Categoria: Stefano De Pietro

  • OLI 292: PUBBLICITA’ – Eni, convincere od obbligare ?

    Sta accadendo da tempo su molte testate web che sopra il giornale appaia una “finestra” indesiderata di pubblicità quando si apre la pagina iniziale del giornale. Una volta queste pubblicità si chiamavano pop-up, oggi sono state sostituite da tecniche che aggirano i software di sicurezza ma ne mantengono lo scopo, quello di far apparire alla vista del lettore qualcosa che non desiderava, in un momento di massima attenzione visiva. E’ sicuramente una cosa sgradevole, ma fino a qui si tratterebbe di una lotta di furbizia confinata all’interno di quella discrezione che deve comunque accompagnare la pubblicità (convincere ma non obbligare), con la possibilità di eludere rapidamente il messaggio chiudendo la finestra con la classica “x” che viene posta in un qualche angolo dello schermo, prima che la stessa lo faccia da sola passato un determinato tempo. Così che il lettore, dopo un iniziale fastidio, si sente liberato e può considerare questa piccola intrusione come un qualcosa di necessario, per mantenere il web gratuito, per consentire al giornale di finanziarsi, insomma, alla fine, che la pubblicità abbia uno scopo “buono”. Mai un servizio come Facebook o Google Ads di sognerebbe di fare quello che ha fatto, invece, Eni.
    Infatti, la nostra primaria azienda nazionale propone una pubblicità sibillina, che è stata in onda sul sito del Secolo XIX per alcuni giorni partendo dal 2 febbraio 2011. La sua finestra ha sì la “x” presente in bella vista al solito angolo, ma è finta e non serve affatto a chiudere la finestra, ma come trappola per saltare direttamente al sito web dell’offerta (che non viene qui linkata come nostro solito per “pena del contrappasso”). Sembra insomma che abbia voluto puntualizzare che il proprio comportamento è sempre e comunque scorretto, inadatto, incurante degli altri fin dei propri consumatori/clienti.
    Peggio: con questa tecnica un utente inesperto, cercando di levarsi di torno il sito Eni apparso in modo inatteso, finirà per chiudere anche quello del giornale, restando disorientato. Un doppio effetto negativo, per Eni, che riceverà le maledizioni del consumatore, e per il giornale, che non controllando le funzionalità “maleducate” dei suoi inserzionisti lascerà un’alea di incompetenza se non di complicità da parte della propria direzione. Sarebbe auspicabile un comportamento più attento da parte della stampa, anche perché sono i loro direttori responsabili i possibili target di azioni legali volte a tutelare il diritto delle persone di non essere costrette a vedere una pubblicità.
    Una violenza paragonabile ad una specie di sequestro “a scopo pubblicitario” che si riscontra anche quando ci si reca al cinema, nei multisala, dove l’orario di ingresso è tassativo, ma solo per essere presenti davanti al megaschermo 3D all’inizio dei (minimo) 15 minuti di pubblicità obbligatoria che ci si deve sorbire senza alcuna possibilità di fuga. Ma non dovrebbe esserci la libertà di scelta in Italia? Il pubblico si lamenta, ogni volta dopo 10 trailer iniziano i primi commenti a voce alta, poi qualche fischio. Sarebbe utile un’iniziativa legale in tal senso, anche a tutela dei minori messi di fronte a immagini violente, sunto di altre pellicole non certo adatte ai bambini che sono in sala per assistere a ben altra proiezione.
    A conclusione, è intanto partito un messaggio al sito di Eni, per lamentarsi della stupida furbizia usata per “costringere” a leggere la pubblicità. Come ci si aspettava, ad un mese dall’invio ancora nessuna risposta, a conferma della cecità di questa azienda italiana, una volta simbolo del “buon made in italy” ed oggi ridotta a elemosinare qualche “hit” sul suo sito attraverso uno stratagemma un po’ troppo furbesco.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 290: SOCIETA’ – Quando l’opposizione telefonica è azzoppata

    La Homepage del sito

    Il Governo ha appena lanciato il Registro delle opposizioni (http://www.registrodelleopposizioni.it/). Si tratta di uno strumento per evitare di farsi chiamare dalle aziende di marketing, previsto da un recente decreto, che inserisce anche l’obbligo da parte dei call center di farsi riconoscere all’atto della chiamata con il numero di telefono in chiaro. Analizziamo il suo funzionamento.
    Gli operatori che intendono avvalersi della telefonia (fissa) per fare marketing, dal 1° di febbraio 2011 devono prima far filtrare le proprie liste al Registro delle opposizioni, con cadenza quindicinale. L’operazione ha un costo, che varia da pochi euro fino a centinaia di migliaia, a seconda del numero di contatti da controllare: il listino ne prevede fino a 25 milioni, mezza Italia.
    Al registro, lato abbonato, possono iscriversi solamente gli aventi diritto, che poi sono le persone e le aziende che sono presenti in elenchi telefonici pubblici. Esclusi quindi i cellulari (sic) e chi fino ad ora ha cercato di difendersi dal martellamento mediatico richiedendo un numero riservato, che non ha diritto di registrazione: il legislatore ritiene che per questa tutela basti la legge sulla privacy, la quale in teoria dovrebbe impedire di chiamare gli utenti non in elenco. Si tratta quest’ultima di una limitazione non da poco, vista l’amara realtà della situazione reale. Inoltre il decreto non copre l’opposizione per chi avesse dato il consenso su un modulo o un contratto, con una ics apposta senza pensare. Completamente introvabile l’articolo sulle multe per chi violasse il sistema.
    Porto l’esempio di un abbonato che ha ricevuto il numero di telefono che precedentemente era assegnato ad un’azienda. Per un errore sugli elenchi, il malcapitato riceve chiamate destinate all’azienda, e a nulla serve cercare di far desistere gli operatori. Avendo richiesto un numero riservato, non può accedere al Registro, quindi di fatto l’unica soluzione resta la vecchia classica segreteria telefonica casalinga, per filtrare le chiamate.
    Non si capisce poi “che c’azzecchi” la riservatezza del numero con il disturbo marketing: infatti per potersi difendere da una parte si deve rinunciare dall’altra ad essere introvabile su un elenco, cosa sicuramente molto utile in questo mondo di matti. Poi la cadenza quindicinale permette in realtà di “fare i furbi” in mezzo ai due periodi, annullando di fatto l’effetto del decreto. Sarà che il Registro sia stato fatto per funzionare proprio così, ossia male?

    Il call center del Registro, interpellato col form del sito, risponde la prima volta con una email istituzionale (con gli articoli di legge e la descrizione di una situazione bucolica dove non esistono gli errori e i furbi), e una seconda per telefono, dove una gentilissima operatrice mi suggerisce di “scrivere” alle aziende, di “pregare” il call center di cancellarmi, di “sperare” e, insomma, alla fine, si arrende e mi spiega che la normativa è spuntata, che il Registro non è stato fatto come era logico fosse, ma ha seguito logiche legate alle necessità degli operatori telefonici. “E i riservati? Perché escluderli?”, affermo, “Guardi, hanno fatto tutto nei palazzi della politica e ci siamo ritrovati un decreto che serve a poco”. La soluzione tecnologica, ultimo modello, come detto, è una segreteria telefonica, con il messaggio di farsi riconoscere per gli amici e un invito a cancellare il numero negli altri casi.
    Una soluzione razionale sarebbe quella di usare la stessa tecnica delle chiamate internazionali con il numero verde. Si chiama un numero senza addebito, aggiungendo in coda il numero di telefono del paese straniero, in questo modo si usa la rete fissa per fare chiamate internazionali a basso costo e con compagnie telefoniche diverse da quelle che gestiscono la tesserina prepagata. Un sistema simile avrebbe funzionato molto bene anche per le Opposizioni. Il Registro, diventato una centrale telefonica di smistamento, avrebbe verificato dal numero di telefono la possibilità della chiamata, respingendola se necessario. Gli operatori avrebbero pagato “per chiamata”, senza bisogno di anticipare somme per far depurare le loro liste, e soprattutto con effetto immediato per l’abbonato che si registra. Sogno un software che consenta all’abbonato di filtrare diversamente a seconda della merceologia, perché adesso, ovviamente, il sistema è on/off (o chiama chiunque o non chiama nessuno).
    “Ma noi, qui in Italia, facciamo cosà”, direbbe un moderno Pericle romano. 

    Per concludere in bellezza, l’email fornita da Telecom sul sito del Registro per comunicare con loro al riguardo è riservata ai loro clienti registrati: dare per avere
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 288: LAVORO – I giornalisti si ribellano al lavoro sottopagato

    Il lavoro precario e sottopagato non risparmia i giornalisti. L’iniziativa di terrelibere.org, curata da Raffaella Cosentino, ha uno slogan che richiama le battaglie degli africani di Castel Volturno: “non lavoro per meno di 50 euro”. E’ una “promessa” che viene fatta, soprattutto a sé stessi, di rifiutare lavori per meno di quella cifra, simbolica e minimale, pur sempre superiore ai pochi euro che spesso si vedono offrire da quotidiani e riviste. Dalla home page del sito: “Chi aderisce alla campagna promossa dall’ebook “Quattro per cinque” non accetta più di scrivere senza garanzie. “Io mi sono sempre rifiutato – scrive Gabriele Del Grande nella prefazione – motivo per cui non ho mai scritto con una serie di quotidiani che Raffaella Cosentino cita nella prima parte del suo libro e che poi sono i quotidiani che fanno le loro battaglie ipocrite contro il precariato. Ma come ben spiega anche lei, il fenomeno è ben più vasto, e anche i principali quotidiani italiani non ne sono esenti”.
    Il sito propone l’acquisto di un libro in formato pdf a 4 euro, dal titolo “Quattro per cinque”, a memoria dei cinque proiettili ricevuti dall’auto della giornalista Angela Corica, pagata quattro centesimi a riga per l’articolo non piaciuto alle cosche locali.
    Inutile dire che l’iniziativa non ha trovato spazio sui quotidiani tradizionali che di tale sfruttamento vivono, pur essendo finanziati dallo stato e ricchi di pubblicità a pagamento. Avrà quindi ragione Beppe Grillo nella sua ormai decennale battaglia contro l’Ordine dei giornalisti e contro il finanziamento pubblico all’editoria? Il numero di firme raccolte nei suoi referendum direbbe di si.
    http://www.terrelibere.org/terrediconfine/i-giornalisti-sfruttati-si-ribellano-seguendo-lesempio-degli-africani-di-castel-volturno
    http://40per50.blogspot.com/
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 287 – SOCIETA’: Una denuncia da 2,5 milioni di Euro

    I giornali non amano linkare, si sa. Non lo fanno sulla carta, tantomeno sui loro siti web. Così la storia di Dante Svarca, attivista ateo prima ancora che funzionario pubblico, deve essere approfondita andando a leggere direttamente il suo blog, per cercare le conferme ad un articolo del Secolo XIX (*) che lo dipinge un po’ come “macchietta” e un po’ come impegnato in un “lungo contenzioso per svariate cause civili”, accanto ai più famosi Luigi Tosti, il giudice di Camerino che non voleva il crocefisso in aula, e altri atei impegnati nella loro campagna di laicizzazione della vita civile. Ma l’articolo non dipinge una situazione molto seria, semmai materiale per il chiacchiericcio del giorno dopo, davanti al caffè.
    Invece è molto interessante uno dei molti link mancanti nell’articolo del Secolo, quello relativo al pdf della denuncia (**) fatta al Tribunale di Ancona, in relazione al reato di “abuso della credulità popolare”, dove si pone l’attenzione del giudice anche all’uso di questo raggiro fatto dal Vaticano per ottenere soldi pubblici: “Segnalo, infine, che quest’anno si terrà in Ancona il Congresso Eucaristico Nazionale e che, per tale evento, la chiesa di Ancona ha chiesto un contributo pubblico di ben 3,5 milioni di euro. Da notizie di stampa ho appreso che è stato concesso un contributo statale di 2,5 milioni di euro, quindi un contributo a carico di tutti i contribuenti siano essi cattolici, credenti in altre religioni o non credenti. L’erogazione di tale somma appare ingiustificata, trattandosi di una semplice riunione interna di una confessione religiosa, anche se maggioritaria, ma ciò appare ancora più ingiustificato qualora venisse accertato, con indagini ordinate da codesto Ufficio, che durante il rito eucaristico non avviene alcun fatto magico e l’ostia consacrata sia in tutto uguale a quella non consacrata e, in particolare, il DNA contenuto nelle due ostie sia sempre quello del grano da cui proviene la farina. Ritenendo violata la laicità dello Stato e, come cittadino che paga le tasse, danneggiato economicamente per la maggior tassazione cui sono sottoposto a causa di questo falso miracolo, qualora accertato dalla S.V., a nulla rilevando la tradizione dell’insegnamento e della prassi religiosa che hanno da sempre propagandato tale fatto come miracoloso e magico”.
    Non sembra affatto un particolare della vicenda, leggendo adesso l’articolo del Secolo XIX con l’aggiunta di questo pezzo mancante il giudizio su Dante Svarca potrebbe cambiare, e non poco. Altri link portano alla lettera, che non si esita a definire tagliente, inviata come diffida al Vescovo di Ancona precedentemente alla denuncia (***) e al suo blog dove si pubblicizzano due libri e alcune recensioni.
    * http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2011/01/29/ANCBL7fE-chiede_cristo_corpo.shtml
    ** http://dantesvarca.files.wordpress.com/2011/01/denuncia-ostia-procura.pdf
    *** http://dantesvarca.files.wordpress.com/2011/01/diffida-menichelli-2.pdf
    http://dantesvarca.wordpress.com
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 287: PAROLE DEGLI OCCHI – Oppio dei popoli

    Foto di Giorgio Bergami ©

    Foto di Paola Pierantoni ©

    Nelle foto di Giorgio Bergami, Venerdì 28 gennaio 2001: locandine in edicola e manifestanti per strada.
    Lo sciopero indetto dalla Fiom contro le politiche di Fiat e governo e a favore dei diritti dei lavoratori ha mobilitato molti settori della società civile e dell’associazionismo, con affollate manifestazioni in diverse città, tra cui Genova. Oltre a tale evento, molte emergenze e criticità stanno investendo l’Italia e il resto del mondo, ma invece di promuovere conoscenza e riflessione su questi temi vitali, la stampa preferisce attirare l’attenzione (e vendere di conseguenza più copie) evidenziando soltanto quanto attira il grande pubblico, in questo caso il calcio. Si perpetua così quell’azione di anestetizzazione e stordimento delle coscienze in atto da tempo attraverso la carta stampata e la televisione.
    Ma non tutti ci cascano…

    Nelle foto di Paola Pierantoni, tre manifestazioni degli ultimi mesi: 27 gennaio 2011, flash mob delle donne alla Stazione Brignole per le dimissioni di Berlusconi; 11 novembre 2010, manifestazione a De Ferrari in difesa delle politiche sociali; 6 giugno 2010, lo sbarco della Nave dei Diritti.

    P.S.: Ecco una perla del Secolo XIX online del primo Febbraio. I tre sondaggi hanno ovviamente un’importanza paragonabile.
    (segnalato da Stefano De Pietro)

  • OLI 285: PAROLE DEGLI OCCHI – Daltonismo culturale

    A cura di Giorgio Bergami. Foto Stefano De Pietro.
  • OLI 284: NUCLEARE – La lista che mancava

    Deve essere stato davvero un gran lavoro quello di chi ha tradotto in italiano la lunga lista di incidenti che hanno a che fare con il nucleare, civile o militare, dalla fine del 1800 ad oggi. E’ stato pubblicato in forma completa su http://www.mongiello.it/chernobyl/elenco-incidenti-nucleari, e si può passare qualche minuto a scorrerlo cercando la parola Italia, che compare 42 volte per altrettanti articoli inerenti il nucleare. L’origine del post è il sito progettohumus.it, che a sua volta fa riferimento al sito svizzero del servizio geologico nazionale (il link indicato in Progetto Humus è però obsoleto e non funziona).
    Nella lunga lista si legge che il Giappone, nel 1945, fece esplodere in Corea un ordigno nucleare di prova. E’ una notizia che lascia perplessi: possibile che in tutte le cronache di guerra non ne sia mai stata fatta menzione?
    Ecco il testo dell’articolo: “11 Agosto 1945 – Corea. Due giorni dopo la bomba atomica di Nagasaki, gli scienziati giapponesi di stanza a Konan (il maggiore complesso industriale sotto il controllo nipponico) ed ignari della decisione presa dall’imperatore di arrendersi evitando ulteriore morte e devastazione, eseguono un test nucleare: il lancio partì dal bacino di Konan, fu guidato nel mare del Giappone per entrare nel porto di una piccolissima isola. Per diversi giorni relitti di imbarcazioni e altre vecchie navi furono portate sull’isola che era talmente piccola da non risultare su molte mappe. I pochi abitanti furono evacuati. Venti miglia dall’isola gli osservatori aspettavano e pregavano che gli assidui sforzi avrebbero prodotto il risultato che tanto speravano: una forza di distruzione enorme da poter usare nell’autunno sulle forze alleate in procinto di un’invasione. Il risultato fu sorprendente: sotto la nube radioattiva le imbarcazioni erano affondate o bruciavano mentre della vegetazione sulle colline ne rimaneva solo le ceneri. Un fungo atomico che probabilmente era molto simile a quello di Hiroshima e Nagasaki. Ma tutto fu inutile per la presa di posizione dell’imperatore di cessare i combattimenti. Pertanto, una volta a conoscenza dell’imminente resa, gli scienziati giapponesi si diedero da fare per distruggere tutti i loro documenti nonché tutto l’equipaggiamento e strumentazioni possibili (incluse altre bombe atomiche quasi completate) perché i russi ormai avanzavano verso il complesso di Konan dalle montagne nel nord della Corea. Tutta l’apparecchiatura non distrutta finì in Russia assieme agli scienziati che furono torturati, interrogati e cancellati dalle pagine della storia”.
    Ci sono anche spiegazioni sul caso Ilaria Alpi e sulle molte mancanze di sicurezza in centrali italiane e straniere. Ad esempio, a Caorso ci furono fughe radioattive, di cui la stampa non diede notizia.
    Nella lista manca il caso del furgone con materiale radioattivo spedito in giro per lo stivale senza misure cautelative e alcuna informazione all’autista (http://www.bur.it/sezioni/Foglietto_numero_0801.pdf, pagina 2).

    (Stefano De Pietro)

  • OLI 283: SOCIETA’ – Le strane dichiarazioni del capo della Protezione civile

    Dal 13 novembre 2010 il nuovo capo Dipartimento della protezione civile è Franco Gabrielli, il cui curriculum può essere così sintetizzato: laureato in giurisprudenza, entra in polizia nel 1996, diviene capo della Digos a Roma, passa poi alla Polizia di prevenzione. Quindi direttore del Sisde, Prefetto dell’Aquila, entra nella Protezione civile a seguito del terremoto, divenendone capo dopo la “messa in pensione” di Bertolaso (*).
    A seguito della nevicata sulla Toscana, concede un’intervista telefonica a Repubblica TV/Radio Capital (**), dove asserisce che la colpa del mega ingorgo in autostrada è degli automobilisti, di quelli che entrano senza curarsi di guardare prima i pannelli di avviso dove viene indicato l’obbligo di catene a bordo. Evitiamo di dilungarci su dove siano stati installati in molti casi questi pannelli, già in autostrada o nelle immediate vicinanze del casello, in modo che qualsiasi sia l’avviso, ormai è troppo tardi per tornare indietro: non siamo mica in Francia, patria della “informatique”, dove il concetto di informazione si sposa anche con quello di efficacia ed intelligenza.
    Ma si lamenta anche che “poi si chiede alla Protezione civile di portare bevande calde e coperte”, dimenticandosi forse di avere assunto la direzione di quel servizio che serve proprio a questo, non a dare multe o ad arrestare automobilisti distratti.
    Sembra invece che l’uso degli Sms sia una pratica utile solo a Berlusconi quando deve intimare di andare a votare, mentre spedirli per avvisare intere popolazioni che sta per esondare un fiume o piovere “cats and dogs”, come dicono a Londra, richieda uno sforzo di fantasia troppo costoso.
    Comunque si sa che il fatturato delle autostrade è ben più importante di 15 ore di coda in autostrada, altrimenti come si spiegherebbe che per uscire si doveva comunque pagare il pedaggio, rallentando il deflusso dei mezzi e prolungando, di conseguenza, il lavoro anche della Protezione civile stessa?
    Per concludere in allegria prima della pausa festiva di Oli, ecco un bel video di come ci si ingegna per passare 15 ore in autostrada mentre nel caldo dei loro uffici i nostri dirigenti massimi fanno lo scaricabarile sulle competenze:

    Buon anno nuovo anche Beppe Grillo che lo ha linkato sul proprio blog.
    * http://it.wikipedia.org/wiki/Franco_Gabrielli

    ** http://tv.repubblica.it/home_page.php?playmode=player&cont_id=58568
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 282: INFORMAZIONE – Il Secolo XIX e l’insostenibile leggerezza di Internet

    L’articolo su ilsecoloxix.it ingloba due filmati, che sono però stati rimossi dall’utente di Youtube accusato di aver ripreso le sue malefatte per metterle in onda e farsi bello coi compagni. Se ne accorge anche un lettore, che commenta “MrGiacomo1997 ha prontamente rimosso i video; non è che qualcuno li ha preventivamente salvati?”. Elementare, Watson.
    Prima dell’avvento di internet, si usava dire “non sai fare un piffero”, oggi protremmo sostituirlo con la sua versione più moderna “non sai fare un link”. Il Secolo XIX casca nella trappola del nuovo web, quello dove la gestione dei contenuti è affidata in modo autonomo agli autori. Forse, abituati ad un lavoro di redazione inquadrato in regole tradizionali e rigide, è sfuggito all’articolista che i video su Youtube possono essere anche rimossi: necessita una copia locale, personale, per documentare quello che si asserisce. Per riportare il discorso sul tradizionale, è un po’ come se, recandosi in un luogo per fare un servizio, ci si dimenticasse di fare le fotografie: “l’asfalto ha le buche”, “il muro stava per crollare”, il giorno dopo sono notizie che senza foto potrebbe essere difficile documentare. E adesso, il buon MrGiacomo1997 che farà? Forte della mancanza della prova, chiederà al Secolo XIX una rettifica? Potrebbero negargliela? Certo, Santo Google potrebbe resuscitare il video incriminato, se però la cosa fosse richiesta da un magistrato. Google, si sa, fa sul serio, conserva tutto.
    http://www.ilsecoloxix.it/p/savona/2010/12/12/AM4xRBQE-vandalismi_esibiti_youtube.shtml
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 281: INFORMAZIONE – Morte in sala operatoria

    La notizia in sé stessa, a parte il contenuto umano che trasmette, non è eclatante: un paziente muore in sala operatoria e il Corsera ne dà notizia con un articolo della sua redazione online. Nei fatti, i parenti del deceduto prendono a calci e pugni l’equipe medica. L’ospedale, su denuncia dei parenti, apre un’inchiesta che porterà ad appurare i fatti sulla morte del malato. Riveste un certo interesse analizzare i variegati commenti dei lettori. Da notare che il titolo è ineccepibile, fornisce una notizia esatta.
    1. Togliamo ai medici il diritto di essere umani – non è possibile continuare a sentire casi del genere. I medici devono capire che la vita degli altri è importante almeno quanto la loro. Togliamo ai medici, tutti, il diritto di essere umani, bisogna che sappiano che la gente è pronta ad affrontarli con tutti i mezzi per vedere riconosciuti i loro diritti. Togliamo ai medici la disgraziata possibilità  di sbagliare e di trincerarsi dietro fantasiose storie di difficoltà  operatorie e formiamo medici che non sbagliano mai, che ridonano la vita a tutti, che sappiano risolvere ogni tipo di urgenza senza nessuna possibilità di inconveniente perché tutti i casi di malasanità , oramai è chiaro, sono tutti determinati dai loro errori. Togliamo loro i diritti di essere umani.
    2. Colpa dei “media” – Sono un medico chirurgo, e posso solo dire, senza scendere nel dettaglio del gravissimo episodio, che la colpa principale è di voi “media”, in quanto al solo scopo di un “presunto scoop” non ci pensate due volte a titolare una notizia “…caso di malasanità….” senza andare ad intervistare i diretti interessati esprimendo giudizi affrettati, e come di moda oramai, istruendo i processi sulla carta stampata o in studi televisivi, inasprendo cosi gli animi…ovviamente per gravissimo episodio intendo l’aggressione al personale sanitario e parasanitario, nel più profondo rispetto e dolore della perdita di una vita umana.
    3. I medici devono pagare – In un Ospedale Romano, sei mesi fa, la mia compagna veniva operata per l’asportazione di due noduli ai seni con conseguente biopsia. Una settimana fa, una nuova ecografia rivela che, nonostante il referto dell’intervento affermi il contrario, i noduli sono ancora lì, tali e quali. Immediato il ricorso ai nostri legali.
    4. Anche il titolo è una forzatura… – “Muore durante un’operazione”. Poi leggi invece che era appena iniziata l’anestesia, e che, essendo gravemente malato di anemia mediterranea, il rischio era forte e ben conosciuto. Bisognerebbe smetterla di alimentare idee sbagliate nella gente. E bisognerebbe anche smettere di compatire le persone violente. Quel genere di sceneggiate non sono infrequenti, e con i malati e le povere vite perse non hanno nulla a che fare. Non sono manifestazioni di dolore, ma di ben altro.
    5. Occorre prima capire! – Cosa è successo veramente in sala operatoria? I parenti erano stati bene informati del rischio elevato che correva il ragazzo o qualcosa è andata storta oltre ogni previsione? Esempio: ci si è accorti solo tardivamente di una errata manovra di intubazione oro-tracheale con ovvie e nefaste conseguenze? Sono un medico ma sono dalla parte dei parenti … almeno fino a prova contraria!
    6. Guardate cosa scrivono i lettori – Concordo pienamente con chi attribuisce gran parte della colpa di questi episodi ai media che pur di cercare lo scoop non hanno la benchè minima attenzione alla obiettività dei fatti. Tutto questo ha portato ad un concetto di immortalità sempre più diffusa : non si può morire, se accade deve essere colpa di qualcuno. Invece morire succede e può succedere in qualsiasi momento senza che per questo sia colpa di qualcuno. E’ ovvio che per casi simili ci saranno indagini adeguate, come sempre ci sono ma non certo per furore di popolo. Accadrà che nessuno vorrà più assumersi dei rischi e si faranno sempre meno interventi. questo sta già accadendo da tempo. Di fronte a casi del genere, invece di gridare all’untore ognuno si faccia per la sua parte il Mea Culpa. Guardate cosa scrive un lettore “formiamo dei medici ..che ridiano la vita a tutti…” Se potessero esistere medici simili nessuno morirebbe mai. Per formare questo tipo di fantascientifici medici forse dovremmo rivolgerci a Gesù… ma forse neppure…. Se ci sono persone (e tante) che scrivono questo vuol dire che lo credono.
    http://roma.corriere.it/roma/dilatua/cronaca/articoli/2010/12/04/ragazzo-muore-durante-operazione-reazione-genitori_full.shtml
    (Stefano De Pietro)