Acciaierie – Dalle bande stagnate all’indice infortuni

Su Repubblica del 26 marzo il paginone dedicato all’Ilva col titolo “Cornigliano, a qualcuno piace freddo” pare fatto apposta per scaldare i cuori di entusiasmo e speranza. “L’accordo di programma resiste”, dice fiduciosamente il sottotitolo, e l’articolo prosegue con suggestive descrizioni dei lavori in corso: “Una gru gialla si muove sopra la vasca appena completata che conterrà fino a 300 tonnellate di zinco … la ruggine sparisce per fare spazio alla vernice blu … gli impianti sono stati progettati con valutazione di impatto ambientale…”.
Le cifre degli investimenti vengono puntigliosamente allineate insieme alle previsioni produttive a regime che guardano al 2010. Il quadro si completa con gli ottimi dati sull’andamento infortunistico: dal 2003 al 2007 si è passati da una frequenza di 202 infortuni ogni milione di ore lavorate a 86,5: più che un dimezzamento.


Ma, quasi senza parere, si finisce per inciampare in una piccola asperità: capita quando viene citato l’incontro romano in cui “l’azienda aveva presentato la richiesta di prorogare di un anno la cassa integrazione straordinaria per avere il tempo di realizzare i nuovi impianti e far rientrare i 650 ora in cassa integrazione straordinaria”. Nulla di grave, suggerisce il tono dell’articolo, è solo questione di tempo…
Probabilmente i cassintegrati non erano altrettanto tranquilli, a guardare il volantino diffuso durante il comizio di Veltroni: si sentivano dentro un film in bianco e nero, dicevano, possibile titolo “Alba tragica”.
Ed ecco infatti arrivare il freddo con la notizia (Repubblica del 29 marzo) che 500 lavoratori potrebbero non rientrare mai più. Esito (si spera) ancora contrastabile, ma non imprevedibile: in tutto questo tempo, a parlare con i lavoratori in Cigs (Cassa integrazione guadagni straordinaria), si sono sentite rimbalzare molte domande che non hanno ricevuto una risposta convincente: quanto lavoro daranno davvero i nuovi impianti?
La banda stagnata: buttando uno sguardo a siti nazionali ed internazionali par di capire che la tecnologia e la qualità siano un fattore chiave per mantenersi competitivi anche a fronte di momenti di stagnazione della domanda. Oggi l’80 % del consumo italiano è coperto da importazioni, in grande prevalenza prodotti qualificati da paesi Ue (dati Federacciai 2006). Una situazione imprevedibile, o già chiara e sottovalutata nel momento in cui fu firmato l’accordo?
Gli infortuni: la diminuzione della loro frequenza media è una buona notizia, ma in Ilva l’area a caldo è sparita. Quello che sarebbe più interessante sapere, oltre le “medie” di stabilimento, è l’andamento infortunistico dei diversi reparti produttivi. Se ne parla?
(Paola Pierantoni)