Categoria: Paola Pierantoni

  • OLI 342: ELEZIONI – Cronache da un seggio

    Giorni immediatamente precedenti alle elezioni, volantinaggio a Cornigliano e San Teodoro per sostenere un’amica candidata. Il preavviso dell’astensionismo prossimo venturo è molto chiaro: sono tante le persone che ci dicono che non voteranno. Sono quartieri popolari, un tempo si sarebbe potuto dire operai. A Cornigliano c’è un piccolo mercato e incontriamo soprattutto donne. I loro sguardi trasmettono delusione e rassegnazione e annunciano una protesta che ha il tono della rinuncia. Con qualche persona si riesce a parlare un po’ più a lungo, si cerca di dare valore a questo diritto del voto, che le donne hanno da così poco tempo, che gli immigrati non hanno, che non va buttato alle ortiche, ma quando ci si congeda, nella maggioranza dei casi, sentiamo che le nostre parole non hanno lasciato traccia. Solo in qualche raro caso ci pare che qualcosa si sia spostato, ma chissà.
    Giorni di voto, rappresentante di lista in due seggi del Lagaccio. Le persone arrivano col contagocce: l’astensione va in scena. Uno dei due è un seggio “tradizionale”, con un presidente sperimentato da anni e scrutatori di vecchia guardia. Il piglio del presidente è direttivo, non ammette consigli e interferenze, ma alla fine lo lascerò alle prese con un conteggio che non torna … L’altro è un seggio di ragazzi, tutti giovanissimi, dal presidente agli scrutatori. Qui il clima è allegro, le appartenenze politiche non vengono in superficie, e anche quando sono dichiarate, come quella del giovanissimo rappresentante della lega, sono vissute in leggerezza: sarà la giovane età, sarà un buon carattere, ma il ragazzo si rivolge a me, anziana signora con spilla della lista Doria sorridendomi con spontaneità, senza tensioni. Ricambio. In fase di scrutinio ci scambieremo informazioni. Lo scrutinio avviene con lo stile del lavoro di gruppo, e finirà prima dell’altro.
    Nel seggio dei ragazzi arriva una anzianissima signora, novanta anni. Tira fuori la fotocopia della carta d’identità, ma il presidente non l’accetta. La signora si siede su una sedia e per mezz’ora apre e chiude le cerniere della borsetta e del portafoglio alla ricerca di quello che non c’è. Non si dà pace. Provo a spezzare una lancia per far accettare la validità della fotocopia, ma non c’è niente da fare, e la signora alla fine se ne riparte. La immagino a mettere sotto sopra la casa, e penso che la giovane età del presidente abbia inferto una ferita superflua. Ma ecco che il giorno dopo ritorna, sventolando la carta d’identità ritrovata. L’accoglie un applauso, anche i ragazzi avevano continuato a pensarci, e questo ritorno è stato per tutti un sollievo.
    Nel seggio accanto, invece, arriva un uomo di trenta anni circa, venuto apposta per rifiutarle, le schede.
    Mentre passo le ore aspettando i radi elettori, mi raggiungono da Atene le telefonate di amici disperati per l’esito elettorale in Grecia. Il giorno dopo un’amica mi invia il link a un video della conferenza stampa del leader del partito neonazista “Alba dorata”: alcune body guards lo precedono e intimano ai giornalisti presenti “Tutti in piedi!”. Solo alcuni abbandonano la sala per protesta. L’amica, a commento, mi scrive: tristezza e paura.
    Vale la pena di guardarlo: fa venire la voglia di andare a votare.

    (Paola Pierantoni)

  • OLI 337: ELEZIONI – Lista Doria, la sfida della partecipazione

    Foto di gruppo delle candidate e candidati della lista Doria

    La lista viene presentata nella piccola sala del punto di incontro in salita Santa Caterina, affollata da giornalisti, simpatizzanti e da cadidate e candidati che si rendono riconoscibili appuntandosi la spilla bianca e arancione “marco Doria X Genova”.
    Il candidato sindaco ne spiega le “particolarità”. La prima è quella più fortemente simbolica: l’elenco è di 39 nomi, non di quaranta. Il quarantesimo candidato non può esserci perché la legge italiana non consente ancora agli immigrati di essere eletti ed elettori. Questa provocazione politica viene applaudita con convinzione, e troverà spazio sulle notizie di stampa del giorno dopo.
    Non trova invece spazio un’altra notazione di Doria, che commentando la forte presenza femminile, il 59 % dei nomi, dice “E’ un dato significativo, ma non è stato difficile ottenerlo, perché in giro ci sono un sacco di donne capaci, in gamba, oneste”. Certo che bisogna cercare dove non si sono già consolidati i meccanismi del potere, con i loro tetti di cristallo.
    I 39 nomi sono allineati in ordine alfabetico perché “Non esistono candidati o candidate più importanti di altri”. Doria, nel parlare, usa con attenzione i generi maschile e femminile. Aggiunge: “Sono tutte persone serie, oneste, competenti, disinteressate. Tutte con una grande passione per l’impegno civile”.
    Tra loro anche una componente storica della redazione di Oli, Eleana Marullo.
    A mia memoria la democrazia dell’alfabeto non è mai stata molto praticata nelle competizioni elettorali, e ci sarà ben un motivo. Ma questa scelta comunica un messaggio che va oltre la materiale concretezza di non favorire la piccola cerchia dei predestinati. Doria lo esplicita dicendo che la sua lista “E’ un tassello di democrazia partecipata. Sono singole e singoli cittadini non in rappresentanza di organizzazioni o associazioni”.
    La sfida ora è garantire un futuro all’esperienza di partecipazione che ha entusiasmato il popolo dei comitati per le primarie di Doria. Tutte le esperienze collettive dopo l’entusiasmo della crescita, del riconoscimento reciproco, incontrano inevitabilmente fasi di crisi, difficoltà nel riconoscere e gestire le differenze interne, nel coniugare partecipazione e democrazia con i ruoli di direzione. Questa è la sfida politica più importante, e più difficile.
    L’intenzione c’è. Doria nel suo brevissimo discorso ha detto che la spinta delle primarie “deve vivere per cinque anni”.
    L’obiettivo, dice Doria, è di “provare a rinnovare un po’ la politica cittadina, dando spazio ad una società civile che rivendicava di avere parola”.
    Ora intenzioni e speranze devono diventare vita vissuta.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 336: COMUNE – Gettoni: una semplice domanda

    La semplice domanda è questa: era necessaria, a fine legislatura, la pazienza di Raffaele Niri per “rivelare” su la Repubblica (vedi articoli dal 13 al 17 marzo) lo scandalo delle fulminee presenze di un bel numero di consiglieri alle commissioni consiliari, giusto il tempo per aver diritto ai 100 euro lordi previsti per questa attività? La giunta, la sindaco, non lo sapevano? Impossibile.
    La cosa non poteva non essere nota, ed è stata tollerata.
    Il caso apre due questioni, una sul piano dell’etica, l’altro su quello dell’organizzazione del lavoro e della funzionalità delle commissioni consiliari.
    Proviamo ad illustrare la questione etica con qualche esempio comparativo. In molti posti di lavoro un minuto di ritardo alla timbratura costa al lavoratore fino a mezz’ora di ferie. Chiunque abbia lavorato in fabbrica da operaio sa che ci si deve presentare alla timbratura d’ingresso già cambiati di abito; all’uscita, al contrario, ci si cambierà solo dopo la timbratura. Per venire ad esempi più moderni, nei call centers i lavoratori devono essere alla loro postazione dieci minuti, un quarto d’ora prima dell’inizio dell’orario effettivo: “Dobbiamo logarci, aprire tutto il programma, controllare le pubblicazioni che giornalmente ci vengono fornite e … dimenticavo: per prima cosa dobbiamo metterci alla ricerca di un posto di lavoro, perchè non ci sono postazioni fisse … alle 8 in punto dobbiamo essere attive e collegate” (*). Sul lavoro si contano i minuti, e a volte i secondi. Sarebbe etico, anzi, normale, farlo anche in Comune, per rispetto dell’Istituzione in cui si è stati eletti, per rispetto degli elettori, per rispetto dei lavoratori.
    Però c’è anche una fondamentale questione di funzionalità: quale è la finalità, il risultato atteso, il contributo dovuto da ogni singolo, in gruppi di lavoro formati da venticinque, trenta persone che partono al gran completo, ma in capo ad un’oretta sono ridotti alla metà o a un terzo delle presenze? Nessuna organizzazione può permettersi una tale irrazionalità.
    Sembra evidente che in queste commissioni alcuni lavorino, gli altri invece vi figurino solo per una formale rappresentanza politica e per totalizzare un guadagno. Sollevare il problema ed aprire uno scontro, evidentemente, non è stato giudicato finora politicamente produttivo o interessante.
    Su la Repubblica del 15 marzo, viene citata la dichiarazione di “uno degli assessori più influenti della Giunta Vincenzi” che – giustamente – considera demagogiche le affermazioni per cui cinque milioni di euro spesi per i lavori delle commissioni consiliari siano da considerare buttati al vento: “Le commissioni fanno parte dei costi della democrazia. L’importante è farne meno e farle tutte utili”. Ineccepibile, ma perché non è stato fatto? Perché per parlarne pubblicamente e scoprire che un problema analogo c’è anche nei municipi, è stata necessaria una campagna di stampa?
    Dedichiamo ai “furbetti” che fanno presenza per un minuto per intascare i 100 euro, il video che segue, frammento della rappresentazone in forma teatrale di “La spiaggia“, in cui viene messo in scena, con ironia, un altro minuto importante: quello che paghi tu se tardi a timbrare all’Ilva, con la trattenuta di mezz’ora di ferie.


    (Paola Pierantoni)
    (*) Da “Idee per un cambiamento – Una ricerca sulle condizioni di lavoro nei call center” – 2007 – Ed. Inail Liguria

  • OLI 336: GENOVA – Appello all’Amiu

    Dunque, la rumenta galleggiante, alias installazione di modern art nella fontana di Via del Campo oggi, dal lontano 3 febbraio,  è ancora lì (vedi OLI 333).
    L’esperimento sta diventando pulp.
    O chiamiamo Peter Greenaway per girarci un film, o la puliamo. Che ne dite?
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 335: ELEZIONI – Il tarlo del dubbio

    L’appuntamento organizzato per l’8 marzo dalle donne di Snoq (Se Non Ora Quando) ha avuto pieno successo di partecipazione, e a Palazzo Ducale si è dovuta sostituire in gran fretta la piccola “Sala Camino” con i più vasti spazi del “Munizioniere”.
    Le organizzatrici intendevano garantire l’interazione più ampia possibile tra pubblico e candidati, ma qui c’è stato invece un serio inciampo. Con un sorteggio casuale le e gli aspiranti sindaco sono stati suddivisi in quattro gruppi di discussione, centrati su quattro diversi argomenti: rappresentanza delle donne nei luoghi decisionali; il lavoro e i lavori; la città a nostra misura; pubblicità, stereotipi e violenza. Da parte sua il pubblico si è distribuito qua e là sulla base delle proprie ‘affinità elettive’, ma anziché un maggiore approfondimento, si è avuta una frammentazione del tutto casuale del confronto.

    Il tentativo di ricucire il tutto in seduta plenaria tramite ‘riassunti’ delle discussioni in gruppo è stato confuso e dispersivo, e sono iniziati gli abbandoni della sala.
    Quando il microfono è tornato nelle mani del pubblico nuovamente riunito, il dibattito ha ripreso vita, ma la gestione troppo rigida dell’interazione col pubblico ha limitato il confronto.
    A peggiorare la situazione per chi non avesse conquistato le prime file, un’acustica punitiva aggravata dal brusio di persone distratte.
    Il tema che ha avuto più spazio anche nel dibattito plenario è stato quello della rappresentanza delle donne nei luoghi decisionali: fino a che punto candidate e candidati intendono impegnarsi su questo punto? Come pensano di riuscirci?
    Stando al Corriere Mercantile del 9 marzo questo è stato un tema di divisione: “Le quote rosa dividono i candidati”. Stando al Secolo XIX invece “Nessuno si è sbilanciato”. La Repubblica, più appropriatamente, osserva che c’è stato un consenso diffuso sull’obiettivo di una pari rappresentanza politica delle donne, e di una loro maggiore presenza nelle aziende partecipate. Solo Giuliana Sanguineti (Partito Comunista dei Lavoratori), e Si Mohamed Kaabour (lista civica ‘Fratelli e fratellastri’ promossa da cittadini italiani di origine straniera), vi hanno anteposto, rispettivamente, l’accesso paritario al lavoro e la diffusione di una cultura del rispetto tra le nuove generazioni.
    Certo, avendo dato forfait sia Vinai che Rixi mancava la destra più a destra.

    Inoltre tra i presenti le diversità di accento erano sensibili: Musso si è limitato a parlare di utilità pro – tempore di “quote” di donne, mentre Doria ha colto il punto politico di una presenza che “Può introdurre un punto di vista diverso rispetto a quelli dominanti”, e Putti (Movimento 5 stelle) ha affermato che “C’è bisogno delle donne per realizzare la nostra visione di città”.
    Meglio soprassedere sui deliri filosofici di Siri e sulla patetica scenetta familiare di Giuseppe Viscardi.
    Tuttavia questa diffusa adesione degli uomini ad un obiettivo potenzialmente destabilizzante mi lascia nel dubbio: non è che, al fondo, consapevole o no, ci sia la convinzione di poter comunque continuare ad interpretare la realtà secondo i propri modelli?
    Le donne discutono da un’infinità di tempo su quanto il loro ingresso nei luoghi del potere possa riuscire a modificarne i meccanismi, o su quanto invece siano loro a modificare se stesse, adottando metodi e riti maschili.
    Per far pendere la bilancia verso un vero cambiamento i numeri sono importanti solo se sono tanto grandi da essere a loro volta destabilizzanti: almeno il 50%, certo, ma anche il 50% non basta.
    (Paola Pierantonifoto di Giovanna Profumo)

  • OLI 334: FARMACI – Il doppio prezzo della sanità veterinaria

    gatti greci

    L’assidua frequentazione della Grecia, e l’altrettanto assidua frequentazione di gatti sia italiani sia ellenici mi ha proposto un quesito.
    Il Synulox 50 è un farmaco veterinario prodotto dalla Haupt Pharma S.r.l. a Borgo San Michele, provincia di Latina.
    Questa estate in Italia il farmaco costava 13.80 € (ora il prezzo è salito a 15.18 euro), mentre in Grecia il prezzo era 7.50 €, poco più della metà.
    La semplice domanda è: perché questo farmaco costa più nella nazione in cui viene prodotto, rispetto ad un paese in cui viene esportato?

    Giro il questito a un gentile farmacista che mi dice che è una questione di mercato: in Italia la gente è disposta a spendere di più per curare l’animale di casa.

    gatti italiani

    Stessa domanda alla veterinaria di riferimento, che in modo ancora più esplicito risponde “La spiegazione è che sono dei farabutti. Tutti i farmaci ad uso pediatrico e veterinario in Italia hanno costi molto più alti di quelli per adulti, anche se i principi attivi sono gli stessi. Come veterinari non possiamo prescrivere farmaci ad uso umano, anche quando sono esattamente gli stessi dei corrispondenti farmaci veterinari, che costano però molto di più”.
    I produttori contono sul fatto che per gli inermi che dipendono da noi, bambini e animali di compagnia, si mette mano al portafoglio con più facilità. Quindi, perché non approfittarne?
    Tornando all’esempio del Synulox, dato che anche sul farmaco venduto in Grecia la ditta produttrice farà il suo bel guadagno, la differenza in più incassata in Italia si risolve in guadagno netto di 6,3 € per ogni scatoletta, di cui in parte, magari, si farà carico anche lo Stato: infatti anche le spese veterinarie “sostenute per la cura di animali legalmente detenuti a scopo di compagnia o per pratica sportiva” danno diritto alla detrazione d’imposta del 19% nel limite massimo di euro 387.34, calcolata sulla parte che eccede l’importo di euro 129,11.
    E’ molto probabile che il caso del Synulox, fortunosamente incontrato, non sia l’unico, tra i farmaci veterinari e no, e sarebbe interessante raccogliere altre testimonianze in proposito.
    Le liberalizzazioni in arrivo serviranno a qualcosa?
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 333: GENOVA – Fabrizio e le sue anime salve

    Il 25 febbraio festa in Via del Campo e dintorni per l’apertura del negozio–museo nato dove fino a qualche anno fa c’era lo storico e amato negozio di Gianni Tassio. Per tutto il pomeriggio concerti e poesia in ogni angolo.
    In piazzetta dei Fregoso per due ore ha risuonato la musica di Fabrizio De Andrè.
    Guardando i volti di chi c’era la sensazione è che De Andrè continui a raccogliere intorno a sé il popolo di cui parlano le sue canzoni, mischiato a tanti visitatori e passanti, accompagnati dai loro bambini.
    Non potendo utilizzare le canzoni di Fabrizio, come sottofondo alle immagini abbiamo messo una canzone che appartiene ad una tradizione musicale lontana, la Rebètika, nata in Asia Minore, e giunta in Grecia nel 1922 quando due milioni di profughi espulsi dalla Turchia approdarono ad Atene e Salonicco, precipitando nella miseria e nella illegalità. L’uso della droga, in particolare dell’hashish, era diffuso. Vite al margine, ma anche piene di ironia, vitalità e amore. Un mondo molto vicino a quello cantato da De Andrè.

    Le parole della canzone dicono:
    Giannusena, Giannusena
    dove eri che non ti si è vista?
    Ero nascosta con i ragazzi, manghes! E ho acceso il fuoco.
    Vieni, preparaci un caffè,
    accendi il narghilè
    e porta da fumare, che abbiamo voglia di stare allegri!
    Porta l’hashish, di quello buono,
    quello che ti fa girare la testa
    e suona il baglamà, facci ascoltare della musica come si deve!
    (Paola Pierantoni – Foto dell’autrice)

  • OLI 333: POLITICA – Arenzano: se candidassero un box?

    Pavone ad Arenzano

    Non solo a Genova si vota il 6 Maggio. Si vota anche ad Arenzano e in altri comuni della Liguria. Non è una notizia, o comunque, se lo è, è assolutamente neutra.
    La notizia vera e rilevante per Arenzano, importante, popoloso e ricco paese della provincia di Genova, è che finora nella cittadina non è stata svolta alcuna iniziativa pubblica di carattere politico né locale, né globale. Né un manifesto, né un’assemblea, né una riunione in cui i cittadini potessero conoscere le intenzioni politiche e progettuali dei partiti, delle liste civiche, dei candidati sindaci. Silenzio assoluto, con buona pace di tutti i discorsi sulla trasparenza e sulla partecipazione come fondamenti di una buona democrazia. Il vento di Marco Doria si è fermato a Voltri. Ma forse proprio questo vento, che quando si libera crea sconquassi, causa il silenzio tombale che avvolge il dibattito politico nei luoghi pubblici. Da tredici anni Arenzano è retta da una maggioranza di centrosinistra centrata sul Partito Democratico in cui lo svilimento della democrazia è stato proporzionale alla cementificazione del territorio. Certo, ci sono molte decine di persone che si riuniscono nelle panchine, nelle cantine, nelle cucine, nei salotti, nelle sedi di partito e nei bar. Si sono già promesse tre o quattro liste civiche, divise da personalismi e particulari contrastanti, si riuniscono freneticamente gli iscritti di PD e SEL, sono apparso all’orizzonte svariati candidati sindaci che cambiano ogni settimana. Forse ci saranno le primarie il 18 Marzo. Forse, perché la decisione è ancora sottoposta alla valutazione di convenienza, al conteggio dei voti di questo e quell’altro, alle minacce di tessere da rinnovare o disdire.
    In questa sitazione è difficile superare il sentimento di angoscia per lo stato della Democrazia in questa cittadina, che contrasta con l’autentico vento nuovo del percorso partecipativo intorno a Marco Doria. Forse sarebbe d’aiuto poter pensare di candidare a sindaco un box, dal momento che negli ultimi vent’anni i box probabilmente hanno superato il numero dei cittadini.
    (Angelo GuarnieriFoto di Paola Pierantoni)

  • OLI 333: CITTA’ – Modern Art in Via del Campo

    3 Febbraio 2012, il ghiaccio congela la spazzatura nella fontana di Via del Campo.
    Una natura morta urbana offerta ai turisti che vanno a spiare la cosiddetta colonna infame nostrana.

    25 febbraio 2012, il gelo è passato, il ghiaccio è tornato acqua, e la stessa identica spazzatura fluttua liberamente nella fontana, offerta al popolo che affolla la strada per festeggiare la riapertura, sotto forma di shop/museo, del negozio di Gianni Tassio.
    Ma attenzione: forse non è incuria, forse si tratta di una “installazione”, in cui la persistenza nel tempo della spazzatura diviene metafora della persistenza del male, mentre il cartello posto subito sopra diventa simbolo della vanità degli sforzi della creatura umana che tenta di conciliare il “dover essere” con gli invalicabili limiti dell’essere.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 332: LAVORO – Omsa, e l’eleganza delle operaie

    Il 19 febbraio “Presa Diretta” su Rai3, aveva per titolo “Recessione”, ed era dedicata alle strategie aziendali di fuga dall’Italia, per realizzare maggiori profitti all’estero. Tra i casi quello della Golden Lady Company, proprietaria dell’Omsa di Faenza, che tutt’ora sbandiera l’italianità del marchio: “Omsa, marchio storico nel settore della calzetteria Italiana”, magnificando le proprie campagne pubblicitarie, che dallo storico “Omsa, che gambe!” ad oggi, sono sempre state “ispirate alla raffinatezza e all’eleganza”.
    Da molto tempo però la vera eleganza è quella delle sue operaie, trasformate in attrici da Living Theatre per denunciare la loro condizione, così rappresentativa della devastazione che l’economia globale porta nei paesi che non hanno strategie economiche ed industriali da contrapporre. Dal 2010 sono in cassa integrazione senza prospettiva, perché l’azienda, tutt’altro che in crisi, si è “delocalizzata” in Serbia, dove gli stipendi vanno dai 200 ai 250 euro al mese, e le operaie vengono scelte tra le donne sole, separate, con figli a carico, e quindi nella impossibilità di sottrarsi al ricatto di un lavoro sottopagato, anche rispetto alla media di quel paese.

    Noi le avevamo viste a Genova in occasione del convegno “Punto G, genere e globalizzazione” (vedi Oli 325), emozionandoci a quella rappresentazione, scandita dal ritmo di un fischietto, che terminava nella “esecuzione”, una per una, di quelle vite di lavoro. Sei mesi dopo, il 27 dicembre, come da previsioni, sono tutte poste “in mobilità” verso il nulla. Ora c’è una trattativa, e un primo risultato strappato dal sindacato: il proprietario della Golden Lady chiederà la prosecuzione della cassa integrazione “in deroga”, per “superare la procedure di mobilità” e dare una prospettiva ai “negoziati con alcuni investitori per l’acquisizione dello stabilimento di Faenza”. Prossimo incontro domani 22 febbraio: speriamo.
    Intanto, nei giorni scorsi, aveva preso vita un vivace dibattito tra le donne della rete “blogfemministi” (vedi Oli 318 ) a proposito della campagna “Boicotta Omsa”, a sostegno delle lavoratrici. E’ Lorella Zanardo (*) a sollevare dei dubbi: “La situazione è complessa e un boicottaggio portato avanti con successo può avere come risultato anche la volontà di spostare la produzione ancora più rapidamente … il mercato è globale. E’ giusto chiedere all’imprenditore di non licenziare ma non credo basterà”.
    In alternativa propone il messaggio in “Ti compro se non licenzi”, mirato ad un patto con l’imprenditore: “se la produzione non viene spostata, ci impegniamo in una campagna di promozione del marchio”.
    In rete corrono i pareri: “Tra gli imprenditori c’è anche brava gente, che non ce la fa materialmente più, con il costo del lavoro esistente in Italia, a mandare avanti un’azienda”; “Noi non possiamo sostituirci ai sindacati o alle stesse donne che stanno contrattando da anni per andare a interloquire con il padrone della fabbrica”; “Credo che la vera risposta sia un’organizzazione di lavoratori internazionale che si coordini e faccia richieste all’unisono”.

    Le donne in rete cercano strategie, ma la realtà oppone una durezza che non favorisce le speranze. In quel territorio non è solo l’Omsa a chiudere, tutti i calzifici sono stati chiusi, delocalizzati. Persi più di 1000 posti di lavoro, e altro non c’è. Tutto intorno è un deserto. Da un lato la politica del governo serbo, che attira gli industriali italiani con incentivi che azzerano per tre anni il già bassissimo costo del lavoro, dall’altra l’assenza di qualunque politica industriale italiana.

    (*) Sul sito di Lorella Zanardo la sua posizione sul caso Omsa, e il video della performance delle operaie Omsa
    (Paola Pierantoni – foto dell’autrice)