Categoria: Stefano De Pietro

  • OLI 368: INFORMAZIONE – Grillo e i giornalisti d’assalto

    Roma, 4 marzo 2013, l’uscita di Beppe Grillo è attesa da decine di giornalisti e fotografi che letteralmente assaltano il popolare personaggio scavalcandosi l’un l’altro. Qualcuno (vedi foto a sinistra) sale anche sul tetto di un’autovettura posteggiata, foto rubata da un attivista e pubblicata su Facebook, per cercare di dare una mano al proprietario a trovare il responsabile delle inevitabili ammaccature subite. Nella ressa, una persona che si era appoggiata all’auto di Grillo resta con le dita schiacciate nella portiera (vedi video in basso), che viene immediatamente riaperta e, nonostante la situazione di pericolo per il ferito, ripresa di nuovo d’assalto dai fotografi. Grillo deve intervenire personalmente per tenerli lontani.
    Domenica sera, alla fine del primo incontro tecnico a Roma degli eletti,  la stampa blocca la strada, non è ammessa all’interno: gente che lavora, certamente, se di lavoro si può parlare vedendo un simile girone infernale, come a Sant’Ilario aspettando Grillo che voti alla scuola di agricoltura: quindici ore in attesa, al freddo, la polizia che alla fine distribuisce bevande calde alle persone in attesa di scattare una sola foto utile al giornale. Non mi pare che sia questa la stampa che faccia vera informazione. Ha fame di notizie del Movimento 5 Stelle, i cui attivisti se ne stanno tranquilli ben lontani dai riflettori, in attesa di nominare i due portavoce per Camera e Senato, che saranno cambiati ogni sei mesi, scelti a votazione, come nella tradizione del Movimento. I giornalisti, non abituati a questo diniego, stanno letteralmente perdendo la bussola, chiamano amici e parenti nel tentativo di avere un numero di cellulare, appaiono nelle riunioni plenarie, negli incontri dove prima non erano mai stati, pare che il sistema di stare molto lontano da loro ripaghi con un interesse moltiplicato: poi, adesso, con un 30% dei voti, avere una foto di un “grillino” diventa un must irrinunciabile.
    Alcuni, negli alti ranghi, cominciano a preoccuparsi sentendo avvicinare il pericolo della fine del finanziamento pubblico all’editoria, che comporterebbe per molte testate la fine di un sistema consolidato di lavoro, e di potere. Una considerazione che riguarda il futuro: dovranno reinventarsi tutto, lavorare davvero su internet per abbattere i costi, livellare le redazioni e “far da sé”, come già sta accandendo sulla rete, insomma “bloggare la stampa” e poi, per evidenti necessità di veicolazione pubblicitaria, chiedere al governo che si dia davvero da fare per far arrivare internet a tutti.


    (Stefano De Pietro)

  • OLI 366: ECONOMIA – Tares tra imposta e tariffa

    Il decreto “Salva Italia” del governo Monti ci regala una nuova tassa in sostituzione di Tarsu e Tia: la Tares. Si sentiva il bisogno di una rivisitazione della norma sui rifiuti, analizziamo insieme i punti salienti per scoprire cosa nasconda la cinquantina di commi di cui è composta.
    Il “Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi” è dovuto da chiunque utilizzi una superficie abitativa, commerciale, industriale o agricola a qualsiasi titolo, ha lo scopo di finanziare la raccolta e il trattamento dei rifiuti urbani ma anche la manutenzione della città, oltre che i costi di acquisto dei servizi (energia elettrica, acqua, gas). Sostanzialmente è pensata per trasferire ai comuni l’onere di incassare direttamente tali somme, sottintendendo che i trasferimenti da Roma saranno ridotti o eliminati, con l’obbligo di finanziare l’azienda incaricata della raccolta dei rifiuti secondo le sue necessità economiche, comprendenti anche gli investimenti. La tassa che riguarda i servizi si paga sempre a metro quadrato, e il valore va da 30 a 40 centesimi di euro, quindi non costosissima ma aggiuntiva a quanto il cittadino paga già di Imu e Irpef e pagava di Tarsu/Tia. Inevitabile pensare che presto questa tassa di superficie sarà aumentata per dar modo ai comuni di avviare le manutenzioni cittadine che attendono da anni di partire.
    Il tributo può essere trasformato in tariffa solo se l’azienda dei rifiuti inizia una misurazione “puntuale” del conferito, che ad esempio a Genova non avviene, anche se voci sindacali di Amiu spiegano che la direzione rassicura che l’azienda genovese continuerà a incassare direttamente la tassa. Il termine “puntuale” non viene definito esattamente, per cui ci si aspetta che sia oggetto di interpretazione da parte dei comuni con le inevitabili circolari interpretative del ministero: il solito tran tran legislativo.
    L’unico riferimento alla raccolta differenziata, per nulla tenuta in considerazione nella nuova norma, è per indicare l’obbligo di una diminuzione di tariffa in proporzione alla quantità di differenziata raccolta, nulla più. Molto interessante è invece il riferimento alla eventuale violazione di termini di legge, per cui il cittadino ha diritto a pagare un massimo del 20% della tariffa piena in caso di manifesta e grave violazione delle norme sui rifiuti: la fantasia insegna che se messo in relazione alle quantità di differenziata di legge e reali, in pratica quasi ovunque in Italia sarà possibile chiedere la riduzione. Si vede che il legislatore non conosce affatto la situazione italiana sui rifiuti e che la legge è stata scritta a tavolino solo per dare modo ai comuni di avere a disposizione una leva fiscale utile alla propria sopravvivenza.
    Rimandiamo un approfondimento ad alcuni prossimi articoli su Oli.
    (Stefano De Pietro – immagine da internet)

  • OLI 365: INFORMAZIONE – Hangout, ovvero la Rivoluzione

    La schermata di un Hangout così come mostrata sul canale Youtube

    In uno spassoso libro di Luciano De Crescenzo intitolato Ordine e Disordine, si fa riferimento al minino di ordine che occorre trovare all’interno della cosa più disordinata che esiste, la rivoluzione, riassumibile in un concetto molto semplice: a che ora ci si vede, chi porta le armi, a chi si deve sparare. Parole sante, che suppongono che la comunicazione di questi dati sia fatta incontrandosi. Oggi il sistema più immediato per mettere su una congrega di carbonari senza soldi e con molte idee si chiama Hangout, è una tecnologia di Google, è gratuita e funziona egregiamente.
    Hangout è uno strumento di collaborazione video che consente il collegamento a distanza geografica di dieci postazioni, di mandare in diretta su Youtube la trasmissione e di trovarsela registrata una volta terminata la diretta. E’ il pezzetto mancante tra un semplice sistema di trasmissione “televisiva” in streaming e la vera collaborazione interattiva a distanza.
    Fare un Hangout richiede un account su Google+ (il nuovo sistema social di Google), una webcam, un computer, oppure uno smartphone collegato a internet. Pochi strumenti che oggi sono in possesso di moltissime persone; ovviamente non devono mancare amici e qualcosa da dirsi.
    La tecnologia è così stabile, utile e ben congegnata che il tour elettorale di Beppe Grillo si sta svolgendo interamente in diretta con un operatore sul palco che si collega usando un semplice smartphone ad un Hangout aperto dalla regia a Milano. La regia monta i titoli, fa un minimo di commento e il tutto finisce in onda in diretta, papere comprese, tipo una signora che a Parma arringa il “povero” sindaco Pizzarotti in un fuori onda un po’ tragicomico.
    Hangout rappresenta una novità editoriale davvero notevole. Mette fuori uso la televisione, consentendo a chiunque, gratuitamente, di disporre un semplice studio di regia basato su pochi comandi. E’ interamente online, non richiede quindi l’installazione di programmi sul proprio computer. Si usa in pochi secondi e, una volta accesa la trasmissione, ci si dimentica di stare a centinaia di chilometri di distanza dai propri interlocutori.
    Lo strumento ideale per la rivoluzione globalizzata, per dirsi, appunto, a che ora ci si vede, chi porta le armi, a chi si deve sparare, in un modo moderno.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 364: COMUNE – Un registro che non piace alla sinistra

    Sono passati tre anni da quando su Oli 249 abbiamo parlato del Pubblico registro delle lamentele instaurato con un decreto legge in Portogallo nel lontano 2005. A Genova, nel Consiglio comunale del 29 gennaio 2013, una soluzione simile è stata prospettata dal gruppo del M5Stelle, ed ha ottenuto un insperato successo che non ha però portato alla sua adozione, per un solo voto.

    L’occasione per la proposta è stata l’approvazione da parte del Consiglio comunale di un nuovo regolamento per i controlli dell’attività amministrativa del Comune e delle sue aziende partecipate, voluto dal Sindaco e dalla Giunta anche per ottemperare sul fotofinish al solito obbligo di legge. Con un emendamento inserito nell’articolo riguardante, in un qualche modo, le metodologie di lavoro, il M5Stelle ha proposto la creazione di un registro digitale pubblico, dove potessero essere inserite le proposte e le segnalazioni dei cittadini nei confronti del lavoro degli uffici pubblici. Il Registro, liberamente consultabile, avrebbe dovuto entrare a far parte del sistema di qualità certificata del Comune, per trasformare le segnalazioni di possibili non conformità, con l’obbligo quindi di correzione da parte dell’ufficio interessato.
    Oggi il Comune usa il classico sistema della segnalazione fatta in modo privato, per cui non esiste la possibilità per il cittadini di vedere l’insieme delle segnalazioni. Il registro proposto avrebbe risolto questa mancanza, e avrebbe costituito un forte impulso alla trasparenza dell’amministrazione.
    L’emendamento ha ottenuto 18 voti favorevoli e 19 contrari. Peccato per due assenti che con la loro presenza avrebbero potuto cambiare il risultato e dotare Genova di un valido strumento di interlocuzione democratica con il Comune, facile da usare, online e significativo.
    Si osserva un silenzio della stampa locale su questo fatto, interessata invece al gravissimo problema delle pietre “filosofali” di Via Garibaldi, a detta di alcuni non numerate prima di essere rimosse. Riportiamo per completezza di informazione l’Ordine del giorno del Consiglio comunale citato. Da notare l’adozione della procedura d’urgenza, che viene normalmente utilizzata tutte le settimane, anche per consentire di far votare le delibere di Giunta del giovedi in Consiglio già il martedi successivo. Stay tuned!
    (Stefano De Pietro)
  • OLI 362: ELEZIONI – Grillo, un Logo per due (o anche tre)

    “O cavallina, cavallina storna, che portavi colei che non ritorna”: si parla della logica, reduce dai banchi di Montecitorio. Alcune volte ci si chiede che fine abbia fatto, vista la sequela di norme contraddittorie e inutili e anche sbagliate che sono state prodotte nel tempo dal Parlamento. La legge elettorale, vigente da tempo immemore in Italia, non tiene conto della sequenza logica degli avvenimenti necessari alla presentazione di una lista per le elezioni. Per questo motivo deve essere riformata dalle basi.
    Analizziamo la sequenza come prevista. Prima di tutto occorre avere una lista di candidati, e quella bene o male tutti i partiti e i movimenti sono riusciti a tirarla su, chi più chi meno. Poi occorre raccogliere le firme su dei moduli cartacei, con la presenza di un certificatore, sovente al freddo, per strada. I moduli devono avere il simbolo elettorale già inserito, a colori (per un costo di circa 500 euro per raccogliere 5000 firme). La raccolta delle firme è prevista da sei fino a circa un mese prima delle elezioni, data di consegna delle firme e dei relativi certificati elettorali dei firmatari.
    Un giorno “che non si sa quando esattamente” ma comunque prima del giorno di consegna delle firme, dopo una coda all’aperto a Roma senza un ordine di arrivo che non sia autogestito, si deve invece consegnare il simbolo. Il simbolo elettorale, diametro esattamente 30 millimetri, tondo, quello già esposto così in evidenza nei moduli elettorali, deve essere unico e non simile ad altri. In caso di somiglianze, ha la precedenza quello che viene consegnato per primo.
    La legge elettorale non prevede l’esistenza di marchi registrati attraverso gli stessi organi statali quali l’Ufficio marchi e brevetti, se non quelli già presenti in Parlamento; quindi copiare quello del Pd o del Pdl non sarebbe un’idea furba, quello del Movimento 5 Stelle, di Monti o di Ingroia invece si. Ed infatti è successo.
    Insomma: occorre consegnare per primi un simbolo che la legge stessa ti obbliga a mostrare al mondo prima della consegna, ossia esiste di fatto un obbligo di esporsi al rischio della copia, senza fornire al riguardo alcuna protezione: è evidente l’assurdità della situazione. Inoltre i marchi registrati, che sono oggetto di continue contese nelle aule di tribunale quando si parla di utilizzo commerciale, non sono tali se si parla di elezioni: cosa può aver portato un legislatore a inventarsi una cosa simile?
    Di più: con i tre marchi copiati, depositati prima di quelli originali solo per fare “ammuina”, si giunge all’assurdità che i detentori del marchio “vero” avranno raccolto le firme necessarie ma non potranno usarlo, mentre chi non ha alzato il sedere dalla sedia, e non presenterà firme il 21 gennaio, non potrà presentarsi alle elezioni, e quindi avere il marchio nella scheda elettorale: siamo alla follia pura, all’eutanasia elettorale.
    E’ evidente che la legge elettorale va cancellata completamente e riscritta in termini moderni. Prima di tutto il sistema di rilevamento delle firme deve essere possibile anche via internet o con sistemi elettronici, con l’utilizzo di tecnologie che possano facilmente autenticare le persone. Questo, oltre ad accelerare i tempi di raccolta, consentirebbe uno sgravio notevole del lavoro degli uffici elettorali che devono controllare uno per uno i firmatari, stampare i certificati, verificare che abbiano firmato una sola volta e per un solo candidato. Prima ancora, il simbolo va depositato attraverso un registro come l’Ufficio dei marchi, e da loro recepito come unico. Solo dopo il recepimento del marchio, sarà possibile la raccolta delle firme.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 361: INFORMAZIONE – Ma è stampa questa?

    Eppure ci sono i gruppi di lavoro serali e notturni, sull’energia, sul lavoro, sulle partecipate, sui rifiuti, che tritano argomenti e sfornano, almeno ci provano, soluzioni. Ci sono le riunioni plenarie con cento persone ogni volta, stabili, in crescita, con le relazioni di tecnici che spiegano oggi il bilancio, domani la raccolta differenziata. C’è la webtv che sta partendo e che già ha dimostato le sue potenzialità. Ci sono i voli pindarici verso una società dove i cittadini aiutano 40 lavoratori della centrale del latte a continuare a vendere il latte, sputando in faccia a chi chiude la centrale. Ci sono gli articoli sul sito web che descrivono i piccoli e grandi successi dei cinque consiglieri comunali del cinquestelle, che fanno anche errori, che non sempre sono preparati sugli argomenti delle commissioni e dei consigli, divisi tra l’impegno istituzionale e i propri impieghi. Ci sono i comunicati stampa, e tutto l’impegno di pubblicare in anteprima i documenti in discussione in consiglio e nelle commissioni, chi mai lo aveva fatto prima di loro? Li consultano anche i consiglieri di altri gruppi, che si stupiscono loro stessi della loro trasparenza. C’è l’impegno a voler cambiare il regolamento del consiglio comunale, con l’opposizione schierata di molti, per dare a Genova la possibilità di vedere verbali, di sentire gli audio, di consultare documenti direttamente sul sito del proprio comune.

    C’è la vittoria dei libri mastri, che impegna un assessore sordo a portare in commissione tutti i dati della contabilità di particolare delle partecipate del comune, e la battaglia affinché tale decisione del consiglio sia attuata, con interpellanze, mozioni, denunce alla stampa, naturalmente senza risultato. E la vittoria della differenziata porta a porta, una mozione tutta a cinque stelle. Ci sono le manifestazioni, i video girati a dar voce a chi non desta abbastanza interesse ai giornali. Di tutto questo, sulla stampa genovese, non si legge nulla. Ma è stampa questa?
    Quando leggerete domani sul giornale, di Grillo, Favia, dell’attivista ignoto col passamontagna, delle parlamentarie bucate, pensate anche a quante cose utili a tutti devono essere fatte come muovendosi tra le canne in una palude con gli alligatori che ti chiedono un’intervista per sapere se hai altri parenti nel movimento.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 360: CITTA’ – Nuovo Puc, vecchio posteggio

    La salita a piedi verso il Fassicomo è diritta e piega i cuori non allenati, ma alla fine si arriva proprio di fronte al muro che sarà abbattuto per far passare i mezzi di cantiere. Dietro il muro una vegetazione impazzita da anni di incuria, ma pur sempre un po’ di verde in mezzo al cemento collinare che determina, a valle, la situazione alluvionale che tutti conosciamo. A lato, a valle del “bosco del Fassicomo”, tre condomìni interessati per vicinanza dalla costruzione di un nuovo posteggio, un progetto di silos privato di 98 posti auto con  sopra un po’ di verde acrilico e alcuni alberi salvati dalle ruspe, con due nuovi campi da calcio proprio all’altezza delle finestre. Una zona dove, oggi, costruire sarebbe vietato: troppa pendenza, ma per una magia tutta italiana la firma del Comune arriva due giorni prima del 7 dicembre 2011, data fatidica della votazione in Comune del nuovo Puc.
    Andrea Risso, il “patron” del comitato spontaneo che ha fatto ricordo al Tar riuscendo per ora a bloccare i lavori (vedi video nel M5Stelle), mi accompagna sul tetto del suo condominio, proprio di fronte al terreno che alcuni operai hanno cominciato a ripulire tagliando un po’ di alberi, sfoltendo i rovi, creando un inizio di strada di cantiere. Dall’alto, o meglio dalla stessa quota del cantiere, si comprende che l’opera sarà piuttosto invasiva, impatterà certamente sulla tranquillità degli abitanti per la presenza dei due campi da calcio, sia per il rumore che per l’illuminazione.
    Attualmente, la struttura del Fassicomo ha già un campo di calcio che resta più alto rispetto ai condomini sottostanti, nascosto dalla costruzione stessa che lo eleva oltre la visuale. I due nuovi campi sarebbero invece di fronte alle finestre dell’ultimo piano, difficile pensare a serate serene nelle notti d’estate.
    Un copione fin troppo conosciuto è che tutto l’iter per arrivare alla firma del permesso a costruire avviene con il parere contario del Municipio, che però sulla risposta favorevole degli uffici centrali non fa nulla per organizzare un incontro con i cittadini nel quale valutare il grado di sostenibilità sociale del nuovo inserimento.
    L’occasione di questa pratica consente un approfondimento sul pasticcio del nuovo Puc. Nel permesso a costruire, un articolo pone un paletto ben chiaro alla sua validità: l’entrata in vigore di norme in contrasto col permesso rilasciato ne determina la decadenza, se i lavori non fossero ancora iniziati. Ma nel nuovo Puc, si avvalora invece la tesi che tutti i permessi rilasciati prima della sua adozione sono da ritenersi validi: alla faccia della salvaguardia del territorio, del “costruire sul costruito”, delle linee verde, blu e sbirulò.
    Così il principio di salvaguardia viene messo in cantina per tutti i permessi a costruire emessi prima del 7 dicembre 2011: quasi una data spartiacque, o meglio spartisoldi, nel comune di Genova.
    (Stefano De Pietro)
    Intervista del Movimento 5 Stelle ad Andrea Risso
  • OLI 355: SPRECHI – Vizi privati e pubbliche virtù della città “smart”

    Che cosa ci si potrebbe aspettare da una città smart? Secondo il programma del Comune, interventi da milioni di euro per effettuare investimenti utili al risparmio energetico, alla produzione di energie rinnovabili, alla digitalizzazione e alla connettività diffusa.
    Dopo i sogni da milioni di euro che riempiono bocche e carte patinate, veniamo alla cruda realtà, solo un piccolo esempio, invero. In via Garibaldi 14, il cosiddetto Palazzo delle torrette ospita gli uffici dei gruppi consiliari. Quelli del Movimento 5 Stelle, della Lista Musso e una stanza della Lega Nord occupano il primo piano, sette stanze abbastanza grandi, più i servizi, regolarmente riscaldati a dismisura da caloriferi prebellici, con le valvole bloccate.
    Il Movimento occupa lo spazio che fino a prima delle ultime elezioni era della Lista Musso, le due segretarie ora spostate in altre stanze adiacenti ci avevano già messo in guardia i primi di settembre dal fatto che saremmo stati d’inverno con le finestre aperte. Le valvole dei termosifoni sono bloccate, appositamente, e quindi la richiesta di installare delle valvole termostatiche ci è sembrata una cosa logica e doverosa. Ma, perché quando si tratta di fare un passo in avanti in Comune il “ma” è di rigore, scopriamo che di fare modifiche all’impianto non se ne parla, perché è in corso “La Gara”. La parola “gara” appare come il sancta sanctorum dell’immobilismo, la ragione di tutti i mali, e riesce a compenetrare i peggiori concetti: impossibilità, insieme a scarsa trasparenza, talvolta ai limiti del segreto di stato (vedi la gara per l’affidamento delle riprese televisive del Consiglio comunale, la cui bozza è stato impossibile vedere prima della pubblicazione). La “gara” uccide le buone intenzioni: “eh, c’è la gara …”. Insomma, il Comune da una parte spinge i cittadini al buon comportamento di installare a casa propria le valvole termostatiche, ossia quelle valvole che sentono la temperatura ambiente regolando in modo automatico il flusso di acqua calda, interrompendolo se necessario. Ma in casa propria, nella città smart, si comporta in modo ben poco “clever”: resteremo anche questo inverno con le finestre aperte a dicembre. Un simile scempio non può restare invendicato: proveremo con un 54, ovvero un’interrogazione, per vedere cosa risponderanno gli alti gradi dell’amministrazione di fronte alle telecamere che portano la voce del Comune nelle case dei genovesi, ai quali è appena stata aumentata l’Imu per far fronte agli “ingenti non risparmi” dell’Amministrazione.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 354: POLITICA – Come ti condisco il libro mastro

    L’immagine ritrae la definizione di “mastro” o “maestro” che ne dà il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, pubblicato su etimo.it. Mastro sta quindi per “grande”, “principale”, denotando la posizione centrale della persona o dell’oggetto in questione all’interno di un’organizzazione logica.
    In contabilità, il libro mastro è il registro nel quale sono annotate con rigorosa precisione tutte le operazioni contabili, di solito separate per conti e sottoconti, al di là delle motivazioni economiche che possano averle fatte intraprendere, con i riferimenti alle entrate o uscite, ai dati degli intestatari, date e quant’altro utile. Si capisce quindi come mai questo libro sia tenuto gelosamente custodito da sguardi indiscreti.
    Oggi la contabilità è stata dematerializzata e il nostro “magister” è diventato una tabella in un database, conservando la funzione di insegnare a chi lo legge come viene gestita l’azienda giorno per giorno.
    Mentre il bilancio aggrega i dati contabili in poche paginette, il libro mastro mette a nudo la contabilità nella sua interezza.
    Dopo questa necessaria premessa, veniamo al fatto. Nel Consiglio comunale del 25 settembre 2012 il Consigliere Grillo (Pdl) presenta un ordine del giorno per chiedere alla giunta di relazionare sulle attività delle aziende partecipate, bilanci alla mano e con la presenza dei responsabili amministrativi. Il Movimento 5 Stelle propone con un emendamento che sia aggiunta la parola “e i libri mastri” al bilancio, aprendo la possibilità di una rivoluzione in ambito di trasparenza.  L’emendamento viene accolto da Grillo, diventando quindi parte integrante della sua mozione. Il silenzio del Segretario generale avvalla la liceità della richiesta, per altro già precedentemente confermata in una seduta di commissione a gennaio 2012. La giunta accetta parzialmente la mozione di Grillo ma esclude l’emendamento sul mastro, adducendo il problema tecnico della stampa di migliaia di fogli. Dalla sala un consigliere urla alla volta dell’assessore “ci sono i pdf!”, lui sente, cerca di articolare una risposta anche su questo. La mozione va alla votazione insieme a molte altre, alcuni forse non capiscono esattamente cosa stiano votando, se la mozione originale o quella emendata o addirittura quella prima o quella dopo.
    Alla fine la maggioranza dei votanti decide per il si. L’opposizione vota praticamente in blocco insieme ai consiglieri del movimento 5 stelle, anche una “doriana” alla quale qualcuno lancia un sorriso di approvazione. Molti astenuti testimoniano che anche in seno alla maggioranza esiste una spaccatura con chi vorrebbe veder cambiare qualcosa e fatica ad accettare ordini di scuderia. Ma ormai il cambiamento è in: la giunta è impegnata a produrre in sede di commissioni consiliari i libri mastri delle partecipate del comune. In aula un po’ di sguardi attoniti, l’assessore al bilancio rompe la sua caratteristica flemma inglese alzando un sopracciglio, il Sindaco (che ha votato no) appare contrariato.
    Qualche giorno dopo, in occasione della prima commissione sulla Spim, l’azienda del comune che gestisce il patrimonio immobiliare, i mastri non arrivano, Sono richiesti, l’assessore al bilancio Miceli adduce la solita motivazione, poi s’inventa la riservatezza, poi che un odg è meno cogente di un emendamento, forse pensava che fosse solo folclore e che nessuno avrebbe insistito, ma così non è. Sull’insistenza, fornisce dei files che nulla hanno a che fare con i mastri, come si dice “è nelle curve”, combattuto tra la necessità di difendere la propria posizione e l’obbligo che deriva dalla votazione in consiglio.
    Il giorno dopo il movimento fa partire una mozione al sindaco firmata da molti consiglieri, e successivamente una richiesta di elencare tutti i software in uso per la contabilità delle aziende controllate. Si attendono risposte.
    Stay tuned!
    http://www.genova5stelle.it/sara-possibile-visionare-i-libri-mastri-delle-partecipate/
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 351: COMUNE – M’illumino d’immenso (spreco)

    Una visita alla Sala consiliare del Comune di Genova è occasione per vedere al lavoro 40 consiglieri, la giunta, il sindaco, gli addetti alla segreteria, i commessi. Ancora: i giornalisti e i fotografi, i cameraman, prima fra tutti Silvana Bonelli che con la costanza della goccia che scava la moquette rossa segue da anni i lavori consiliari per un’emittente che li ritrasmette in televisione. E il pubblico, silenzioso, qualche volta meno. Altri ospiti sono i ragnetti che popolano l’aula, per cui si assiste a qualche urletto aracnofobico, e all’immediato soccorso di un consigliere che trasla il pericoloso mostriciattolo (quando non viene impietosamente schiacciato col polpastrello) al di fuori, in giardino: starà meglio lì, lontano dagli scanni della politica, in mezzo alle foglie.
    Tutti condividono lo stesso cielo bianco, con un rosone centrale che lascia passare la luce solare, quella luce che filtrando in mezzo a lampade accese contribuisce all’innalzamento della temperatura dell’aria. Lampade “a basso consumo”, come si dice oggi in Italia mancando la cultura dei “led”, già diffusissima invece all’estero. Sono 120 lampade a fluorescenza, consumo stimato ad una lontana occhiata di 20 Wh l’una, per un totale di 2400 Wh, corrispondente al consumo di un appartamento quando la lavatrice sta scaldando l’acqua e il frigo dando uno spunto di raffreddamento al prosciutto. Accese per tutta la durata di ciascuna delle 4C, ossia consigli, commissioni, concerti e congressi, quindi sempre. Accese a far concorrenza alla luce del sole e alle altre sei lampade ad alta efficienza, che svolgono il vero lavoro. Queste 120 invece sono l’espressione del nulla, del “senso dell’arredamento”, del “però è bello”. Come se “bello” e “intelligente” dovessero per forza essere concetti divergenti.
    Montate a quindici metri d’altezza, senza aver progettato alcunché per abbassarle a livello del suolo come si faceva nell’antichità, richiedono per la loro manutenzione il montaggio di un’impalcatura, quindi per sostituirle si attende che la loro mortalità assuma livelli da peste bubbonica: due di quelle appena cambiate in agosto sono già spente ai primi di ottobre. Voci di corridoio parlano di prezzi fuori mercato, di provenienze olandesi. Chiedendo di spegnerle la risposta è evasiva, non si sa bene come fare, forse si spengono anche le altre, insomma modificare è difficile.
    Vedremo in una prossima puntata, dopo la risposta ad una interrogazione, per ora la città del Patto 20-20-20 dei Sindaci, della Smart City, non riesce a spegnere le luci in sala rossa, in sala giunta, nella bouvette, nei corridoi assolati, nei bagni. Si chiede ai cittadini con una campagna pubblicitaria a spese del comune di installare le valvole termostatiche ai caloriferi promettendo grandi risparmi di riscaldamento, ma negli uffici comunali del gruppo consiliare dove opero non sono state installate, anzi, le valvole manuali esistenti sono opportunamente bloccate, per evitare di starare l’impianto, mi viene spiegato dai servizi tecnici. E le termostatiche? Si deve attendere la gara di fine anno, per la gestione della climatizzazione, adesso non si può. Così si preannuncia un inverno con caloriferi a palla e finestre aperte, mi viene altrettanto spiegato da chi quelle stanze le ha abitate fino a ieri. E di luci accese in sala consiglio a far concorrenza al sole. A luglio almeno erano tutte bruciate.
    (Stefano De Pietro – foto dell’autore)