Categoria: Paola Pierantoni

  • OLI 275: LETTERE – Oscenità al Tg3

    Ieri 24 ottobre poco dopo le 19, mentre cucinavo, stavo ascoltando il Tg3, ed ecco che mi raggiunge la voce di questo Misseri che descrive i dettagli dell’omicidio in cui è coinvolto.
    La redazione del Tg3 aveva deciso di fare ascoltare a tutti noi la deposizione di questo disgraziato sul fatto terribile che tutti sappiamo.
    Subito dopo lo stesso Tg3 rendeva criticamente conto del “turismo dell’orrore” che si sta svolgendo dalle parti di Avetrana.
    Questa – io trovo – è una cosa oscena, che taglia alla radice il diritto di prendersela con gli altri, i Fede, e i Vespa con i loro modellini.
    Se la differenza è solo nella quantità (quegli altri ci sguazzano di più, e più a lungo), è una differenza piccola piccola. La sostanza si equivale.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 274: SOCIETA’ – Comunicazione umana ad alta densità

    Interessanti, gli autobus.
    A volte la densità raggiunge il massimo possibile in termini fisici. A quanto si può arrivare? A molto. Autobus numero 18, ore 11, direzione levante: le persone (contate) compresse nello spazio compreso tra le porte di uscita e la parete opposta sono sedici, per una superficie di poco più di 2 metri quadri. Calcolando una media di sessanta Kg. a persona, si arriva ad una densità di 426 Kg. di carne per metro quadro, dodici volte più di quella di un allevamento intensivio di polli broiler. Per gli umani questo è possibile perché si sviluppano più verticalmente dei polli. Pensate che affari si potrebbero fare …
    Bene, in queste condizioni si genera una situazione di immobilizzo anche emotivo, non c’è nemmeno la possibilità di litigare con i compagni di viaggio, e ognuno adotta la propria personale pratica zen.
    Ma quando la densità, pur restando elevatissima, consente potenzialmente qualche movimento, ecco che si innesca la conflittualità: nessuno perdona al prossimo di non utilizzare i suoi reali o supposti spazi di libertà. Di nuovo sul 18, ore 12, questa volta direzione ponente. Sull’autobus già molto pieno sale un gruppo di sei / sette ragazzi sui quindici anni, e porta la densità al livello critico. In più i ragazzi sono ragazzi, molto più interessati a stare vicini tra di loro per scherzare, che a procedere razionalmente verso le uscite, per non creare un blocco umano al centro dell’autobus.
    Inziano gli scambi. Una anziana signora invoca:
    “Su ragazzi muovetevi … “
    Nulla succede, e poco dopo:
    “Devo passare, andate avanti, muovetevi!”
    “Ma non rompere …”
    “Ma dove le impari queste cose?”
    “A casa e a scuola”
    “Bella casa e scuola che hai … mi spavento per il mio futuro”
    “Il tuo futuro? Quale futuro?”,
    “Il mio futuro: io sono vecchia, e siete voi il mio futuro. E allora dico: guarda che bel futuro che mi aspetta”
    “E io dico: guarda che bel presente che abbiamo”.
    Si crea nell’autobus un momento di sospensione. L’aggressività svapora. Qualcuno commenta “Beh, accidenti, ha ragione …”
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 274: ALIMENTAZIONE – La forza dei paradossi

    Un capitolo di “Se niente importa”, il libro di Safran Foer sugli allevamenti intensivi, si intitola: “In difesa della cinofagia”. L’autore osserva che negli Stati Uniti “mangiare il migliore amico dell’uomo è un tabù come lo è mangiare il proprio migliore amico umano”. Però aggiunge che “i maiali sono altrettanto intelligenti e sensibili in tutto e per tutto, secondo ogni ragionevole definizione dei termini. Non possono saltare nel bagagliaio della Volvo, ma sono capaci di riportare oggetti, correre e giocare, fare i dispetti e ricambiare affetto”.
    Foer si dedica a smontare le razionalizzazioni che supportano il nostro tabù del mangiare cani o gatti.
    Se si vuole porre lo sbarramento sul non mangiare gli animali da compagnia, la controdeduzione è che, laddove vengono mangiati, i cani non sono animali da compagnia. Se lo si vuole porre sul non mangiare animali con capacità mentali ragguardevoli , Foer controbatte che molti altri animali lo sono: il già citato maiale, ma anche le mucche, gli asini o i polli (conoscerli intimamente per convincersi: da ragazzina mi avevano regalato una bianca gallina livornese che mi correva incontro e mi saltava sulle spalle quando tornavo da scuola), nonché diversi animali marini (molti pescatori subacquei vi diranno della loro particolare difficoltà ad uccidere un polpo).
    Del resto, sottolinea malignamente Foer, ce li mangiamo già, i cani e i gatti perché diventano “cibo per il nostro cibo”: un processo industriale chiamato rendering permette di riciclare le proteine animali inadatte alla alimentazione umana facendone mangimi per il bestiame, e così finiscono cani e gatti soppressi nei centri di ricerca.
    L’impegno di Foer a sbarrarci tutte le possibili le vie di uscita ha lo scopo di condurci alla osservazione conclusiva del capitolo: “Se hai difficoltà a vedere qualcosa, discosta un po’ lo sguardo … Mangiare gli animali ha un che di invisibile. Pensare ai cani, rispetto agli animali che mangiamo, è un modo per guardare di sbieco e rendere visibile l’invisibile”
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 273: SICUREZZA SUL LAVORO – Dietro il velo della ipocrisia

    OLI ha deciso di pubblicare l’appello lanciato da Marco Bazzoni per il ritiro della campagna del Ministero del lavoro Sicurezza sul lavoro “La pretende chi si vuole bene”, serie di spot zuccherosi che colpevolizzano i lavoratori lanciata mentre il governo sta facendo a pezzi il Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro.
    Un esempio di cui non si ha quasi traccia sui giornali? L’art. 12 del Disegno di Legge 2243 “Disposizioni in materia di semplificazione dei rapporti della Pubblica Amministrazione con cittadini e imprese”, in discussione alla Camera, prevede:

    • l’obbligo di denunciare solo gli infortuni con prognosi superiore ai 14 giorni (oggi il limite è tre giorni);
    • la cessazione dell’obbligo di segnalare alla autorità giudiziaria le lesioni con prognosi superiore ai 30 giorni;
    • l’eliminazione dell’obbligo delle aziende di tenere il “Registro degli infortuni”.

    Aris Capra, responsabile dello Sportello sicurezza della Camera del lavoro di Genova, ci fornisce dei dati interessanti: in Liguria nel 2008 gli infortuni da 4 a 14 giorni (quelli che come per magia scomparirebbero) sono stati 7804, il 38,2% di tutti gli infortuni riconosciuti. C’è bisogno di spiegare che la denuncia agli enti competenti di tutti gli infortuni ha una grande importanza per inquadrare la complessiva situazione di insicurezza di una azienda, e quindi per prevenirne il ripetersi, e il verificarsi di casi più gravi? C’è bisogno di spiegare che il registro degli infortuni, a disposizione degli organi competenti e del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, è un fondamentale strumento di controllo e di prevenzione? Non crediamo che ce ne sia bisogno: dietro a queste norme “semplificatrici” non c’è ignoranza, ma calcolo e malafede. Sarebbe bene che gli organi di informazione dessero il loro contributo per stracciare il velo di ipocrisia governativo e farci vedere cosa c’è dietro.
    Lo fanno Il Fatto Quotidiano del 6 ottobre e L’Unità dell’11 ottobre, con diversi articoli raccolti sotto il titolo: La sicurezza sul lavoro è uno spot «vergogna». L’appello: venga ritirato. Ma sono casi isolati. Sulla nostra stampa locale riusciamo a rintracciare solo l’intervento di Antonio Perziano, segretario della Camera del lavoro, nella rubrica “Punti di vista” de Il Secolo XIX del 6 ottobre. Ci è sfuggito qualcosa?
    Prima di lasciare la parola all’appello, una piccola nota che prendiamo da Il Fatto Quotidiano dello scorso 21 agosto: “Marco Bazzoni è un lavoratore di 36 anni. Da 16 fa l’operaio in una fabbrica di Firenze che produce frantoi, presse per il settore enologico. I suoi compagni di lavoro dal 2003 lo hanno nominato Rls (Responsabile [Rappresentante, ndr] dei lavoratori per la sicurezza). Da allora è diventato un vero esperto in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Non c’è redazione di giornale o direttore che sfugga alle sue mail, ai suoi comunicati. Scrive a tutti”.
    Lui scrive a tutti, ma i “tutti”, a quanto pare, fanno orecchie da mercante.

    (Paola Pierantoni)

  • OLI 272: ALIMENTAZIONE – Quanta sofferenza sei disposto ad accettare?

    Quanta sofferenza sei disposto ad accettare per il tuo cibo? Questa è la domanda di fondo che pone Frank Reeze, allevatore americano di polli e tacchini, uno degli ultimi avicoltori indipendenti  in un mercato zootecnico dominato al 99 % dall’allevamento intensivo (in “Se niente importa”  di Safran Foeer – Ed. Guanda). 
    Una domanda che chiama in gioco nello stesso tempo i grandi interessi economici e la nostra etica individuale (in “Se niente importa”  di Safran Foer – Ed. Guanda).
    Dice Reeze “La gente è ormai lontanissima dagli animali che mangia”, e questi “Hanno pagato caro il nostro desiderio di avere tutto in qualunque momento ad un prezzo irrisorio”. Un tacchino, un pollo, una gallina ovaiola industriali “non possono camminare normalmente, non parliamo di saltare o di volare”.  Condizioni di allevamento, tipo di alimentazione, e una “grottesca” manipolazione genetica rendono impossibile la loro sopravvivenza in condizioni normali. Osserva l’allevatore: “Quello che l’industria ha capito – ed è stata questa la vera rivoluzione – è che non ti servono animali sani per fare profitto. Gli animali malati sono molto più redditizi”.
    Safran Foer cita i dati di questa perversione moderna: “Dal 1935 al 1995 il peso medio dei broiler (polli allevati per produrre soprattutto il petto) è aumentato del 65 %, mentre il tempo per immetterli nel mercato è calato del 60 %, e il loro fabbisogno di cibo è diminuito del 57 %”. Per cogliere la radicalità di questo cambiamento, dice, dobbiamo immaginare un bambino  che a dieci anni arrivi a pesare 150 Kg. mangiando solo barrette di cereali ed integratori vitaminici.
    E’ stato negli anni ’50 e ’60 che le aziende avicole hanno iniziato a procedere “alla integrazione verticale della filiera produttiva” , e che un’attività economica “un tempo dominata dalle donne”  è transitata in mano ai maschi, mentre i pollicoltori esperti sono stati sostituiti da dipendenti stipendiati.  “Non ci fu un colpo di pistola a segnare l’inizio della corsa verso il basso. Il terreno si inclinò e tutti scivolarono giù”.
    L’allevatore Reeze elenca:  “Un quarto dei polli ha fratture da stress. E’ sbagliato. Sono così stipati uno addosso all’altro che non riescono a evacuare il loro escrementi e non vedono mai il sole. Gli artigli crescono intorno alle sbarre delle gabbe. E’ sbagliato. Sentono la macellazione. E’ sbagliato.” Aggiunge di credere cha alla gente importi degli animali, ma “non vogliono sapere o pagare”, e l’industria fa di tutto perché continuino a non sapere.
    E qui torna la domanda: che succede da noi? Digitando “broiler” su Google, di informazioni se ne trovano, ad esempio che la densità dei broiler negli allevamenti si aggira sui 30 kg. per metro quadro (dai 16 ai 34 animali, a seconda del peso), che in Italia il mercato è dominato da due aziende, l’AIA del Gruppo Veronesi e l’Amadori, con dettagli su quel che vi avviene, che l’allevamento naturale o biologico (dove la U.E.  fissa in tre polli la densità per metro quadro) copre solo lo 0,7 % del mercato.   
    Ma quanti cittadini si mettono a digitare “broiler” su Google prima di andare a fare la spesa?
    Non intravvedete un compito mancato degli organi di informazione?
    Link:
    (Paola Pierantoni)
  • OLI 272: TRASPORTI – Rain

    Venerdì 1 ottobre, impossibile negarlo, è stata una giornata umida, colpita verso le dieci del mattino perfino da una pioggia sottile durata un’ora o poco più. Come capite, una situazione allarmante. Nulla di più naturale, quindi, del vedere scorrere sul tabellone luminoso di Largo Zecca l’avviso della AMT “Date le condizioni meteo la regolarità del servizio non è garantita”.
    Dubbio: si tratta di una capacità paranormale di AMT che ha previsto l’alluvione con tre giorni di anticipo, oppure (più probabile) del vizio irritante di nascondere le proprie inefficienze dietro a scuse inconsistenti? Quell’umido venerdì infatti il servizio era mal garantito come al solito, lo scontro all’arma bianca per riuscire a salire sul 18 non è stato diverso da quello che si ingaggia normalmente nelle mattinate di sole.
    (Paola Pierantoni)

    OLI 272: SOMMARIO

  • OLI 271: INFORMAZIONE: Se nulla importa

    Jonathan Safran Foer, autore di Ogni cosa è illuminta e di Molto forte, incredibilmente vicino, è un giovane e notevole scrittore americano, che, dopo il suo grande successo internazionale, ha deciso di dedicare tre anni – tre anni sono molti – per svolgere una inchiesta e per scrivere un libro sull’allevamento industriale degli animali.
    Il titolo originale del libro è Eating Animals, diventato – nella edizione italiana – Se niente importa (Guanda, febbraio 2010, 18 €). Il fenomeno narrato è la drammatica esplosione dell’allevamento intensivo di polli, tacchini, maiali e bovini nella produzione di carne, uova, latte negli Stati Uniti dove, documenta Foer, la zootecnia industriale occupa oggi il 99% del mercato, mentre gli allevatori familiari o artigianali sono ridotti ad una quota residuale. Sessanta pagine di note e bibliografia, decine di interviste che includono colloqui approfonditi con lavoratori del settore, molte visite di persona ufficiali e clandestine agli allevamenti documentano nel dettaglio questa realtà produttiva, e le sue conseguenze.
    Osserva Foer “L’industria zootecnica esercita la propria influenza politica sapendo che il proprio modello di business dipende dal fatto che i consumatori non hanno la possibilità di vedere o sentire”. Le cose che documenta lo scrittore americano sono infatti strazianti, intollerabili, se guardiamo al prezzo richiesto in termini di sofferenza degli animali sia nel corso della vita che durante la macellazione. Ed estremamente preoccupanti se si guarda alle conseguenze in termini di impatto ambientale, di salute per i consumatori, e di condizioni psico-fisiche per i lavoratori.
    E qui veniamo a casa nostra. Al momento della uscita del libro i giornali ne hanno parlato, hanno riportato stralci dal libro, hanno intervistato l’autore (La Repubblica del 19/02/2010; Il Corriere della Sera del 3/3/2010; Liberazione del 8/3/2010 … ), ma in nessuno degli articoli viene introdotta la questione di cosa avvenga qui da noi, in Italia e in Europa. Magari nella UE c’è qualche regola in più, magari le cose vanno un po’ meglio, ma non mi risulta (mi sbaglio?) che i grandi organi di informazione abbiano preso dal libro di Foer lo spunto per avviare una propria attività di inchiesta su questo tema. L’argomento resta così circoscritto in un confine esotico e lontano, che non ci tocca davvero. Materia letteraria, quindi, e non politica.
    Eppure l’argomento meriterebbe tutta l’attenzione possibile perché tocca trasversalmente i territori della economia, del mercato, della informazione, della salute, della ecologia, della etica. Perché solleva la questione del rapporto tra scelte individuali e logiche di mercato. Perché l’informazione è la chiave di volta per rompere il muro di mistificazione e silenzio che ci rende passivamente complici di una delle grandi perversioni del nostro tempo.
    (Paola Pierantoni)

    Link:
    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/02/19/chiedetevi-perche-mangiamo-gli-animali.html
    http://www.liberazione.it/rubrica-file/637766631.htm
    http://www.corriere.it/animali/10_marzo_03/jonathan-safran-foer-consumo-carne-allevamenti-intensivi_a142bbfe-26dc-11df-b168-001

  • OLI 271: AMBIENTE – Diritti dell’uomo a dimensione balneare

    “Gli ombrelloni sulla spiaggia sono a disposizione gratuitamente”: della scelta del Comune di Raches sull’isola di Ikaria (Grecia) avevamo già parlato lo scorso anno (vedi Oli 235).
    Quest’anno l’ombrellone gratuito c’era ancora e torniamo a parlarne perché il fatto è stupefacente e commovente per noi visitatori italiani, abituati alle aree confinate delle nostre spiagge “libere”, alle controversie sulla definizione di battigia e sul diritto a metterci l’asciugamano o solo a passarci, alle vicende dei bagnanti che si fanno accompagnare dai carabinieri per accedere al mare, alla tassa di ingresso che ci tocca pagare per entrare in una spiaggia se non vogliamo innescare un conflitto coi gestori .

    Il cartello che accompagna l’avviso del comune ikariota recita: “Non è permessa a terzi alcuna iniziativa economica all’interno dei confini delle spiagge che devono essere interamente libere a disposizione di qualunque persona, che sia o meno nostro cittadino”, e preannuncia provvedimenti di esproprio per gli eventuali contravventori. Una specie di dichiarazione dei diritti dell’uomo a dimensione balneare.
    La cosa interessante è il cambiamento radicale che un provvedimento come questo determina nel paesaggio e nella qualità dello stare al mare: nessuna recinzione, l’arenile lasciato libero anziché essere colonizzato da file di sdraio ben stipate per il maggior guadagno, assenza di musiche ossessive, la spiaggia restituita alla sua identità: è quella spiaggia, su quel mare, con quel paesaggio che nessuna sovrastruttura ti impedisce di contemplare, con quei suoni che nessuna musica ti impedisce di sentire, per cui ti dici che valeva la pena fare tanti chilometri per andare proprio lì. Altrimenti …

    La decisione dell’ombrellone gratuito per l’amministrazione comunale di Raxes, comunque, è stata tutt’altro che pacifica ed è a rischio. Gli interessi premono. Le elezioni comunali sono alle porte e su questo ci sarà battaglia.
    Chissà come andrà a finire. Certo che un po’ servirebbe anche a noi, pur così lontani, che vincesse il partito della spiaggia libera e gratuita. Abbiamo fame di buoni esempi, anche a distanza. 
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 270: CITTA’ – Dal Drop in al Drop out

    La prima volta è stata più o meno due mesi fa: entrata col sacchetto della spazzatura in mano nell’”isola ecologica” di Vico dei Fregoso (che avevamo magnificato in Oli … ) mi accorgo improvvisamente che tra un cassonetto della spazzatura e l’altro, seduti per terra, ci sono tre o quattro ragazzi. Faccio un passo indietro, imbarazzata, non dico loro nulla e rapidamente me ne vado. Ma cosa ci fanno, per terra, tra i rifiuti, dei ventenni, maschi e femmine? Possibile che al degrado non ci sia limite? Ne parlo con conoscenti che abitano in centro storico, meno ingenui di me, che mi dicono che si tratta di droga. Le isole ecologiche in centro storico, non solo dietro Via del Campo, ma anche alle Vigne e altrove, sono diventate il luogo più appartato e sicuro per “farsi”, e per scambiarsi le dosi. In qualche caso sono anche diventate luoghi di prostituzione, sempre legata al mercato della droga. Il fenomeno è in intensificazione, e ormai due volte su tre quando vado a depositare la spazzatura c’è l’incontro, si fa per dire, con questi gruppetti di ragazzi. Alcune operatrici dell’Amiu a cui chiedo notizie in proposito mi guardano sconsolate, e mi dicono di avere già da tempo segnalato questo problema, senza che finora nessuno sia intervenuto.

    Diciamo che non è una cosa accettabile, né per gli abitanti, né per chi lavora all’Amiu. E nemmeno per i ragazzi ammucchiati per terra, tra lo sporco e la puzza. Chissà quando qualcuno vorrà occuparsene.
    Mi viene in mente il progetto di aprire nella zona del “Ghetto” il Drop in La Boa: ne parlammo su Oli 242 del 16 dicembre 2009. Si trattava di un “Luogo di accoglienza per tossicodipendenti che vivono in strada con pochi o nulli contatti con servizi pubblici o del privato sociale specializzati sulle dipendenze patologiche.” A seguire c’era stato il solito coro di ostilità e polemiche, più o meno pilotate, per contrastare un progetto che “avrebbe portato un degrado nel quartiere” (sic!). Dopo di che silenzio.
    Nel frattempo il quartiere è stato dotato del nuovo servizio “Drop out” dell’isola ecologica.

    (Paola Pierantoni)

  • OLI 269: INFORMAZIONE – L’adesione acritica ad uno stereotipo

    Su Repubblica di lunedì 6 luglio compare la fotografia che vedete. L’articolo parla della conquista, da parte delle aziende produttrici, del mercato alimentare delle persone di religione islamica. Un mercato interessante – dice l’articolo – perché riguarda “più di un milione e mezzo di consumatori che vivono in Italia”.

    Le aziende “che sposano i principi dei prodotti halal (cioè leciti)” e che si dotato del marchio “Halal – Italia”, sono sempre più numerose, e tentano di arrivare per questa via anche ai mercati asiatici.

    Domanda a Repubblica: in base a quale criterio invece di una immagine di mercato, o di scaffali di un grande magazzino che espongono prodotti halal, la redazione ha deciso di corredare questo articolo con l’immagine di una donna completamente velata?
    Sembrerebbe un’adesione acritica, comoda e irresponsabile ad uno stereotipo senza fondamento. Infatti il Corano non prescrive questo tipo di abbigliamento che ha origine in tradizioni culturali patriarcali, che persistono in aree culturali e geografiche limitate e che sono state fatte proprie da correnti molto minoritarie dell’interpretazione islamica. Non solo: moltissimi musulmani e musulmane ritengono che il Corano non prescriva affatto il velo, anche nella forma del fazzoletto in testa, e si comportano di conseguenza.
    C’è una grande responsabilità dei mezzi di informazione nella costruzione del “senso comune”, e in questo i messaggi impliciti hanno un potere anche più grande di quelli espliciti. E’ grave che anche un giornale come Repubblica si faccia portatore di pregiudizi culturali. Davvero non ne abbiamo bisogno
    Consigliamo la lettura di “Oltre il velo” di Leila Ahmed, La nuova Italia 1995.

    (Paola Pierantoni)