Categoria: Giovanna Profumo
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OLI 391: COMUNE – Marco Doria da principe rosso a piccolo principe
Chi lo conosce dice che non si tirerà mai indietro
E’ una frase sopravvissuta all’ascolto di una rassegna TV su AMT dalla quale la Sala Rossa risulta il campo devastato di una battaglia che, già anni fa, doveva essere combattuta altrove.
Un campo arato con cura da leggi, scelte dissennate, silenzi sindacali. E tagli.
Ma, facendo un passo indietro, il quesito potrebbe essere un altro:
Chi conosce veramente Marco Doria?
E – parafrasando la metafora calcistica tanto cara ai media – per che squadra gioca?
All’incontro con gli iscritti del circolo Zenzero il 31 ottobre la domanda è stata sostanzialmente questa.
A porla alcuni dei più vicini sostenitori, quelli che, sciarpe arancioni al collo, avevano salutato il cambiamento con un entusiasmo ragazzino e condiviso il suo programma.
Tra loro lo sgomento è mediato dall’età e dalla consapevolezza che lui – il secondo sindaco più amato d’Italia– era parte dello stesso sogno, quello di una sinistra rinnovata che si batteva per le richieste del proprio elettorato.
Allora cosa è successo?
Doria ha la flemma principesca di chi è convinto di agire per il meglio. Non sono stato eletto solo da voi – è il refrain ribadito già in altre sedi – ma da 128mila elettori, un alto grado di legittimazione rappresentato, oltre che dai sei consiglieri della sua lista, anche dai dodici del PD. Le regole democratiche – dice – gli impongono uno sguardo che rappresenti tutti. Quelle del suo ingaggio erano chiare io ero un candidato alle primarie del centro sinistra. Quindi non ero uno che si muoveva fuori da una coalizione
Nel gioco del rispetto delle parti quella del PD e di chi rappresenti davvero in città è rimasta fuori dalla discussione. Anche se solo i recenti fatti congressuali e un qualsiasi TG dovrebbero suggerire al sindaco il beneficio del dubbio. Ma Doria vuole salvare i partiti perché è nel partito che ha fatto il suo percorso giovanile di iscritto, militante, consigliere comunale. Ed è inutile sottolineare a Doria la distanza siderale certificata oggi tra loro e i cittadini.
Allo Zenzero si evocano i comitati d’affari che continuano a contaminare il processo decisionale ed è forte la ferita di una promessa mancata, la delibera quadro sulla partecipazione e sulla cittadinanza. E chi gli dice che per pensare alla partecipazione bisogna organizzarla chiede a Doria quando il dibattito sui temi discussi dagli elettori in molti circoli cittadini potrà approdare finalmente in Comune. C’è chi gli ricorda che la delibera sulle partecipate è stata scritta dagli stessi che hanno portato al collasso situazioni sane. E a chi gli rinfaccia di avere una giunta targata PD, risponde con il dato di fatto che il Partito Democratico ha solo tre assessori su undici – Bernini, Dagnino e Garotta – in una giunta che si è scelta da solo. Forse è proprio questo suo piglio da condottiero solitario che non gli ha permesso di mettere insieme una squadra che fosse solidale con il suo programma e governasse al suo fianco. Presunzione? Un pochino. Mescolata al tragico sospetto che Doria non avesse compreso le condizioni in cui versavano le aziende comunali e con quali risorse economiche avrebbe dovuto governare.
Massacrato da vertenze aziendali e dai conflitti, bersaglio della sua stessa rigidità, più che un principe rosso appare come un piccolo principe caduto in un pianeta di cui stenta ad apprendere la lingua, che fatica a decifrare e di cui può essere vittima.
(Giovanna Profumo – foto dell’autrice) -
OLI 389: CITTA’ – Slot machines, San Bernardino e il Parlamento
Il 26 ottobre, allo Slot Mob, Dominic non c’è.
Era stato tra i primi baristi in città (OLI 348) a pretendere che il locale di famiglia tornasse alla sua vocazione originale: somministrazione di alimenti e bevande, non un casinò. Un anno e mezzo a tenere botta, aprendo il bar anche per far musica e teatro – con tasse SIAE proibitive – in direzione ostinata e contraria a quelle slots per le quali le enormi entrate non ripagavano i costi pagati dai clienti in termini umani e di dipendenza.
Dominic ha passato il testimone, è andato via e, in quello che era anche il suo locale, sono tornate due macchinette eternamente presidiate da due fedeli innamorati. Chi è rimasto a gestire il bar con le slot potrà pagare l’affitto, lasciando cultura e musica fuori dalla porta.
Allo slot Mob del 26 a Genova si è chiesto ai consumatori di scegliere: non tutti i locali sono uguali, anche pensare a dove si fa colazione è un gesto politico. Certo, hanno detto gli organizzatori, senza voler demonizzare chi ha scelto le slot – in molti casi necessarie per la sopravvivenza dell’esercizio stesso – ma con la volontà di premiare chi riesce a non metterle.
Ma tutto questo quando è iniziato?
In rete si trovano alcune date
“1997 vengono la doppia giocata di Lotto e Superenalotto e le Sale scommesse
1999 investitura ufficiale per il Bingo
2003 spazio in Finanziaria alle Slot machine
2005 (Finanziaria) la terza giocata del Lotto, le scommesse Big Match, le scommesse on line
2006 (decreto Bersani) i nuovi corner e punti gioco per le scommesse”
Oggi in Italia si contano 400mila slot machines
Ogni decisione per favorire la diffusione del gioco d’azzardo in Italia è stata presentata, condivisa e avvalorata in Parlamento.
Maria Carla Italia, della Consulta comunale contro il gioco d’azzardo, garantisce che le istituzioni sono a fianco della società civile in questa battaglia e che i cittadini non sono soli perché ognuno deve fare la sua parte. In arrivo il progetto sulla vetrofania unica da appendere nelle vetrine dei locali senza macchinette e l’organizzazione di una giornata nazionale di riflessione, programmata il 20 maggio, data in cui si festeggia San Bernardino da Siena noto per i suoi sermoni contro il gioco gioco d’azzardo.
I cittadini non sono soli.
A Dominic, rimasto senza lavoro, rimane San Bernardino.
(Giovanna Profumo – santino da Internet) -
OLI 387: COMUNE – L’incomprensibile futuro delle aree agricole
L’agricoltura, di per se stessa, è un attività imprenditoriale. Quindi l’agricoltura come attività sua propria non fa tutela del territorio
Arch. Silvia Capurro Direttore Direzione Urbanistica Comune di GenovaIl 23 ottobre, giornata che ha inaugurato la prima allerta meteo dell’autunno, a Palazzo Tursi si è riunita la V Commissione Consiliare Territorio per discutere di PUC, e presentare le linee guida con cui il Comune intende rispondere alla Valutazione Ambientale Strategica, attraverso la quale la Regione Liguria ha chiesto all’ente di modificare la normativa che concede un indice di edificazione ad uso residenziale svincolato da impegni di attività agricola produttiva (leggasi villette) evidenziando l’esigenza di limitare il consumo di suolo esclusivamente ad attività agricole professionali.
Ad assistere al dibattito un gruppo di preoccupati contadini e cittadini, in ascetico silenzio – la natura favorisce l’approccio zen anche delle questioni più spinose.
Forte la difficoltà di adattare il linguaggio tecnico a quello comune, perché qui si è parlato di legge regionale, emendamenti, iter delle commissioni, tavoli di concertazione e soprattutto è emerso che non c’è un parere condiviso dai soggetti politici presenti in sala rossa su PUC e VAS, anche nella stessa maggioranza.
Inizialmente è stato difficile persino chiarire se la Valutazione Ambientale Strategica della Regione Liguria fosse o non fosse vincolante per il PUC e se quelle fatte sino ad oggi fossero controdeduzioni del Comune o adeguamenti alla VAS.
Il Vicesindaco Bernini che non ama esser servo di nessuno, tanto meno della Regione ha precisato che oggetto della discussione erano le controdeduzioni ad osservazioni su un provvedimento della giunta regionale che, per fortuna, vista la delicatezza della situazione ligure – che prevede il vincolo dei comuni a seguire queste osservazioni – ha inserito, la Giunta Regionale stessa, la via d’uscita rispetto a conflitti che potrebbero esserci, cioè l’istituzione dei tavoli tecnici.
E da lì per Bernini bisogna partire, dalla dialettica che c’è in questi tavoli.
(Silvia Capurro e Stefano Bernini) Supportati dalla competenza di dirigenti e funzionari dei vari settori del Comune i componenti politici della Commissione hanno potuto fare tesoro delle risorse dell’ente. Anche se la vischiosità del linguaggio tecnico è stato talvolta uno scoglio insormontabile.
Silvia Capurro ha chiarito che le aree al di là della linea verde sono state classificate, dal piano regolatore adottato, tutte come aree agricole, su tutte le aree agricole possono intervenire in primis gli operatori agricoli professionali, dopodiché ci sono i cosiddetti presidi ambientali dove possono operare anche operatori agricoli non professionali.
Ma chi controlla che il presidio ambientale venga fatto con la dovuta attenzione? Quali le sanzioni? Non esiste il rischio che costruita la villetta, in assenza di norme il territorio circostante venga abbandonato al suo destino tradendo il patto?
Inoltre appare evidente che questa strada inciderà sul costo delle terre a svantaggio di chi a Genova crede si possa investire e incentivare il chilometro zero e la produzione agricola.
Ma il 23 ottobre si è anche capito inoltre che sul territorio comunale le serre tradizionali, di fatto, non sono un’esigenza sentita dal settore produttivo. Non se ne prevede lo sviluppo e andrà promosso il recupero dei territori delle serre dismesse.
Nella patria del basilico succede anche questo
(Giovanna Profumo – foto dell’autrice) -
OLI 386 – G8 DI GENOVA: Per non archiviare Carlo
Giuseppe Filetto l’immagine simbolo di quei giorni di luglio non l’ha più voluta guardare. Ha cercato di non soffermarcisi, passando oltre. E’ la fotografia di Carlo Giuliani ammazzato, la scena che si è ritrovato davanti lui, quando, con due medici, è arrivato in piazza Alimonda . Filetto per fare il suo mestiere di giornalista si era travestito da infermiere della croce rossa ed aveva girato su un’auto medica per tutto il giorno.
Quella, ha spiegato, è la foto “della cronaca di una morte annunciata, iniziata la mattina del 20, alle undici circa. Eravamo in Piazza Paolo da Novi e abbiamo visto che una ventina, una trentina di giovani avevano iniziato smontare le impalcature di un cantiere edile, a smontare le inferriate di un’aiuola, a riempire gli zaini di pietre, e dall’altra parte della piazza c’erano un centinaio, forse più, di carabinieri, polizia che guardavano e non intervenivano e ci chiedevamo per quale motivo stesse succedendo questo. Poi lo abbiamo capito al pomeriggio, dopo le 17.25, perché stava succedendo questo. L’abbiamo capito quando poi il corteo dei Cobas è stato invece caricato, mentre venti giovani che smontano le impalcature non vengono minimamente disturbati, poi un corteo dei Cobas viene caricato un’ora dopo”.
Inquadrature, testimonianze, filmati, atti, vengono rievocati per ricostruire la trama della tragedia che ha segnato l’apice dell’assedio di Genova sotto il G8. E sono raccontati ai genovesi che il 3 ottobre, al Centro documentazione Carlo Giuliani, sono venuti per la presentazione del libro “Non si archivia un omicidio”, scritto da Giuliano, padre del ragazzo. Scritto perché la foto della cronaca non si può archiviare e per restituire al figlio “attraverso tutta la documentazione, la verità”.
Un libro per denunciare “le singole persone” e la logica che non ha voluto celebrare il processo, una logica determinata “dal voler togliere da mezzo la cosa più grave accaduta in quei giorni e cioè l’uccisione di un ragazzo”.
Giuliani descrive un clima, individua le responsabilità di chi era in piazza Alimonda racconta di pubblici ministeri che non hanno fatto il loro dovere, chiedendo l’archiviazione sulla base di una consulenza che sosteneva “l’invenzione” dello “sparo per aria” “che ha incrementato il giudizio di legittima difesa”. Ma ci si chiede anche perché Placanica, già stordito dai lacrimogeni viene fatto salire sulla camionetta e portato in giro per Genova armato.
Parallele a piazza Alimonda e alla morte di Carlo corrono altre vicende giudiziarie del G8 come la Diaz – per la quale ci sono voluti otto anni prima che Michelangelo Fournier dichiarasse che si era trattato di “macelleria messicana” – ma che è arrivata a sentenza, grazie a pubblici ministeri adeguati e alla prova regina, “un filmatino di quindici secondi che mostra” i rappresentanti delle forze dell’ordine con le molotov, il falso in atto, moltov per le quali le vittime della Diaz si sarebbero prese “oltre alle botte” anche quattordici anni di carcere, per terrorismo.
“Non si archivia un omicidio” dice il padre di Carlo è un libro che “può servire ai pigri” che allora si sono fermati a quanto raccontato in televisione e che oggi vogliono andare oltre. Ma è anche un libro che si rivolge a chi, in questa Italia tragica e desolante, vuole fare della legge la propria professione.
(Giovanna Profumo – immagine da internet) -
CARTOLINE DI OLI: Festa Democratica – Dammi Letta
L’ultimo avamposto del passato resiste deserto sotto il ponte della sopraelevata: è il chiosco del quotidiano l’Unità.
L’evoluzione della Festa, negli anni, ha registrato continue svolte a destra, partendo dal nome – Unità appunto, mal tollerato dagli ex democristiani, ma rivendicato oggi come baluardo di larghe pacificazioni – per affondare sui contenuti, sino a quello che viene dato oggi a simpatizzanti ed elettori del Pd, un partito che è tutto e il contrario di tutto, dove tutto può accadere ma che ha chiuso definitivamente con la propria componente di sinistra.
A testimoniare i diritti, per salvare il salvabile, il ministro Cécile Kienge, la faccia migliore e più autentica di questa festa di governo, alla quale bisognerà prima o poi offrire fatti concreti con leggi vere, votate, applicabili, per essere credibili.
Il resto lo difende Enrico Letta, alla Festa Democratica Nazionale il 30 agosto a Genova, davanti ad una numerosa platea di anziani militanti, entusiasti e tolleranti con i dirigenti del Pd solo come i pazienti genitori sanno esserlo con i figli.
Di riforma costituzionale e modifica di Camera e Senato parla il nipote di Gianni Letta che prospetta un’unica Camera che faccia le leggi e che dia la fiducia, con la metà del numero di parlamentari di oggi, un Senato composto esclusivamente da rappresentanti dei sindaci e delle regioni, non persone nuovamente elette, ma come Marco Doria o Claudio Burlando… persone, dice il primo ministro, che controllino dal punto “di vista del federalismo” che cosa fanno parlamento e governo. Il tutto annaffiato dauna solida legge elettorale, affinché accada come in Francia e Spagna che quando si vota poi si governa, per quattro o cinque anni. L’estero, è evidente, non viene citato per altre cose – conflitto di interessi, leggi ad personam, sentenze della magistratura – altrimenti le larghe intese si stringerebbero attorno al collo del primo ministro che ancora non sa e non può sapere che fine farà il suo governo. Il resto è un inno alla moderazione, al sacrificio e alla pacatezza in una situazione straordinaria di larghe intese che Letta dice di guidare nell’ottica di un progetto paese che vedrà in futuro la vittoria dell’area riformista.
Alla Festa di Genova va in onda la difesa d’ufficio di riforma dell’Imu e di Service Tax in nome dell’equità e della progressività, in nome del federalismo – ma non era caro alla Lega? – e dell’autonomia dei Comuni sulla base del principio vedo, pago, voto elemento essenziale del rapporto tra cittadino e sindaco, attraverso il quale il governo si deresponsabilizza totalmente, accollando sadicamente sulle spalle dei sindaci italiani tutte le responsibilità di scelte fiscali indispensabili per far funzionare le città.
Sarà la componente cattolica del primo ministro ad averlo condotto in un sentiero degno di Ponzio Pilato?
L’Europa si affaccia alla festa nazionale del Pd con la presenza dei segretari del Partito Socialista Francese Désir e del Partito Socialista Operaio Spagnolo Rubalcaba. Ma si affaccia soltanto, per rimanere incomprensibile a molti militanti, perché nessuno, alla festa nazionale del Pd, traduce i loro lunghi discorsi.
C’è chi tra gli interventi dei due segretari stranieri coglie un “compagno Letta” e scoppia in una risata.
Letta comunista?
A sinistra si è liberata una prateria.
( Giovanna Profumo – foto dell’autrice) -
OLI 385: CITTA’ – Il terzo settore si mette in piazza
Il presidio organizzato giovedì 11 luglio alle 13.30 davanti a palazzo Tursi è molto partecipato. Il volantino è chiaro mettiamo in piazza il sociale, a rischio i servizi per i minori e le famiglie della città e tutti i servizi pubblici.
Un tratto di via Garbaldi è puntellato da disegni e striscioni colorati, davanti al Comune molti operatori, donne, uomini e giovani.
Che il terzo settore stia pagando un prezzo altissimo per le scelte economiche di governi passati e presenti è faccenda nota e, con cadenza praticamente annuale, anche a Genova ha dovuto testimoniare il gioco al ribasso, con riduzione di servizi e risorse.
Stupisce la pacatezza, l’infinita pazienza dei propri addetti che solo nel Comune di Genova sono più di mille – spiega Alessandro Frega, vicepresidente della Lega delle Cooperative – con oltre diecimila assistiti e oltre duecento lavoratori a rischio. Oggi come ieri si parla di tagli ed essere qui, per presidiare il Consiglio comunale serve a capire se quei tagli, che sarebbero già operativi, possono essere arginanti inserendo nuove risorse sul capitolo di spesa. Nella polemica che ha coinvolto l’assessore ai servizi sociali, Frega non entra. Ma precisa che probabilmente Paola Dameri ha dovuto scontare l’inesperienza con la mancanza di risorse.
Sono diversi anni che conviviamo con questa preoccupazione: non riuscire a progettare nulla, dice Franco Guariniello della cooperativa L’Altro Sole, una trentina di persone che si occupano principalmente di trasporto disabili. Si vive con un orizzonte di due mesi, tre mesi, con tempi ridotti che cozzano con l’esigenza di programmare. Non c’è futuro, ci si sente sempre precari.
Rosario Giuliano della Cooperativa Lanza del Vasto spiega che il buco del bilancio preventivo che si prospetta quest’anno viene coperto tagliano il 4% dei costi generali della struttura comunale, il 2% dei costi con cui il Comune ripiana le perdite delle partecipate e con il 40% dei servizi alla persona. Se si rimettesse in discussione questo principio? Suggerisce di azzerare tutto analizzando le risorse disponibili, rimettendo in discussione lo status quo intervenendo sulle inefficienze organizzative che si possono ridiscutere. Parla di trasporto urbano fondato sul no profit e della necessità di un pensiero politico, all’interno del quale tutti possiamo essere chiamati a rimetterci in discussione, c’è bisogno di una visione complessiva, in assenza della quale rimane solo il pensiero tecnocratico. Tu non puoi pensare che un Comune che dedica il 90% delle proprie risorse a mantenere se stesso sia capace di autoriformarsi da questo punto di vista. E il rischio è una timidezza della politica e un larghissimo spazio alla tecnocrazia: chi fa i bilanci non è molto entusiasta di tagliare se stesso.
Sotto il porticato di Tursi un lui e una lei, giovanissimi, spiegano che il campo del sociale sempre di più manifesta un’esigenza di fondi, in una società in cui ci sono obbiettivi troppo consumistici, lei dice che tagliare è davvero paradossale, ma non ha mai partecipato a qualcosa di più politico per pensare come dirigere i fondi.. Lui ad una valutazione sull’operato della giunta presente e passata risponde: non ho seguito fino a questo punto le questioni, mi occupo di altro nella vita e la questione politica la lascio a chi approfondisce queste tematiche.
Tra i molti punti della proposta di delibera del consiglio comunale emerge l’intenzione per la predisposizione del bilancio comunale 2013 che sia evitata la contrazione delle risorse destinate al welfare attraverso l’analisi di fattibilità di piani di riorientamento di risorse a favore dei servizi sociali.
(Giovanna Profumo – immagini dell’autrice)










