“Apprendistato” – Il valore aggiunto del lavoro temporaneo

Dov’ero rimasto? Alla mia scopertuccia: che l’azienda mentre dichiara di darmi una formazione in realtà mi fa lavorare per davvero; faccio profitto. Quando me ne sono accorto, lì per lì son rimasto sconcertato. Pensavo e ripensavo al colloquio, all’incredibile quantità di idiozie e banalità che mi erano state propinate e che io, nella mia ingenuità, avevo bevuto fino all’ultima. Dover ammettere di essere pivelli è irritante; così ho passato un paio di serate a ciondolare accigliato per casa meditando vendetta. Il mattino seguente armato di curriculum vitae sono andato a registrarmi in un’altra agenzia intestinale (tra noi frequentatori questo è il gergo). Ero deciso ad accettare qualsiasi lavoro purché retribuito. Due giorni dopo mi viene proposto un impiego da apprendista commesso. Apprendista commesso?!? Vedendo comparirmi sopra la testa una lunga successione di interrogativi ed esclamativi l’impiegata si è affrettata a spiegarmi di co sa si tratta, riuscendo in pochi secondi a farmi imbufalire ulteriormente. Il contratto di apprendistato non garantisce l’assunzione e può protrarsi (mi pare proprio di aver capito così) sino a due anni.


Con tutto il rispetto per la professione del commesso io mi domando cosa diavolo c’è da imparare in un negozio di abbigliamento in due anni. Forse è presunzione ma immagino che chiunque riesca a vendere decorosamente un paio di calzoni (quindi a far fatturare la bottega, anzi, la boutique: fa più figo chiamarla così) dopo aver fatto pratica per una ventina di giorni al massimo. Invece: due anni. Già mi immaginavo di fronte ad una severa commissione di esaminatori a sostenere l’esame di Fondamenti e metodi della corretta procedura d’utilizzo della gruccia I e II oppure di Epistemologia della vendita promozionale, tutto teso a conseguire l’ambito titolo di “ex-apprendista-commesso-allo-stato-attuale-vero-e-proprio-commesso”.
I sogni di gloria sono stati comunque interrotti poche ore prima del colloquio, che avrebbe dovuto aver luogo nel punto vendita. Scartato a priori, ancor prima del colloquio: me lo ha telefonato l’impiegata dell’agenzia. Forse la padrona ha deciso di mettere in prova qualche lontana cugina dell’amica del circolo di bridge. Fatto sta che sono punto e a capo. Io e lo stage, che ormai incombe.
“X è l’agenzia di lavoro specializzata nella fornitura di lavoro temporaneo ad alto valore aggiunto”. Con queste parole si apre la presentazione dell’ennesima proposta di candidatura per lavori improbabili che ricevo nella casella di posta elettronica. Ho provato a rileggere la frase. Non ne sono venuto a capo. L’ho riletta ma continuando a non capire: “fornitura di lavoro temporaneo ad alto valore aggiunto”. Si riferisce forse all’IVA? Altrimenti, aggiunto a cosa? Sono quelle affermazioni che mi lasciano perplesso, un po’ come le pubblicità di prodotti per capelli che garantiscono “capelli due volte più forti” o “fino a quattro volte più brillanti”. Quattro volte in più rispetto a cosa? A come erano prima? Forse esiste qualche standard internazionale di riferimento, qualche scala di brillantezza della chioma che mi sfugge. Vedremo.
(The Pupil)