Sansa 2. L’intruso che reclama “passione di giustizia”

Dopo le inchieste del 1973 e la stagione da sindaco, tra 1994 e 1997, Sansa ha continuato a essere per i genovesi, anche quelli che meno gli sono favorevoli, un personaggio popolare: intransigente, netto nei giudizi, scomodo. Forse è per questo che “Il Lavoro” non ha esitato a dare rilievo a due lettere aperte indirizzategli di recente dallo stesso Sansa.


La prima, pubblicata il 27 agosto, era intitolata “Se la Festa facesse soffiare aria fresca sulla sinistra…”) e invitava il centro sinistra, Ds in testa, a cogliere l’occasione dei dibattiti durante la Festa per darsi un programma elettorale semplice, non generico e specialmente disposto ad affrontare i temi-chiave della politica a cominciare dagli incombenti pessimi progetti di riforma in materia costituzionale, di federalismo, di ordinamento giudiziario alla tutela dei diritti fondamentali. Un programma aperto alla elaborazione e alla partecipazione della gente e dei movimenti che, “nella stagione del sopruso degli uni e della timidezza degli altri”, avevano avuto il coraggio di riaprire vittoriosamente il confronto politico.
Quello che continua a mancare anche a sinistra, scriveva Sansa, è la “passione di giustizia”, la sola che permetta “una convincente chiarezza di parole e di progetti”. Vogliamo o no mandar via, chiedeva la lettera, “chi si è servito della cosa comune per fare la propria fortuna e assicurarsi l’impunità…? E allora cosa aspettiamo a parlare chiaro, senza ammiccamenti ai fantomatici moderati, ai superstiti di ideologie crollate?”
La lettera di Sansa, malgrado il centinaio di dibattiti avvenuti durante la Festa nazionale dei DS, fu ignorata. A renderla sospetta bastava il suo richiamo alla gente, a idee e protagonisti della stagione dei girotondi. In più c’era la denuncia del vuoto programmatico del centro sinistra, del limitarsi a borbottare di fronte alla aggressione inflitta giornalmente alle istituzioni. Sansa, un non addetto ai lavori interferiva coi manovratori della politica, chiedeva, incalzava. La lettera piacque a molti lettori che immaginarono fosse una buona occasione per cominciare a discutere sul serio. Al contrario, il personale di partito, uomini e donne, lo giudicarono l’opera di un intruso che non meritava risposta e accolsero la sua lettera con un “mediocre silenzio da sacrestia partitica” (C. A. sulla Newsletter n° 30 del 15 ottobre scorso). Stiamo vincendo, era la risposta che veniva data in privato, perché dobbiamo preoccuparci di queste cose?
(Manlio Calegari)