri familiari, e in alcuni casi l’arte non è stata sufficiente.
    Ma come? Non c’era una distanza, una estraneità crescente, tra donne e politica? Cos’è questa politica che attira una percentuale talmente sproporzionata di donne? Cosa si propone, cosa spera di ottenere, su cosa spera di agire?
    Alla Camera le donne vanno dal 10 % circa di IDV e UDC, al vertiginoso 27 % del PD, transitando per il 18% di PDL e Lega. Poi, improvvisamente, ecco che per l’avventura politica dello sbarco c’è un incredibile affollamento di donne.  

    L’esperienza dello sbarco è di quelle che lasciano intravvedere la possibilità che uomini e donne trovino insieme modalità inedite per fare politica. I titoli delle piazze organizzate in città domenica 27 giugno (Diritto alla pace, al sapere e alla bellezza, alla cura dell’ambiente e al futuro, alla differenza, alla dignità del lavoro) non parlano solo al maschile. 
    (Paola Pierantoni)


  • OLI 267: SPORT- Per chi tifano i palestinesi

    Nell’articolo di Mara Vigevani che il Secolo XIX del 17 giugno pubblica in prima pagina (quando è da trentesima) si afferma che i palestinesi tifano per il Brasile “probabilmente grazie all’amicizia tra Lula e Ahmadinejad.”
    Una strumentale e falsa provocazione forse dovuta alla disinformazione dell’autrice. I palestinesi non tifano Brasile per la presunta amicizia (da verificare anche questa) tra Lula e Ahmadinejad. Non c’entra nulla Ahmadinejad e non si poteva dire cosa più stupida. Ma, semplicemente perché nessuna squadra nazionale rappresenta il calcio come il Brasile. Perché Pelé, Zico, Socrates, Falcao, Ronaldo, Roberto Carlos, Ronaldinho, Kakà, Maicon, Robinho sono brasiliani e perché nessuna nazionale di calcio ha vinto quanto il Brasile (5 coppe del mondo). Chi ama il calcio, e non ha una nazionale di calcio a rappresentarlo nel mondiale, può facilmente tifare Brasile. La Palestina, si sa, non è presente ai mondiali sudafricani, non ha superato la fase eliminatoria. E’ normale, visto che ha ottenuto l’iscrizione Fifa solo nel 1998 in seguito alla nascita nel 1994 dell’Autorità Nazionale Palestinese con Arafat come presidente. Chissà quante coppe del mondo avrebbe vinto se avesse avuto la possibilità di continuare il suo cammino calcistico … Infatti, la Palestina era l’unico paese asiatico e arabo (insieme all’Egitto) a partecipare alla fase eliminatoria per la qualificazione ai mondiali di calcio del 1934. La fondazione dello Stato di Israele nel 1948 e la dispersione dei palestinesi in vari paesi ha interrotto questo cammino.
    In realtà i palestinesi non tifano solo Brasile ma, come tutti gli amanti di questo sport, distribuiscono il tifo a tutte le squadre che esprimono un buon calcio. So di una famiglia di Gaza dove il padre tifa per il Brasile, la madre per l’Argentina e le due figlie per la Spagna, tutta la famiglia però è unita nel tifo per l’Algeria, l’unica squadra araba presente in Sud Africa. Ma questa famiglia, come tutti i palestinesi di Gaza, non riesce a fare il tifo “in pace” a causa della continua interruzione della corrente elettrica per l’assedio israeliano.    
    Durante i mondiali di Spagna nel 1982, vinti dall’Italia, il poeta palestinese Mahmud Darwish nel suo libro “Una memoria dell’oblio” (Juovence Editore), ha dedicato all’Italia e a Paolo Rossi una prosa poetica di rara bellezza, forse la più bella scritta sul calcio. Allora Darwish guardava le partite in un rifugio nella Beirut assediata e bombardata per circa tre mesi dall’esercito israeliano che aveva invaso il Libano, portando ai massacri di Sabra e Shatila. I palestinesi allora facevano il tifo per l’Italia, ma erano altri tempi ed era un’altra Italia quella di Andreotti, Craxi, Berlinguer e Pertini che solidarizzava con Arafat e con i palestinesi.
    (Saleh Zaghloul)