Categoria: Eleana Marullo

  • OLI 307: ENTROTERRA – Cogorno, ronde e mazze da baseball

    Cogorno, amena località dell’entroterra ligure, tra la Val Fontanabuona e la Val Graveglia, colline digradanti verso il letto dell’Entella, oliveti sulle fasce terrazzate e vista su Chiavari e Lavagna, che si uniscono alla foce del fiume, sulla costa.
    Se la descrizione evoca un luogo tranquillo, la realtà sembra essere differente: parecchi segnali inquietanti arrivano dalla vallata.
    Come ogni estate, infatti, aumenta il numero dei furti nelle abitazioni, villette isolate o abitazioni familiari, molto ambite dai ladri di appartamento (Il Secolo XIXed. levante, 22/06/2011). La media, preoccupante per un comune che annovera circa 5300 abitanti, è di un furto alla settimana.
    Altrettanto inquietante è l’affissione di manifesti che invitano all’arruolamento a ronde per il controllo del territorio. Sui manifesti troneggia, come unico segno grafico, una mazza da baseball; è poi ben leggibile il bollo di affissione del comune, con scadenza al 3 giugno 2011.
    Forse l’iniziativa può essere collegata alla proposta di creare delle ronde nel Tigullio, da parte del sottosegretario leghista al Ministero della semplificazione, Francesco Belsito, che l’ha riproposta di recente (“Ronde leghiste nel Tigullio”, Corriere mercantile 18/06/2011).
    Il taglio ai finanziamenti dei piccoli comuni da parte dello Stato ha inferto un grave colpo ai servizi di controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine. Ne deriva una percezione di insicurezza per cui molti lettori del blog che riporta la notizia (http://www.menabonews.it/notizie/primo-piano-liguria.php?id=15983 ) si dichiarano favorevoli alle ronde ed alle ricadute positive che deriverebbero dal controllo, (sedicente) pacifico e disarmato, del territorio.
    E allora che c’entra la mazza da baseball?

    (Eleana Marullo)
  • OLI 306: SCUOLA – Ventimila abilitati al nulla

    The Teacher (da The Wall, Pink Floyd, 1982)

    Passata sotto silenzio sulle cronache, ecco arrivare un’altra pessima notizia per “l’Italia peggiore”, o meglio, precaria. Oggi alla Camera verrà votata la fiducia per il decreto sviluppo, che legifera, tra le altre cose, anche sulle graduatorie ad esaurimento delle scuole primarie. Nel testo è saltato un comma che permetteva a circa 20mila abilitati (dal 2008 al 2011) di accedere alla torre d’avorio delle graduatorie ad esaurimento, ossia le liste da cui si attinge per assegnare le supplenze annuali e che permettono di entrare di ruolo.
    Gli esclusi sono coloro che si sono laureati di recente, o stanno per farlo, ai corsi abilitanti in Scienze della formazione primaria e in Didattica della musica, promossi dallo Stato sotto l’egida del ministro Gelmini. Dopo una lunga lotta, un emendamento avrebbe consentito di accedere alle graduatorie, ma la mattina del 20 giugno, ossia poche ore prima della fiducia, questo è stato stralciato, vanificando sforzi e speranze degli aspiranti insegnanti. Ora infatti si ritrovano a seguire corsi abilitanti al nulla e discriminati, per opportunità, rispetto ai colleghi laureati prima del 2007/08. Una lettera che circola in rete denuncia la situazione ed il silenzio mediatico che la circonda. “È inutile – si legge – che in così tanti, dai Presidenti di Corso di laurea, ai docenti, al Ministero dell’Istruzione stesso, ci ripetano che i nostri corsi di laurea sono abilitanti all’insegnamento, se poi non esiste un modo in cui possiamo spendere questa abilitazione; paradossalmente risultiamo formalmente uguali agli altri venuti prima di noi, ma sostanzialmente diversi nelle opportunità: questa non è vera uguaglianza.
    E quale unica colpa abbiamo?
    Quella di essere più giovani, perché nati dopo. Ennesima conferma, questa, del fatto che l’Italia non è un Paese per giovani” (http://www.giornal.it/Pagine/Articolo/articolo.asp?id=33679).
    Un’ultima notazione: non solo giovani e giovanissimi, tra le file degli esclusi. Ci sono anche quelli che, dopo aver preso una prima laurea e aver brancolato nel precariato per anni, hanno colto i corsi abilitanti nella facoltà di Scienze della formazione come un’occasione per trovare un minimo di stabilità lavorativa, per avere opportunità e qualifiche davvero spendibili. Sono persone che, dopo laurea, dottorato e master, si accingono a prendere la seconda laurea e rischiano di trovarsi ben oltre i 30 anni con l’ennesimo foglio di carta straccia in mano. L’Italia si merita questo spreco?

    (Eleana Marullo)
  • OLI 302: COMUNICAZIONE – Ami i cani? Vota Letizia!

    Il ricorso alla pubblicità emozionale sembra non avere tregua in questo scampolo di tarda primavera: su Facebook la candidata sindaco Moratti non esita ad usare morbidi, teneri e irresistibili cuccioli per la sua campagna elettorale.
    Il messaggio che si vuole veicolare è chiaro: “se ami gli animali e sei contro l’abbandono, vota Moratti!”. Se si segue il link si raggiunge la pagina ufficiale della candidata, nessun accenno ai destini dei piccoli, indifesi cagnolini, naturalmente… Lo specchietto per allodole è naif e parla di una campagna pubblicitaria fatta con l’accetta, senza etica né sostanza. In linea con i modi e i toni usati finora.
    (Eleana Marullo)

  • OLI 296: GEOPOLITICA – Bahrain & Co: la geografia serve a fare la guerra

    Uno dei motivi scatenanti delle rivolte che sono divampate in Bahrain, secondo le notizie che circolano in rete, è stata la diffusione di una serie di immagini, tratte da Google Earth (http://www.businessinsider.com/bahrain-google-earth-2011-3#-1 ). Nel documento sono messe a confronto le aree di proprietà della famiglia reale e del suo entourage – minoranza sunnita – con quelle in cui abitano e possiedono terreni gli sciiti. Il problema sociale e politico più sentito è infatti la distribuzione iniqua delle terre, che costringe le fasce povere della popolazione ad accalcarsi nelle case e a vivere in aree ristrette, specialmente nel sud dell’isola. Residenze imperiali, palazzi, campi da golf, ippodromi e yacht sfilano ad accendere il malcontento della popolazione. Le immagini hanno iniziato a circolare nel 2006, in occasione delle elezioni parlamentari nello Stato del golfo Persico ma sono tornate attuali con il propagarsi delle rivolte nel mondo arabo. Friedman, editorialista del NY Times, ha raccontato questa vicenda in un articolo, poi tradotto su Repubblica (4 marzo 2011), sottolineando come, tra i vari strumenti della rete che hanno reso possibile il propagarsi delle rivolte, ci sia anche il grande occhio di Google Earth, che mette a nudo il mondo e lo offre a disposizione di chiunque. Un fattore che invece non è stato messo sufficientemente in luce è la forza dirompente e politica che la rappresentazione dello spazio possiede. Fa tornare alla mente che, senza alcun dubbio, “La geografia serve a fare la guerra”. Questo era il titolo del numero 0 della rivista Hérodote/Italia, che nel 1978 si proponeva di considerare criticamente il ruolo della geografia, nelle università, nella politica, nella guerra. Alla geografia insegnata nelle scuole, che si crede oggettiva e fatta di dati inconfutabili, se ne affiancano altre. La geografia spettacolo, ad esempio, quella delle cartoline, del turismo e delle vacanze, oppure la geografia del potere strategico, che viene controllata da chi il potere lo detiene e lo vuole conservare. Si continua a leggere, nel manifesto di intenti della rivista “In molti paesi la vendita delle carte geografiche a grande scala è stata proibita dal momento in cui le tensioni sociali hanno raggiunto un certo stadio”.

    Questo è solo uno spunto per un gioco di analisi che si può proseguire. Esempi nostrani e quotidiani dell’utilizzo strategico della rappresentazione dello spazio non mancano davvero. Basta pensare a Bossi, che sfrutta le sue competenze geopolitiche affermando sui profughi del Maghreb “E’ meglio tenerli a sud, è più vicino ( http://www.newnotizie.it/2011/03/29/immigrati-bossi-meglio-tenerli-al-sud/ ), oppure al premier che – magicamente – sostituisce le immagini da frontiera di Lampedusa, carica di disperati in fuga e abbandonata all’emergenza, con cartoline da geografia-spettacolo: palme, villette, casinò. Siamo ancora sicuri che la geografia sia banale e noiosa?
    (Eleana Marullo)

  • OLI 295: CITTA’ – Cornigliano, la stazione e il suo degrado, in dieci foto

    Figura 1 Copertina della Domenica del Corriere 24 gennaio 1926

    Visita guidata a Cornigliano. La meta, per esattezza, è la stazione. Ci arriviamo non per il grande rettifilo principale, via Cornigliano, ma scivolando attraverso le stradine laterali a valle di questa, che un tempo spiovevano come rivi verso le spiagge della famosa località balneare. Nel 1926 per la stazione (che all’epoca era in posizione più centrale rispetto al quartiere) passò il convoglio che trasportava la salma di Margherita di Savoia: in una tavola illustrata della Domenica del Corriere si vede, sullo sfondo, la grande spiaggia di Castello Raggio (Figura 1). Di questo passato idilliaco rimane traccia soltanto nella toponomastica: una stradina che ora conduce ad un’inferriata, fiancheggiando l’enorme parcheggio dell’ex Italsider, si fregia del nome Vico alla Spiaggia (Figura 2). Mi ricorda un’anziana signora, carica di una incalcolabile quantità d’anni e di rughe, che sfoggiava con leggiadria il nome Afrodite. Continuando per via Bertolotti, che costeggia a valle la strada principale, entriamo nello spirito giusto per visitare la stazione di Cornigliano con un lento procedere attraverso le macerie degli impianti ex Italsider (figura 3 e 4). Se le rovine non fossero sufficienti a prepararsi al degrado, vi consiglio di riportare alla mente lo spezzone di un film che molto si addice: un episodio di Allegro ma non troppo in cui i disegni di Bozzetto accompagnano il Valzer triste di Sibelius.

    Figure 2, 3 e 4 – Foto Eleana Marullo

    Eccoci quasi arrivati: appare la facciata della stazione, il cui restauro è terminato nel 2009 (figura 5). Gli esterni sono ancora dignitosi ma appena si entra lo spettacolo cambia, bruscamente. Non esistono biglietterie, neppure automatiche. La sala d’attesa è chiusa da una rete metallica, che non impedisce al popolo notturno delle stazioni di entrarvi e lasciare segno. Nel paradosso, le tracce del passaggio umano si riducono all’essenziale: qualche buccia di banana ed un tappeto di gratta&vinci, che non hanno salvato nessuno dalle miserie dell’esistenza e giacciono al suolo come foglie secche (figura 6).

    Figure 5, 6 e 7 – Foto Eleana Marullo

    Il sottopassaggio che conduce al secondo binario si fa latore dei messaggi d’amore e di disperazione dei graffitari locali (figura 7). I liquami sul pavimento ci avvertono che qualcuno è stato qui, di recente. Arrivati sul secondo binario lo sguardo vaga sul piazzale vuoto: delle macerie metalliche che fino a qualche mese erano accatastate al suolo non rimane che qualche pozzanghera rossa e ferrosa (figura 8). Girandosi a monte, altri cumuli di macerie (calcinacci, oggetti dimenticati, ferraglia) si accalcano alla vista (figura 9 e 10).

    Figure 8,9 e 10 – Foto Eleana Marullo

    Il 28 luglio 2010 il Corriere Mercantile riportava un servizio sulle stazioni del ponente genovese. Incuria, degrado, atti vandalici ed un pervasivo senso di abbandono: “Brutte, sporche, inospitali: ecco le stazioni Rfi. Cornigliano è la peggiore”. A distanza di qualche mese la situazione non è di certo cambiata. Ed al degrado che accompagna, endemicamente, le stazioni del ponente (fuori da forti circuiti economici, fuori da interessi turistici o balneari), si aggiungono le cicatrici pesanti del passato ed i segni di uno “stress postraumatico” di quartiere. (Eleana Marullo)

  • OLI 294: CITTA’ – La finestra sulla villa (Serra di cornigliano)

    Villa Serra di Cornigliano in una cartolina d’epoca

    Mi professo fortunata: abito a Cornigliano. Ogni giorno, quando apro la finestra di casa, mi si offre una cartolina da un’altra epoca: incorniciata dallo squadro degli stipiti in legno, appare una villa fatiscente, testimone muta di fasti passati e di presenti, durevoli manchevolezze. Vedo un degrado solido e costante, inesorabile come lo scorrere della sabbia nella clessidra: un giorno si stacca un pezzo di intonaco, il giorno dopo una persiana si scolla dalle cerniere, passa un mese e crolla un tavolato dalle ferruginose impalcature, un altro ancora e salta un intarsio dai marmi del pavimento, sul terrazzo. Eppure sono pochi anni che abito qui davanti e che spio – con un voyeurismo un po’ morboso -questa decadenza plateale. Quante volte mi sono ritrovata a pensare al “povero” Domenico: che cosa avrebbe pensato di fronte alla colpevole negligenza dei posteri?
    Villa Serra di Cornigliano fu infatti commissionata nel 1787 dal marchese Domenico Serra ad Andrea Tagliafichi. Progettista, scenografo, decoratore ed ingegnere civile ed idraulico, oltre che architetto, costui era molto famoso all’epoca, un personaggio assai “quotato” e di chiara fama, ricercato dalle maggiori famiglie genovesi per la sua abilità nell’abbinare al gusto classico un nuovo modo di concepire il giardino. Tagliafichi lavorò molto a Genova: tra i suoi progetti il recupero di Villa Doria de Mari (a Sampierdarena,1780), il parco di Villa Lomellini Rostan (alla foce del Varenna, 1780), la ristrutturazione della Villa Durazzo-Rosazza ( a Dinegro, 1787) e Villa Durazzo Groppallo nella zona di Manin.
    Mentre lavorava a Villa Durazzo-Rosazza, Tagliafichi ricevette l’incarico di costruire ex novo una villa per la famiglia Serra a Cornigliano, e se ne occupò in prima persona, dalle fondamenta al giardino, fino ai particolari dell’arredo. Grandi aiole a prato, palme e alberi sempre verdi fiancheggiavano i vialetti, una rinomata collezione di azalee trovava posto sulle gradinate alle spalle della villa, mentre un giardino d’inverno ricco di piante esotiche completava le delizie del parco. Nel 1916 la villa fu venduta dal marchese Orso Serra al comune di Cornigliano Ligure.
    Dell’opera di Tagliafichi rimangono ad oggi soltanto monconi: il parco di Villa Doria de Mari è stato distrutto dalle lottizzazioni, mentre la ferrovia e gli impianti industriali hanno eraso quello di Villa Lomellini Rostan e mutilato quello di Villa Durazzo Pallavicini.
    Sarà per questa consapevolezza che guardavo ogni giorno con maggiore desolazione alla decadenza della villa, mia dirimpettaia. Fino a quando…
    (Eleana Marullo)

  • OLI 294: CITTA’: 1,8 milioni di euro per Villa Serra

    Lavori in corso a Villa Serra di Cornigliano.
    Foto E. Marullo

    Fino a quando, è cominciato a cambiare qualcosa. Prima è apparsa una grata metallica a delimitare il perimetro della villa, poi i castelli di impalcature (questa volta vere e operative, non come quelle che intelaiavano i muri della villa perché non crollassero, ferme lì dal 1992 e ormai rosse di ruggine). Il 3 novembre 2010 è stato inaugurato il cantiere per i lavori di recupero e valorizzazione di villa Serra di Cornigliano.
    Questo restauro arriva da lontano: è infatti applicazione della Misura A3 (recupero e valorizzazione del patrimonio architettonico), citata nel documento “Programma integrato di riqualificazione urbana di Cornigliano” (http://www.percornigliano.it/images/stories/pdf/2009_progr.%20integr.%20riqual.%20urb..pdf), che a sua volta è attuazione dell’accordo di Programma (1999), secondo le modifiche introdotte nel 2005. Insomma, tutto – in sintesi – è figlio degli accordi per la dismissione della cosidetta “Area a caldo” e per la bonifica del quartiere gravemente compromesso dai costi – sociali ed ambientali – della presenza dell’Ilva.
    Le risorse finanziarie che dovrebbero alimentare la riqualificazione urbana di Cornigliano, si legge nel documento, ammontano ad un totale lordo di 216 milioni di euro, garantiti in parte dal Ministero dell’Ambiente ed in parte da quello delle Infrastrutture e dei Trasporti . La somma sarebbe da destinarsi così: 65-70 milioni di euro per la bonifica delle aree ex Ilva, 90-100 milioni di euro per le infrastrutture (strada di scorrimento a mare e nuova delimitazione dello stabilimento Ilva), mentre i restanti 45-60 milioni ricadrebbero a pioggia per gli interventi di riqualificazione urbana.
    Nell’ambito di questi ultimi, a villa Serra è toccata una quota di 1,8 milioni di euro. La ristrutturazione prevede interventi sugli esterni della villa: il tetto in ardesia, gli intonaci, le balaustre e le pavimentazioni in marmo, mentre il recupero del giardino è rimandato ad una futura fase di attuazione dell’accordo di programma. I lavori, che a quanto vedo dalla finestra, procedono speditamente, dovrebbero essere terminati a gennaio 2012.
    I finanziamenti stanziati sono gestiti dalla Società per Cornigliano, mentre l’intervento è eseguito operativamente da Sviluppo Genova (società a partecipazione mista pubblico-privata) su mandato della Società per Cornigliano (costituita da Regione, provincia, Comune e una società partecipata del Ministero dell’Economia). Gli obiettivi della riqualificazione del quartiere, a sentire le parole di Da Molo, che ne è direttore, sono elevati: “Verrà pertanto realizzato un “Master Plan”, non limitato all’area dismessa dallo stabilimento siderurgico, ma che riguarderà l’intera Cornigliano (con particolare riguardo a Via Cornigliano, all’area dell’attuale rimessa degli autobus, a Villa Bombrini e a Villa Serra) e che prevederà funzioni miste, sia a livello di quartiere, che a livello sovra comunale […] L’ideale sarebbe quello di collegare il nascente polo ai temi della scienza e dell’industria, che hanno fortemente connotato nel passato, ma ancora connotano nel presente e nel futuro (Finmeccanica, IIT, Erzelli, etc.) Cornigliano e, in generale, il Ponente genovese” (http://www.cultureimpresa.it/04-2006/italian/punti04.html).
    La destinazione che avrà la villa dopo i lavori di ristrutturazione non è ancora specificata, sebbene la sindaco Vincenzi abbia parlato di “polo di innovazione, incubatore di imprese” (http://www.genova24.it/2010/11/cornigliano-1-8-milioni-di-euro-per-il-restauro-di-villa-serra-1860).

    Non ci resta che aspettare, a questo punto, che villa Serra completi il maquillage…
    (Eleana Marullo)
  • OLI 293: SOCIAL MEDIA – Cosa succede a 70 km dall’Italia

    Sono passati appena tre mesi dal suicidio del giovane Bouazizi, che ha innescato il domino che ha sconvolto il Nordafrica e fatto cadere un dittatore dopo l’altro. Eppure le sorti della Tunisia sono quasi completamente scomparse dalle pagine di cronaca.
    Un’eccezione che offre la possibilità di approfondire quello che è accaduto – e sta ancora accadendo – molto vicino a noi è l’istant book 70 Km dall’Italia. Tunisia 2011La rivolta dei gelsomini (Mehdi Tekaya e Global Voices online, ed. Quintadicopertina, http://www.quintadicopertina.com/?option=com_content&view=article&catid=54:70-chilometridallitalia&id=114:70-chilometri-dallitalia).
    La pubblicazione offre due punti di partenza per l’analisi dell’accaduto: in primo luogo espone le premesse storiche che hanno portato alla rivolta un paese considerato all’avanguardia per istruzione, diritti delle donne, sistema sanitario e con ottimi rapporti con l’unione europea. In seconda battuta, si interroga sul ruolo giocato dall’accesso ai social network (Twitter, Facebook, Youtube e blog) nella diffusione e nell’esito della rivolta.
    La prima considerazione è immediata: le persone che hanno spinto e sostenuto la rivolta sono proprio quelle cresciute sotto la dittatura di Ben Alì, spesso con un’istruzione avanzata e penalizzate dalla situazione economica del paese, dove il tasso di disoccupazione dei laureati arriva al 30% contro una media nazionale del 14%.
    L’analisi storica di Mehdi Tekaya, storico contemporaneo e ‘media-hacktivist’ di origine tunisina, prende inizio dalla figura di H. Bourguiba. Presidente della Repubblica e leader del Paese per oltre trent’anni, unisce una ventata innovatrice (specialmente nell’emancipazione femminile e nell’affermare la laicità dello stato) ad uno smodato culto della personalità, che finisce per degenerare in dittatura. Dal 1963 la Repubblica tunisina diviene un regime a partito unico e Bourguiba viene nominato presidente a vita. La situazione sembra cambiare con l’ascesa di Ben Alì, che il 7 novembre 1987 destituisce l’ormai anziano presidente e se ne proclama successore, intraprendendo una serie di azioni per una riforma apparentemente democratica dello stato. Ma, continua Tekaya, il curriculum del nuovo leader doveva indurre dal principio qualche preoccupazione: formatosi prima alla scuola militare di Saint Cyr, in Francia e poi alla Senior Intelligence School di Fort Holabird, nel Maryland, viene chiamato più volte ad intervenire in patria, per tenere sotto controllo i movimenti islamici e, nel 1984, per guidare la soppressione della rivolta del pane.
    Dopo tre anni di “primavera democratica”, avviene la svolta autoritaria.
    Negli ultimi dieci anni le uniche voci che si sono opposte al regime sono state quelle diffuse sul web, che ha veicolato le istanze dei cyber-attivisti e dei critici del regime, nonostante la legislazione repressiva e le gravi conseguenze (arresti, pressioni e difficoltà amministrative, difficoltà a trovare lavoro) a cui essi si esponevano.
    La seconda parte del libro parte appunto dalla ricchezza e dal peso che hanno avuto i social media nel contesto tunisino per tracciare un percorso attraverso gli articoli curati dalla redazione italiana di Global Voices Online(*) e da Voci Globali. E’ dato largo spazio alla voce diretta dei netizen, di cui si riporta il testo originale e la traduzione, ma anche i video e le fotografie che hanno fatto il giro della rete.
    Il progetto editoriale di 70 Km dall’Italia. Tunisia 2011 – La rivolta dei gelsomini è a cura di Maria Cecilia Averame, con la collaborazione di Bernardo Parrella (GVO).

    (*) Global Voices è “una rete internazionale di blogger che informano, traducono e sostengono i citizen media e i blog di ogni parte del mondo”( http://it.globalvoicesonline.org/).
    (Eleana Marullo)

  • OLI 290: MIGRANTI – Quanto (ci) costa il reato di clandestinità

    Gli sbarchi di giovani in fuga dal Nord Africa in fiamme si susseguono giorno dopo giorno, sulle isole italiane che punteggiano il tratto di mare tra Maghreb e Italia.
    Una testata locale, News dall’Isola di Pantelleria, in data 15 febbraio racconta un caso tra i tanti che si verificano quotidianamente. Come noto il reato di clandestinità prevede che chi sia entrato illegalmente in Italia sia immediatamente processato presso il giudice di competenza per il territorio in cui è avvenuto lo sbarco. Il 25 gennaio su un barcone proveniente dalla Tunisia sono arrivati a Pantelleria 6 giovani, tra cui un minorenne. Quattro tra questi sono stati immediatamente trasportati al Cie (Centro di identificazione ed espulsione) Corelli di Milano. Qualche giorno dopo sono stati accompagnati da cinque agenti su un volo li che li ha ricondotti a Pantelleria, per affrontare il processo per il reato di clandestinità. Nel pomeriggio sono stati ricondotti a Milano, accompagnati dalla scorta, dopo essere stati condannati al pagamento di cinquemila euro e delle spese processuali, come previsto dal decreto Maroni. Condanna severa e pesante dal punto di vista economico ma che, probabilmente, non sarà mai pagata.
    E’ prevedibile che la trafila (trasferimento aereo verso un Cie, ritrasferimento all’isola di arrivo e ritorno al Cie – con l’accompagnamento di un numero congruo di forze dell’ordine) si debba ripetere per tutti coloro che sono arrivati in Italia nelle ultime settimane (200 a Pantelleria, 5mila a Lampedusa). Con una spesa enorme per lo Stato, in termini di denaro e di risorse umane e, soprattutto, senza alcun ritorno di utilità sociale. La legge, che fu di grande impatto demagogico al momento della sua introduzione, diede lustro al pugno di ferro del ministro dell’Interno. Ma, all’atto pratico della sua applicazione, si rivela – come previsto – costosissima, inadeguata e vagamente surreale. Come affrontare uno tsunami con un cucchiaino. D’argento.
    (Eleana Marullo)
  • OLI 289: DAL MONDO – Le ragioni della rabbia di Manama

    Foto di Eleana Marullo

    Manama, la capitale del piccolo regno del Bahrain, il giorno prima della rabbia è tranquilla e luminosa, il clima è mite e solo il vento, come è naturale per un’isola, interrompe l’uniformità del paesaggio animando le palme, lungo i viali, e le eliche del grande grattacielo Moda Mall.
    Le strade a decine di corsie si snodano, con il loro carico di suv mastodontici in coda; non un pedone né un attraversamento in vista – ad andare a piedi, soltanto i turisti europei e le manovalanze straniere. D’altronde, lo spazio piano rende facile la circolazione, il prezzo della benzina è irrisorio e camminare a piedi nei mesi caldi è una tortura insopportabile.

    Foto di Eleana Marullo

    In mezzo ai cantieri stradali, a metà delle enormi carreggiate, operai lavorano sotto il sole (che a febbraio è mite ma da maggio in poi arroventa l’aria e l’asfalto); a proteggerli dal calore e dal vento, solo il ghutra – copricapo tradizionale dei paesi del Golfo – avvolto intorno al collo e alla bocca, anche per proteggersi da polvere e sabbia. La maggior parte di loro proviene dal subcontinente indiano: nessun locale svolge lavori di fatica. Le condizioni di sicurezza non esistono: le auto sfrecciano vicinissime, accanto ad esigui paletti, e le cronache dei giornali riportano quotidianamente notizie di investimenti.
    In un altro mondo, che non si intreccia per nulla con l’universo invisibile e sfruttato della manovalanza straniera, vive la popolazione bahreinita, quella che ha dato vita alle proteste contro la monarchia che il 14 febbraio hanno infiammato la capitale ed i villaggi, causando due vittime. Se la condizione economica dei locali non è drammatica come nel Maghreb, i motivi dello scontento sono altri: la famiglia reale, sunnita, governa un paese a maggioranza sciita che lamenta, da lungo tempo, di essere vittima di discriminazioni. Inoltre, se il parlamento è eletto, l’esecutivo del governo è nominato dalla famiglia reale: il primo ministro è in carica da una trentina d’anni ed è il bersaglio privilegiato del malcontento popolare.
    Il governo pochi giorni prima dell’annunciata manifestazione aveva promesso un’elargizione di mille BD (circa duemila euro) per ogni famiglia bahrainita, cercando di conquistare consenso e di porre un argine alle proteste. Evidentemente la mossa non è stata sufficiente e gli scontri che – al momento in cui si scrive – sono ancora in atto, stanno innervosendo la vicina Arabia Saudita, principale esportatore di petrolio nel mondo. Il paese è unito al Bahrain da un ponte di una ventina di chilometri, il King Fahd Causeway, tanto che parecchi lavoratori (tra cui una cospicua comunità di italiani) fanno i pendolari attraversando il confine. Per questa vicinanza l’Arabia Saudita teme ed ha deciso l’invio di truppe militari nel paese vicino. La calma apparente dei floridi paesi del Golfo Persico è forse più fragile di quanto previsto.
    (Eleana Marullo)