Categoria: Economia

  • OLI 278: INFORMAZIONE – Il consumatore etico tra inganni, seduzioni e scommesse

    Annibale Carracci, La bottega del macellaio, 1583 – 1585

    Il tema del consumo di carne (bovina) si è conquistato un richiamo sulla prima pagina di Repubblica del 10 novembre. Il titolo è rassicurante: “Bistecca, la seconda vita. Chi mangia carne non rovina l’ambiente – cibo e gas serra, un ecologista smonta le accuse”. L’occasione viene dal libro Meat. A benign extravagance, il cui autore, Simon Fairlie, ridimensiona l’entità dei danni ambientali (emissioni di gas serra e deforestazione) che “grandi organizzazioni internazionali”, tra cui la FAO, imputano alla zootecnia. L’articolo è corredato da una tabella secondo cui l’Italia, per consumo di carne bovina, è ottava tra undici nazioni, e da due incisi in grassetto: “Simon Fairlie invita a prendere con cautela le tabelle fornite da enti internazionali”, e “Il bestiame contribuisce all’inquinamento nella misura del nove per cento”.
    Il tutto trasmette al lettore un messaggio di sereno via libera.
    Per trovare qualche frase che segnali l’esistenza di punti critici bisogna spulciare tutto il lungo articolo: “Due terzi di quei 600 milioni di tonnellate di cereali vengono utilizzati negli allevamenti dei paesi industrializzati, a beneficio del 20 per cento della popolazione mondiale” … “Se un colpevole c’è, non è l’allevamento in genere, ma sono i metodi industriali ed intensivi”.
    Peccato però che la tranquillizzante tabella sia costruita in modo opinabile, perché l’Italia è confrontata con nazioni scelte “ad hoc” tra le più carnivore del pianeta, e si limita al consumo di carne bovina che costituisce meno di un terzo del consumo italiano di carne pro capite, il 42,3 % del consumo è carne suina – dati Eurostat 2006 (*). Così i dati europei ci vedono sì al nono posto, ma tra 39 nazioni (**).
    Peccato anche che non si dica che l’allevamento intensivo domina quasi totalmente il mercato della carne, in primissimo luogo quella suina.
    Tra disinformazione e un mercato che ti seduce con prezzi che Safran Foer definisce “artificialmente bassi” (aggiungendo: “quello che non compare sullo scontrino lo pagheremo per anni tutti quanti”) cosa può fare il consumatore “etico” che pure non intende rinunciare a carne, uova, latte, formaggi? Quanta fatica spende per trovare quello che cerca? E poi a cosa può servire la sua piccola goccia nell’oceano degli interessi di mercato?
    Foer osserva che “la carne etica è una cambiale, non una realtà”, e che “chiunque sostenga con serietà l’opzione della carne etica dovrà mangiare parecchi piatti vegetariani”. Ma dice anche che “mangiare con una tale intenzionalità esplicita” è una forza dal potenziale enorme, e che le nostre scelte quotidiane possono “plasmare il mondo”.
    Se ci guardiamo intorno, possiamo cogliere dei segnali: mercatini agricoli in città con banchetti di uova che espongono fotografie di galline libere, e banchi di salumi istantanee di maiali che grufolano all’aperto; il macellaio abituale che va a controllare che i bovini che compra vivano effettivamente all’aperto; Luciana Littizzetto che ringrazia a nome di galline ovaiole allevate a terra; il volantino della stessa catena distributiva che sottolinea l’adozione di “un codice etico teso a garantire il benessere animale” …
    Una clientela inizia ad esistere e il mercato tenta di rispondere.
    (*) http://www.saluteanimale.novartis.it/salute-benessere/suini/consumi-procapite.shtml
    (**) http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20090806101552AA8d3wt
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 277: CULTURA – I Beni pubblici e i cittadini

    “Il crollo di Pompei è una vergogna per l’Italia”, così il Presidente della Repubblica . Un dispiacere immenso per coloro che ancora credono nel valore dell’arte, della cultura, del patrimonio del nostro Paese e che stiamo dissipando inesorabilmente.
    Quanti turisti hanno calpestato quei ciottoli, quelle stradine, immergendosi nella Storia, arrivando da ogni parte per vedere quei resti che parlano non soltanto di noi e di quello che siamo stati, ma che parlano al cuore di tutti gli uomini e del loro cammino.
    Da anni si lamenta la fragilità delle nostre vestigia. Per colmo si è in talune circostanze pensato che il territorio che aveva la fortuna di esserne il sito potesse custodirli meglio: ecco nato l’Ente dell’autonomia di Napoli e Pompei ed ecco i risultati. Ora si parla di mancanza di risorse, pure il Ministro pigola di zero fondi per la cultura, benchè si fosse provveduto ad ingaggiare addirittura un grande manager per riorganizzare i Beni culturali. E se il giovane sindaco che ribadiva tempo fa “gli Uffizi sono in primo luogo di Firenze” poteva avere le sue ragioni, visto che il ministero ne rivendicava la gestione, non si può negare una questione fondamentale: gli Uffizi, come Pompei sono un bene di tutti. Quindi tutela e controlli ad oltranza e non solo di competenza locale.
    La Commissione Rodotà provò fra il 2007 e il 2008 a mettere ordine sulla legislazione dei beni pubblici, dispersa in mille rivoli di leggi, leggine e classificazioni formalistiche. Come? Usando la Costituzione, “Poiché il regime giuridico dei beni pubblici costituisce il fondamento economico e culturale più importante per la realizzazione del disegno di società contenuto nella Costituzione stessa” (dal saggio“ Beni pubblici : dal governo democratico dell’economia alla riforma del Codice Civile”a cura di Ugo Mattei, Edoardo Reviglio, Stefano Rodotà). Vi sono perciò “beni comuni” che si sottraggono alla logica proprietaria tanto pubblica quanto privata per metterne al centro la fruizione collettiva. Beni ad appartenenza pubblica necessaria, che appartengono alla stessa essenza di uno Stato Sovrano: tutti fanno sempre parte del patrimonio per così dire “liquido” di tutti noi. Tutti i cittadini italiani sono titolari di beni pubblici, quasi un portafoglio collettivo di proprietà lo si potrebbe definire.
    In luogo di questa concezione, che rispetta Costituzione e interessi collettivi, si è intanto varato iI federalismo demaniale, cioè lo Stato cede agli Enti locali quasi ventimila unità del proprio demanio per un valore “nominale” di tre miliardi di euro: forti, caserme, isole e catene montuose come le Dolomiti, patrimonio Unesco.
    Il trasferimento comporta che una parte di questi beni diventerà immediatamente vendibile. Un’altra porzione resterà al Demanio locale, inalienabile soltanto sulla carta, ma la legge ne prevede comunque una forma strisciante di privatizzazione.
    E già ne abbiamo un classico esempio con la gestione delle spiagge.
    “Alienarli per produrre ricchezza a beneficio della collettività territoriale”, cita la legge, cioè non di tutti gli italiani, nel cui portafoglio collettivo i beni erano prima della legge Calderoli. All’interesse collettivo si è opposto un progetto, che borseggia il portafoglio della cittadinanza tutta e lo ridistribuisce ai governi locali come un salvadanaio di terracotta da fare a pezzi.
    E visto lo stato disastroso delle finanze locali ciò significherà svendere: meglio che lasciarli andare in malora si dirà. Ma se la gestione autonoma significa lo scempio della Valle dei Templi o Pompei auguriamoci che non si proponga un federalismo dei beni culturali.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 272: ALIMENTAZIONE – Quanta sofferenza sei disposto ad accettare?

    Quanta sofferenza sei disposto ad accettare per il tuo cibo? Questa è la domanda di fondo che pone Frank Reeze, allevatore americano di polli e tacchini, uno degli ultimi avicoltori indipendenti  in un mercato zootecnico dominato al 99 % dall’allevamento intensivo (in “Se niente importa”  di Safran Foeer – Ed. Guanda). 
    Una domanda che chiama in gioco nello stesso tempo i grandi interessi economici e la nostra etica individuale (in “Se niente importa”  di Safran Foer – Ed. Guanda).
    Dice Reeze “La gente è ormai lontanissima dagli animali che mangia”, e questi “Hanno pagato caro il nostro desiderio di avere tutto in qualunque momento ad un prezzo irrisorio”. Un tacchino, un pollo, una gallina ovaiola industriali “non possono camminare normalmente, non parliamo di saltare o di volare”.  Condizioni di allevamento, tipo di alimentazione, e una “grottesca” manipolazione genetica rendono impossibile la loro sopravvivenza in condizioni normali. Osserva l’allevatore: “Quello che l’industria ha capito – ed è stata questa la vera rivoluzione – è che non ti servono animali sani per fare profitto. Gli animali malati sono molto più redditizi”.
    Safran Foer cita i dati di questa perversione moderna: “Dal 1935 al 1995 il peso medio dei broiler (polli allevati per produrre soprattutto il petto) è aumentato del 65 %, mentre il tempo per immetterli nel mercato è calato del 60 %, e il loro fabbisogno di cibo è diminuito del 57 %”. Per cogliere la radicalità di questo cambiamento, dice, dobbiamo immaginare un bambino  che a dieci anni arrivi a pesare 150 Kg. mangiando solo barrette di cereali ed integratori vitaminici.
    E’ stato negli anni ’50 e ’60 che le aziende avicole hanno iniziato a procedere “alla integrazione verticale della filiera produttiva” , e che un’attività economica “un tempo dominata dalle donne”  è transitata in mano ai maschi, mentre i pollicoltori esperti sono stati sostituiti da dipendenti stipendiati.  “Non ci fu un colpo di pistola a segnare l’inizio della corsa verso il basso. Il terreno si inclinò e tutti scivolarono giù”.
    L’allevatore Reeze elenca:  “Un quarto dei polli ha fratture da stress. E’ sbagliato. Sono così stipati uno addosso all’altro che non riescono a evacuare il loro escrementi e non vedono mai il sole. Gli artigli crescono intorno alle sbarre delle gabbe. E’ sbagliato. Sentono la macellazione. E’ sbagliato.” Aggiunge di credere cha alla gente importi degli animali, ma “non vogliono sapere o pagare”, e l’industria fa di tutto perché continuino a non sapere.
    E qui torna la domanda: che succede da noi? Digitando “broiler” su Google, di informazioni se ne trovano, ad esempio che la densità dei broiler negli allevamenti si aggira sui 30 kg. per metro quadro (dai 16 ai 34 animali, a seconda del peso), che in Italia il mercato è dominato da due aziende, l’AIA del Gruppo Veronesi e l’Amadori, con dettagli su quel che vi avviene, che l’allevamento naturale o biologico (dove la U.E.  fissa in tre polli la densità per metro quadro) copre solo lo 0,7 % del mercato.   
    Ma quanti cittadini si mettono a digitare “broiler” su Google prima di andare a fare la spesa?
    Non intravvedete un compito mancato degli organi di informazione?
    Link:
    (Paola Pierantoni)
  • OLI 271: ECONOMIA – Una “strana” agenzia di rating

    Si chiama “Transnationale”, si pronuncia alla francese “transnasional”, si legge in tante lingue tra le quali un ottimo italiano. Sarà per la sua origine francese, patria della nascita dell’uso del computer a fini informativi, ma si tratta di un sito di quelli da tenere tra i preferiti: una classificazione a tutto tondo di oltre 13mila aziende nel mondo, non limitata ai soli dati finanziari ma, anzi, piuttosto al livello di rating etico.
    Un primo sguardo a it.transnationale.org lascia ben impressionati: molte informazioni e poca grafica, rapido e zeppo di contenuti. In basso, un collegamento alle informazioni sul sito, a cosa serve e come si usa. I dati sulla valutazione etica sono disponibili in forma gratuita, così come la composizione dell’arco sociale di proprietà. Per fare una prova, una a caso, si cerca Mediaset.
    Il risultato è: sede in Via Paleocapa a Milano, email di un referente, i marchi detenuti (Canale 5, Cuatro, Digital + (22%), Italia 1, Jumpy, Publitalia, Rete 4, Rete Europa). Più sotto i quattro azionisti (Abu Dhabi Investment Authority, Fininvest, Lehman Brothers Holdings, Putnam LLC), un conto corrente nel paradiso fiscale del Liechtenstein. Alcune informazioni sono solo disponibili per gli abbonati, peccato, anche se è facile intuire il lavoro di raccolta dati e di elaborazione che sta dietro un programma simile. Tra gli azionisti di Mediaset c’è Fininvest, il cui azionista al 100% è il Presidente del Consiglio dei ministri, dott. Silvio Berlusconi. Certo, non il presidente, solo il proprietario totale. Quindi il Silvio nazionale è proprietario del 34,3% di Mediaset, che detiene il 100% di Canale 5 (ad esempio). Un bel sistema di verifica, questo sito!
    Resta da verificare la freschezza delle informazioni contenute, per questo sarebbe bello ricevere un feedback proprio dai lettori. Per concludere, il pensiero ispiratore di questo immenso lavoro è di Ghandi: “Lo sfruttamento del povero può essere fermato, non eliminando alcuni millionari, ma rimuovendo l’ignoranza dei poveri ed insegnando loro a non cooperare con gli sfruttatori. Ciò convertirà anche questi sfruttatori.” (Mohandas K. Gandhi, Haryan, 28 luglio 1940).
    Lo ha detto il Mahatma, non servono altre parole, buona navigazione.

    (Stefano De Pietro)

  • Oli 268: INFORMAZIONE – Partire dalla Cina per raccontare Pomigliano

    Shangai, tanti ombrellini colorati aperti, non per la pioggia ma per il sole, come da consuetudine cinese, sono in attesa all’Expò del padiglione made in Italy magari per assaggiare le lasagne a 14 euro. Intanto a migliaia di chilometri di distanza  si consuma l’ennesimo sciopero dell’Asia operaia, questa volta è il comparto tessile: la produttività  secondo l’Oil (Organizzazione internazionale lavoro, Sole 24 ore del 25 giugno) è cresciuta dell’ 8,7% nonostante la crisi e Pechino impone agli investitori stranieri aumenti dei salari fino al 30% per favorire consumi interni e sicurezza sociale.
    Ne dà notizia giovedi 1 luglio il Tg2 delle 20.30. Non accenna però alla protesta dei lavoratori in Cambogia, Malaysia, Indonesia, Vietnam, Pakistan e India. Le rivendicazioni cinesi stanno sconvolgendo l’altra parte del mondo e i governi asiatici ne sono preoccupati perché non riescono a reggere la  competitività cinese, la più alta in assoluto.
    Nessun cenno della Rai ai suicidi che da mesi avvengono nel megastabilimento di Foxconn, primo focolaio della protesta, dal quale escono i componenti elettronici utilizzati da Sony, Samsung, Nokia o Apple. Monaci buddisti, psicologi, spazi di ricreazione e un milione e mezzo di metri quadrati di reti protettive per impedire ai dipendenti di gettarsi da tetti e finestre (Sole 24 ore, 28 maggio): 420 mila operai, che al 90% hanno meno di 25 anni e che passano dalla catena di montaggio, con turni e controlli estenuanti, ai dormitori, vivendo all’interno di un perimetro di 12 chilometri. Il salario di base è di 900 yuan, circa 110 euro e può raddoppiare con gli straordinari; i lavoratori sono giovani emigrati dalle province più interne del Paese: Foxconn resta per le agenzie di rating “fornitore di alta qualità”, così si pensa a stabilimenti vicino alle terre d’origine per evitare “l’alienazione” di cui, secondo i dirigenti, soffrono i ragazzi-operai. Mentre coetanei più ricchi frequentano corsi di perfezionamento per adeguarsi al futuro mondo dorato che li aspetta.
    Volkswagen ha annunciato investimenti senza precedenti in Cina per un valore globale di sei miliardi di euro, con tre milioni di autoveicoli entro il 2014. Honda, pur di continuare a produrre, ha concesso un aumento salariale del 24%. Così Pepsi e le principali aziende di elettronica. Poco prima di questo servizio, al Tg2, il no di Maurizio Landini, leader della Fiom, all’accordo di Pomigliano, con la richiesta alla Fiat di riaprire le trattative.
    Su Affari e Finanza de La Repubblica del 28 giugno si sottolinea che non è più  solo export, ora si cresce anche grazie al made by italians, ovvero con gli investimenti italiani all’estero, che sono di 32 miliardi, contro nove miliardi di dieci anni fa: delocalizzazioni da Stati Uniti a Romania e Paesi dell’Est, ma anche in Cina con quasi 800 imprese e 85 mila addetti. Fiat dice che i sindacati americani hanno capito.
    Forse a Pomigliano bisognava davvero votare tutti sì al referendum: non solo pensando alla sopravvivenza dei 5mila operai, ai 10mila dell’indotto e ad un territorio degradato. Ma soprattutto per vincolare Fiat ad un impegno vero, senza più le vacche grasse degli aiuti di stato che in questi decenni hanno permesso all’azienda torinese di mettere operai in cassa integrazione e distribuire dividendi. Se n’è fatto una questione di principi, sacrosanti. E dato alibi a Fiat e governo: come passeranno l’estate Vincenzo, Giuseppe e le loro famiglie?
    (Bianca Vergati)