Immigrati/1 – Se i “neri” gridano pace e libertà

Gridavano gli oltre 100 senegalesi e immigrati di altre provenienze che martedì 24 agosto si sono ritrovati davanti al Palazzo di Giustizia dove veniva processato Ndiawar M’baye. Senegalese, 32 anni, precedenti penali per piccoli reati – contraffazione di documenti per riuscire a restare in Italia – è finito davanti al giudice per aver reagito – ha detto – all’aggressione di due poliziotti che lo avevano pestato (ammanettato dietro la schiena, un piede sulla testa schiacciandogliela contro il selciato ecc.).


Era stato necessario, hanno dichiarato i poliziotti al giudice, perché lui “aveva reagito senza motivo” alle loro richieste. A favore di questa tesi c’erano però solo le loro parole, là dove il tam tam dei vicoli, compreso quello più disinteressato, diceva che i due agenti erano partiti subito con la mano pesante e che la reazione di Ndiawar era arrivata solo in seguito. Quando, in attesa di saperne di più, il giudice ha deciso per la scarcerazione dal popolo del sit-in è partito un applauso lungo e commosso. Si sono sentite anche grida e parole come “pace” e “libertà”.
La parole “pace”, urlata in tanti cortei dei mesi passati, e “libertà” sulla bocca di uomini venuti da paesi lontani, riuniti davanti a un Palazzo di Giustizia italiano, hanno assunto un suono nuovo, emozionante.