Categoria: Donne

  • OLI 307: G8 / PUNTO G – Il femminismo secondo Marta Vincenzi

    Poche ore dopo la conclusione del convegno internazionale “Punto G – Genere e globalizzazione” ricevo due mail relative all’intervento di Marta Vincenzi.
    Provengono da due donne, divise da almeno trenta anni di età ma unite da livello culturale, capacità di pensiero ed una grande competenza e attenzione sui temi del femminismo e del rapporto tra donne e lavoro.

    La prima si dice “sgomenta” per quello che ha detto Marta Vincenzi. Le è rimasta impressa l’affermazione che sui temi del lavoro non è esistito un vero e proprio movimento autonomo delle donne, e che è ora che le donne comincino a darsi da fare per cambiare il mondo. Per fortuna Susanna Camusso nel suo intervento ha fatto notare che “le donne hanno sempre preso in mano la propria vita, anche lavorativa, al traino di nessuno, anzi, anticipando lotte e conquiste maschili … per esempio la giornata lavorativa di otto ore è stata conquistata dalle operaie tessili e dalle mondine, ben prima che dalle lotte dei metalmeccanici … interessante interesse delle donne per la vita oltre il tempo di lavoro!”
    Peccato però che lei, la sindaco, se ne fosse ormai andata.
    La mia amica aggiunge di non essere riuscita a prendere appunti, per cui nel ricordo ci può essere qualche inesattezza.

    L’altra amica gli appunti invece li ha presi, e precisa: “Marta Vincenzi non ha parlato del femminismo in generale, ma dell’impegno femminista rispetto alle tematiche del lavoro … Vincenzi ha fatto il seguente distinguo: l’elaborazione femminista su corpo, sessualità e salute è stata efficace ed è riuscita a passare anche alle nuove generazioni, viceversa l’elaborazione sui temi del lavoro sarebbe stata debole e scarsa (al traino delle proposte del movimento operaio – maschile) e questa sarebbe la ragione per cui oggi le donne della generazione del neofemminismo hanno difficoltà a confrontarsi con le giovani sui temi della precarietà …”

    Naturalmente – annota l’amica – “E’ una lettura assurda e priva di qualunque fondamento storico. Camusso ha così dovuto ricordare che non è esistito un femminismo, ma sono esistiti diversi femminismi (ad esempio quello sindacale). E’ vero che il confronto tra generazioni sul lavoro (che non c’è, oppure è sempre più spesso precario, privo di tutele e prospettive) è difficile, ma le ragioni non sono certo quelle indicate dalla Sindaco!”.

    Platea sbagliata per le approssimative affermazioni di Marta Vincenzi: una sala in cui di donne che hanno lottato per la loro autonomia nel lavoro e nel sindacato ce ne erano parecchie, insieme alle giovani autrici di “Non è un gioco da ragazze – Femminismo e Sindacato: i Coordinamenti Donne FLM” – Prefazione di Anna Rossi Doria – Ediesse 2008.

    Le giovani lavoratrici di oggi, precarie e no, non erano lì per caso.

    Non era un caso che ci fossero le cassintegrate della Omsa …

    … e il gruppo “Generazioni di donne”.

    Un passaggio di testimone nel movimento femminista è stato finalmente avviato.
    Anche sui temi del lavoro.
    E altrove?

    (Paola PierantoniFoto dell’autrice)
  • OLI 306: VINCENZI – I mezzi della politica e la solitudine delle donne

    Lo foto spicca in un paginone di Repubblica ed Genova del 16 giugno. E’ una sindaco al volante di un autobus che sorride complice del gioco che qualcuno le ha chiesto di fare. La didascalia illumina il lettore: “Marta Vincenzi alla guida di un bus. Ieri il sindaco ha viaggiato sui mezzi Amt per verificare la situazione dei trasporti”. Il titolo è ancora più esaustivo “Vincenzi, un giorno da passeggero”.

    Raffaele Niri spiega che si è trattato di “un blitz” della sindaco che, dopo le polemiche emerse sulla stampa, ha deciso di verificare di persona il livello del servizio. Un blitz che “avrebbe dovuto rimanere segreto”. Infatti Marta Vincenzi “ha ritenuto di non avvisare nessuno, né la stampa” – che tuttavia offre una dettagliata cronaca di tutti gli autobus sui quali la sindaco è salita – “né le televisioni, né i suoi collaboratori”.
    Legittimo domandarsi perché questa sia una notizia anziché una pratica, quantomeno settimanale, che avrebbe potuto permettere a Marta Vincenzi di verificare negli anni del suo mandato cosa accadesse prendendo una a caso una delle molte linee dove i volti dei passeggeri esprimevano attesa, fastidio o sollevato stupore sotto le pensiline.
    Il primo cittadino non dovrebbe essere anche il primo passeggero di Amt?
    Questo uno dei nodi da sciogliere.
    Del resto, con Bersani a Genova, la stampa locale offre un quadro mortificante. Cena da Pintori, anche quella dettagliatamente segreta – esattamente come il blitz sui mezzi AMT – dove si incontrano il segretario del Pd con alcuni esponenti “bersaniani”, Marta Vincenzi nel ruolo di convitato di pietra. Cena di soli uomini che forse non avevano i “mezzi” per offrire il pasto alla prima cittadina di Genova, risparmiando ai lettori la fatica di comprendere su quale scoglio andrà a sbattere la prossima campagna per le elezioni del sindaco. Emerge il ricordo della London Valour.
    Ma la sferzata finale viene offerta da Il Venerdì di Repubblica uscito il 17 giugno che, sempre a firma di Raffaele Niri, offre un titolo assai dinamico: “Io, sindaco donna, so come sbattere i pugni sul tavolo”, dove si parte dal senso di solitudine di Marta Vincenzi che “nella lapide che sovrasta il suo ufficio legge solo nomi di uomini” per presentare il libro intervista “38 più una” con Mario Peternostro. “Non cerco a priori la solidarietà femminile nelle battaglie che faccio, perché non sopporto la retorica delle cordate vestite di femminismo. Tranne poi addolorarmi e stupirmi quando le ritrovo schierate nella conservazione”, dichiara Marta Vincenzi. Nel pezzo emerge che i maschi gestiscono molto, troppo e pare che le dicano “Sai, c’era da sbattere i pugni sul tavolo, un uomo lo sa fare meglio”. Nel pezzo la sfida, per la sindaco dei bilanci sul suo mandato da fare esclusivamente con uomini.
    Sarebbe davvero bello capire dove Marta Vincenzi ha scorto “la retorica delle cordate vestite di femminismo” e in quale occasione ha provato stupore e si è addolorata nel vederle agire. Perché dopo il 13 febbraio, per le donne italiane le parole sono diventate più importanti. Della solitudine, in politica, sul lavoro, in famiglia la maggioranza di loro sanno già tutto.

    (Giovanna Profumo)
  • OLI 305: MOSTRE – Esperienza Italia: ma come è possibile?

    Una si chiede: ma come è possibile?
    Cioè, come è possibile che una mostra del livello e delle dimensioni di “Fare gli italiani. 150 anni di storia nazionale” (http://www.bitculturali.it/online/?p=20901 ) – allestita per le iniziative di “Esperienza Italia” alle Officine Grandi Riparazioni di Torino – salti a piè pari il modo con cui si è compiuto in Italia uno degli snodi cruciali della storia delle moderne nazioni occidentali?
    Il passaggio delle donne da persone senza diritti e senza personalità giuridica a cittadine e lavoratrici con pari diritti, le fasi di questo percorso attraverso le grandi vicende storiche nazionali, come il cammino delle donne sia stato condizionato ed abbia condizionato l’evoluzione culturale, sociale, economica e politica del nostro paese, mi sono parsi completamente invisibili.
    Si tratta di una omissione gigante che toglie valore a una mostra per altri versi curatissima, interessante e suggestiva.
    Volendo motivare quanto sopra, si può girare a piacimento il coltello nella piaga, a partire dal

    Personaggi del risorgimento all’ingresso della mostra – Foto P.P.

    silenzio dei busti femminili delle donne del risorgimento nella sala iniziale: in un quarto d’ora di ascolto ho sentito parlare, a turno, solo le statue maschili.
    Si scorrono i primi anni del novecento senza che emerga il movimento e il dibattito sul suffragio femminile nei primi anni del ‘900, e il ruolo di intellettuali come Anna Maria Mozzoni ed Anna Kuliscioff. Non vediamo riferimenti alle prime legislazioni sociali e al loro muoversi sull’ambiguo crinale tra protezione e conferma di uno stato di minorità.
    Idem per le lotte di mondine, cucitrici, filatrici, magliaie, tabaccaie, braccianti che “ispireranno e porteranno avanti il movimento femminile italiano” (*)

    Donne in fabbrica durante la prima guerra mondiale

    Una vasta sezione dedicata alla prima guerra mondiale che ignora totalmente l’ingresso di massa delle donne nella industria meccanica (duecentomila tra il 1915 e il 1918), e l’influenza che ebbe non solo sulla coscienza di sé e del proprio ruolo economico, sociale e politico, ma anche sull’ergonomia e l’organizzazione del lavoro delle fabbriche (**)
    Ampio capitolo sul fascismo in cui nulla viene detto sulla legislazione, l’iconografia e la cultura che in quegli anni ridefinirono l’immagine e il ruolo sociale e familiare della donna, con conseguenze profonde sull’Italia post bellica, fino all’oggi. (***)
    Nessuna traccia del D.L. 2 febbraio 1945 n. 23 che estese alle donne il diritto di voto, esercitato per la prima volta alle elezioni amministrative dell’aprile 1946.
    Per il resto le telegrafiche citazioni ad aborto, divorzio, riforma del diritto di famiglia annegano in un mare di “smemoria”: invisibili la conquista della parità salariale nei primi anni ’60, l’istituzione degli asili nido quali “servizio sociale di interesse pubblico” del 1971, i consultori familiari nel 1975, la legge di parità del 1977, quella sulle pari opportunità del 1991 … (****)

    Meno male: le annunciatrici televisive ci sono – Foto P.P.

    Ciliegina sulla torta: l’unico grande pannello dedicato ad immagini di donne riguarda (indovinate un po’?) le annunciatrici televisive.
    In sintesi, manca totalmente il senso di una delle trasformazioni epocali di questi 150 anni di storia nazionale, il cui evolversi sarà determinante per decidere se avremo ancora un ruolo nelle società avanzate. A lungo andare distrazione e maschilismo portano più banalmente alla incompetenza.

    Una delle stazioni di Ochestoria! – Foto Ivo Ruello

    Per i curatori della mostra:
    Gioco consigliato “Ochestoria!” (vedi il sito: http://www.generazioni-di-donne.it/)
    Letture consigliate:
    (*) Breve storia del movimento femminile in Italia, Camilla Ravera – Editori Riuniti 1978
    (**) 8 marzo 2005 – Donna, salute e storia, Sportello Sicurezza Cgil di Genova
    http://www.olinews.it/blogger/donnasalutestoria.pdf
    (***) Le donne nel regime fascista, Victoria De Grazia – Marsilio 1993
    (****) Date che ci riguardano, a cura del gruppo “Generazioni di donne”
    (http://www.generazioni-di-donne.it/Ochestoria/Cronologieleggieventi13marzo.pdf )
    (Paola Pierantoni)


  • OLI 302: SOCIETA’ – Vecchie, anziane e studentesse

    Il motore di ricerca di immagini di Google è uno strumento molto utile: mette a disposizione infatti una straordinaria quantità di materiale visivo – fotografie, disegni, illustrazioni, riproduzioni di opere d’arte – che può essere utilizzato per presentazioni, lezioni, documentazione di diverso genere.


    Anche uno strumento apparentemente neutro può però rivelare i pregiudizi e gli stereotipi della società che rappresenta: basta provare a ricercare immagini relative ad un medesimo soggetto, ma in due lingue diverse.

    La ricerca di immagini basata sul sostantivo italiano “studentesse” fornisce, accanto a una minoranza di ragazze con zainetti o intente nella lettura, un allegro e prevalente campionario di fanciulline più o meno scosciate che ammiccano maliziose o che ostentano biancheria sexy. La medesima ricerca, basata però sull’inglese ”student girl” ci presenta solo due immagini “piccanti” su 4 pagine disponibili alla prima schermata.
    Altre sorprese vengono da ricerche su diverse età della vita: in italiano le ricerche “donna vecchia” e “donna anziana” producono un orrido campionario di befane, carampane e vecchie streghe, buone tutt’al più come testimonial per pannoloni e dentiere.
    In inglese, invece, la passerella dei mostri è limitata a”old woman” (donna vecchia) mentre “elderly woman” (donna anziana) ci rimanda a arzille vecchiette con nuvole di capelli bianchi o a anziane signore energiche e ben tenute, come tante ne esistono anche alle nostre latitudini.
    Per trovare immagini comparabili in italiano bisogna cercare “donna anziana bella”, e allora le streghe spariscono e si intravede un barlume di normalità.
    Insomma, in Italia la donna giovane è sempre un oggetto sessuale e la donna vecchia sempre un relitto, mentre all’estero prevale un atteggiamento più equilibrato, anche se la vecchiaia in quanto tale proietta comunque immagini di bruttezza e disagio.
    Ancora una volta, il nostro paese umilia le donne e non ne riconosce il valore, a parte, naturalmente, quello dell’avvenenza fisica. Triste, ma vero.
    (Paola Repetto)
  • OLI 298: YEMEN – Le donne di Piazza del Cambiamento.

    Il movimento per la libertà e la democrazia che sta coinvolgendo quasi tutti i paesi arabi ha già avuto grandi risultati con la caduta di Mubarak in Egitto e Ben Al in Tunisia. Nello Yemen il processo di cambiamento è in una fase avanzata.
    I giovani yemeniti stanno seguendo il modello egiziano: l’occupazione ad oltranza delle piazze principali delle città. Piazza del Cambiamento nella capitale Sana’a è occupata dal 3 febbraio scorso. Come è stato in Egitto e Tunisia (dove il processo di costruzione della democrazia sta andando sempre avanti con tutti i pericoli e le insidie che caratterizzano queste delicate fasi storiche), anche nello Yemen le donne stanno partecipando molto attivamente alle lotte. Le loro colleghe tunisine stanno ottenendo risultati importanti che, soltanto qualche mese fa, erano inimmaginabili: in base alla nuova legge elettorale non saranno ammesse liste che non abbiano almeno il 50% di candidate.
    Le donne presenti in piazza hanno avuto un ruolo fondamentale per mantenere il movimento per il cambiamento nello Yemen sulla linea della nonviolenza. I giovani continuano a non rispondere alle provocazioni e non cadono nella trappola della violenza alla quale è stato costretto il movimento in Libia.
    Consapevole della determinazione e del coraggio delle donne il contestato presidente Ali Saleh ha cercato nel suo discorso al popolo di venerdì scorso di neutralizzarle attaccandole su un punto molto delicato della tradizione yemenita: ha fatto appello alle forze dell’opposizione (che, come in Egitto, non rappresentano i giovani in piazza, ma che hanno partecipato in un secondo momento al movimento), di evitare la promiscuità tra donne e uomini nelle piazze.
    La riposta delle donne yemenite è stata forte ed immediata con cortei femminili in tutte le principali città, chiedendo di processare il presidente per calunnia al loro onore. “Ci vuole rinchiudere in casa come le galline”, “saremo noi donne a farlo cadere e a processarlo”, “noi siamo educate, oneste e coscienziose è lui che non è stato onesto nei confronti del popolo e dei suoi diritti”.
    Poche, invece, sono state le donne che hanno seguito il classico del calcio mondiale sullo schermo gigante allestito in piazza del Cambiamento a Sana’a. La partita di calcio tra Real Madrid e Barcellona, due tra le squadre più forti e spettacolari del mondo, dove giocano Messi e Ronaldo, è stata seguita dai giovani divisi nel tifo per una squadra o l’altra, ma, alla fine della partita, uniti nel chiedere la partenza del presidente Ali Saleh.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 297: DONNE – La parola agli uomini

    Il 5 aprile il seminario previsto alla Sala Governato della Cgil di Genova viene spostato in un’aula più piccola. L’iniziativa “Donne e uomini di fronte al cambiamento tra potere e società” – relatore Stefano Ciccone dell’associazione Maschile Plurale – ha un’adesione al di sotto delle aspettative. Si potrebbe pensare all’orario, che copre l’arco di una mattinata lavorativa, ma c’è chi fa rilevare che molti non sono preparati per certe riflessioni.
    Tra il pubblico parecchie donne e qualche uomo. Stefano Ciccone, che è anche delegato sindacale, spiega quanto gli stereotipi di rapporto tra i sessi siano una questione politica che incide su tutte le dimensioni, anche quella lavorativa. Ripercorre l’incapacità degli uomini ad avere le parole per raccontarsi e quanto siano invisibili a se stessi. Ricorda l’inconsapevolezza, per la quale in occasione della manifestazione del 13 febbraio, Bersani guarda alla piazza e giustifica la sua presenza accennando alle “nostre donne”. Mentre un sistema peggiore propone modelli desolanti: “meglio puttaniere che frocio” e colloca il corpo delle donne a merce di scambio, tangente. Chi non ricorda il centro massaggi del mitico Bertolaso? Insistendo sul modello del “simpatico puttaniere” a cui tutto è perdonato perché sta comunque nei confini della mascolinità dominante.
    E’ una politica per la quale Marrazzo rimane “nell’indicibile”, mentre Berlusconi ricalca il modello tradizionale.
    L’associazione Maschile Plurale parte riflettendo sul rapporto degli uomini con la violenza sulle donne. Fenomeno principalmente familiare che non ha nulla a vedere con la campagna sulla sicurezza con la quale destra, e sinistra che la insegue, stanno martellando gli elettori. Ciccone rileva che viene proposto un modello di sessualità maschile antropologicamente violento, esattamente come accade con il migrante che viene presentato come antropologicamente selvaggio.
    Bisogna smontare questi stereotipi.
    I detrattori della Merlin sostenevano la prostituzione come garanzia del controllo sociale sulla sessualità maschile. Ciccone insiste sulla necessità di costruire una parola pubblica degli uomini che dia legittimità al cambiamento delle donne e al superamento degli stereotipi. Parla di padri separati e di una società nella quale, se è storicamente definito che la madre debba accudire il figlio, il bambino difficilmente verrà affidato al padre.
    Succede anche che per una ragazza il corpo diventi impaccio sulla valutazione delle sue capacità e che emerga la prospettiva della neutralità per fuggire allo stereotipo. Da qui l’idea di esserci come solo come “persone”, idea che dovrebbe “liberare” dalla propria connotazione sessuale. Ma di fatto la nega.
    Come fossero i tasselli di un puzzle Ciccone evoca tutti gli elementi che hanno composto l’immaginario di relazioni tra uomini e donne, tra questi gli stupri etnici nella ex Jugoslavia e le trecentomila donne violate, come fossero un territorio, da decine di migliaia di uomini, per i quali il loro corpo è stato degradato ad arma di guerra.
    Quale relazione affettiva con moglie, madre, figlia e sorella potranno aver instaurato dopo?
    In un ideale che seduce gli uomini con difesa della patria, onore, esercizio virile della guerra, quale spazio c’è per ragionare su desiderio, affettività, libertà e propria identità di uomini e donne?
    Ciccone ammette l’urgenza di un lavoro da fare qui ed ora. Senza limitarsi, solo con gli incontri nelle scuole, a delegare alle generazioni future di un compito che è anche degli adulti di oggi.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 292: COSTITUZIONE ITALIANA – La parità tra uomo e donna nella Costituzione

    # Art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
    È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
    # Art. 29: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
    Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.
    # Art. 37: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione.
    La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.
    La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione”.
    # Art. 48: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
    Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.
    La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tal fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge.
    Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.
    # Art. 51 (il secondo periodo è aggiunto con legge costituzionale n. 1 del 30 maggio 2003): “Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.
    # Art. 117 (testo introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, sulla potestà legislativa di Stato e Regioni): “Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”.

    a cura di Aglaja
  • OLI 292: 8 MARZO – Elsag 1977 – 2007: la quasi invarianza della discriminazione

    Mi ritrovo tra le mani un opuscolo della FLM (Federazione Lavoratori Metalmeccanici) del 28 febbraio 1977. Il titolo dice “Dati organizzativi”; all’interno, fabbrica per fabbrica, il numero degli addetti, e degli iscritti al sindacato unitario.
    Nella sola zona di Sestri Ponente le persone che lavoravano nel settore metalmeccanico erano 10814. Il totale generale per Genova, da ponente a levante, era di 52351 persone, iscritte al sindacato per più del 78%, operaie per il 68%, 2088 delegati sindacali.
    Un altro mondo, un mondo scomparso: per chi ha oggi meno di trenta anni i nomi delle aziende che si susseguono sul ciclostilato ingiallito sono sigle senza senso, per chi ha più anni evocano un tratto di vita non solo lontano per lo scorrere del tempo, ma separato per una frattura netta, una cesura, che lo fa apparire un mondo a parte, in cui non siamo proprio noi ad aver vissuto, ma qualcuno che ci assomigliava, un nostro antenato.
    Sulle due lontane sponde di questo abisso di tempo e di trasformazioni trovo – quasi invariata – la sigla di una azienda: Elsag in allora, Elsag–Datamat oggi.
    E caso vuole che riesca ad avere sotto mano due indagini, una del 1977 ed una del 2008, due documenti che tracciano almeno un filo di continuità che attraversa questi trenta anni: il desiderio delle donne di capire come stanno le cose e di cambiarle, e la discriminazione che le colpisce.

    Nel 1977 fu il “Coordinamento donne” della fabbrica a fare una ricerca, utilizzando un “questionario professionale e sociale”: venivano analizzate le discriminazioni nelle assunzioni, nell’inquadramento professionale, e l’incidenza degli aspetti personali e privati: accesso alla istruzione, lavoro domestico, complicità e paure.
    Nel 2008 le delegate sindacali hanno utilizzato una legge che è stata forse il frutto più tardivo delle lotte delle donne degli anni ‘70: la 125 del 1991, legge sulle “Pari Opportunità”, che impone alle aziende di stendere rapporti biennali sulla situazione occupazionale, professionale e retributiva delle donne (*).
    Dalle due indagini risulta evidente che la barriera che sottrae lavoro alle donne è sempre in piedi: trenta anni fa erano il 16% degli occupati, ora il 25%, un incremento irrisorio se si tiene conto delle radicali trasformazioni culturali e sociali che hanno attraversato questo periodo. E non si tratta di un retaggio del passato: ancora nel 2007 le donne sono state solo il 21% degli assunti.

    All’interno di questi numeri ridicolmente minoritari, la distribuzione professionale è un po’ meno squilibrata, ma resta il fatto che il 95% dei dirigenti, l’80% dei quadri, il 75% dei due livelli impiegatizi più elevati è maschile e che, a parità di livello, le donne guadagnano il 20 % in meno dei colleghi.
    Le delegate hanno svolto anche un sondaggio on line (**) sulla conciliazione dei tempi di vita e lavoro: esigenze, problemi, proposte. Il taglio non è più quello femminista del 1976, ma le cose emergono con chiarezza; tra queste la scarsa o insufficiente attenzione della azienda sul punto. Una grave arretratezza per un “centro di eccellenza” (***) votato all’innovazione.
    * http://lofficina.altervista.org/elsagdoc/temi/20080909_analisi_po.pdf
    ** http://lofficina.altervista.org/index.php?option=com_content&task=view&id=254
    *** http://www.elsagdatamat.com

    (Paola Pierantoni)

  • OLI 292: RECENSIONI – Distanza di fuga

    Il caso vuole che a pochi giorni dalla querelle sulla presenza di Fenzi in facoltà, a Genova venga presentato, venerdì 11 Marzo, da Feltrinelli il nuovo romanzo di Silvia Bonucci “Distanza di fuga” ed. Sironi.
    E’ un libro coraggioso dove il passato del terrorismo, ostinatamente rimosso dalla protagonista, emerge con urgenza nel quotidiano chiedendo spazio.
    Ambientato a Genova, nella trama a noi nota dei vicoli, del Righi e Sampierdarena, il libro, pagina dopo pagina offre al lettore lo scorrere delle giornate di Zoe, fisioterapista, e delle sue relazioni con i pazienti, la sorella, la madre, il nonno, gli amici e il compagno. A sgranarsi lentamente sono gli istanti frammentati di una donna resa inerme da un trauma che è incapace di affrontare. Silvia Bonucci intreccia passato e presente, mescolando le pagine scolastiche di una bambina con i fotogrammi di un’intervista ad un ex brigatista ai quali si aggiungono citazioni del comportamento animale tratte da Konrad Lorenz. Zoe appartiene alla parte migliore di quel mondo, sia in attacco che in difesa. Così a tratti, commuove, irrita, e rimane isolata. In “Distanza di fuga” c’è spazio per riflettere su maternità, amicizia, relazioni in un universo dove il dolore è afono, ma potente.
    Questo è il terzo romanzo di Silvia Bonucci.
    I precedenti “Voci di un tempo” ed. E/O e “Gli ultimi figli” ed. Avagliano sono ugualmente intensi.

    (Giovanna Profumo)

  • OLI 290: 8 MARZO – Costanza e le compagne

    De Ferrari in rosa contro i femminicidi in Messico. Foto P.P.

    Sms di Costanza (*) : Ho chiamato per sapere come stai. Io sono alle prese con lo studio di altri concorsi e la prossima settimana andrò a Roma per le prove preselettive del concorso per le segreterie dei tribunali. A presto e un abbraccio a tutti.
    Sentita al telefono dice che studia di notte e nei week-end, quando non lavora. Sabato ha saltato il pranzo per non interrompere la concentrazione. Aspetta i risultati dei cinque scritti del concorso fatto per il Senato. L’accento morbido del sud adesso vira allo stanco. Ma non si arrende. Meta un lavoro vero a tempo indeterminato, con continuità di salario e contributi.
    Di Matilde la madre mi dice che ha perso il posto nella cooperativa dove ha lavorato per cinque anni. La società ha chiuso baracca. Burattino, forse lei. Matilde, laureata in psicologia, ha una bimba all’asilo e un bimbo alla scuole elementari. Unico salario quello del marito, impiegato in un ente pubblico. Da leccarsi le dita.
    Ilaria, laureata anche lei, un lavoro a tempo interminato adesso lo ha. Lavora in un ristorante sessanta ore a settimana per milleduecento euro al mese. E’ giovane. E’ rimasta un po’ indispettita da una domanda del suo capo che le ha chiesto, sornione, se si sentisse più vacca o più porca. Ultimamente orari di lavoro e stanchezza hanno avuto la meglio. Non ce l’ha fatta a partecipare alla manifestazione del 13.
    Carmen, laurea e dottorato di ricerca, ha lavorato tutto il mese di dicembre in un negozio, promuove prodotti locali in molti eventi, quando la chiamano. Il 13 è tornata da un viaggio di lavoro, non ha potuto partecipare alla manifestazione.
    Marie ha un contratto di lettrice in un’università toscana. Sono stati ridotti salari e ore a tutti i lettori della facoltà. Quando non insegna, traduce cataloghi e libri. Ha lavorato a Natale e Capodanno. La pagano con molto ritardo e candidamente afferma: “Il lavoro c’è. Sono i soldi che non ci sono più”. Il 13 traduceva.
    Del calo di attenzione rispetto al tema lavoro parla il documento dell’associazione Lavoro e Libertà, primi firmatari Cofferati e Bertinotti, che si dicono indignati dalla “continua riduzione del lavoro, in tutte le sue forme, a una condizione che ne nega la possibilità di espressione e di realizzazione di sé”. Chiedono come sia “possibile che di fronte alla distruzione sistematica di un secolo di conquiste di civiltà sui temi del lavoro non vi sia una risposta all’altezza della sfida”.
    La parabola delle donne attraversa il lavoro. Di fabbrica, ufficio, professionale o artigianale, oggi sempre più precario. Al quale si somma quello di cura in famiglia. Una sconfitta che si consuma in silenzio nelle nostre case, nei giardinetti con i figli, nell’accudire genitori anziani. Una sconfitta che disegna il profilo di una donna che non rivendica più nulla. Troppo affannata per essere in piazza. Aggiornata dall’sms dell’amica, della madre, della figlia. Che le raccontano la meraviglia di una piazza piena il 13 febbraio.
    Il prossimo appuntamento è per l’otto marzo, 8ma occasione per parlare con forza di donne e lavoro. La libertà, per troppe, ha da venire.
    Sito di Se non ora quando
    (*) Oli 273 
    (Giovanna Profumo)