Precariato – Volti e diritti sconosciuti di chi fa le notizie

28 ottobre, Teatro della Gioventù: un gruppo eterogeneo di giornalisti precari, tra i 20 ed i 40 anni, riuniti per un’occasione informale, la proiezione del docu-fiction “Non ancora” di Giada Campus. L’argomento è la vita grama dei precari, incarnata dalla vicenda di una giovane coppia, lei giornalista in cerca di affermazione, disposta anche a partire per il Libano per affrancarsi dalla meschinità del suo lavoro quotidiano, lui ricercatore universitario depresso, in attesa di un concorso che non arriva mai. L’assenza di prospettive sul piano lavorativo si ripercuote sulla vita privata, e la coppia finirà per sfaldarsi, schiacciata da delusioni e sconfitte quotidiane.


Lo scopo dell’incontro è discutere, appunto, la situazione di una categoria che racconta le vicende di precariato selvaggio degli altri e mai le proprie. Marcello Zinola, della Federazione Nazionale Stampa Italiana, disegna un quadro impressionante: la proliferazione dei mezzi di informazione, invece di apportare linfa al settore ne ha favorito la precarizzazione. Senza la possibilità di avere permessi, la rappresentanza sindacale del giornalismo precario non esiste: chi non lavora non guadagna e spesso i margini sono talmente risicati da non consentire la partecipazione al sindacato. I prodotti dei precari dell’informazione, continua Zinola sono pagati da 3 euro (una fotografia) a 800 lordi (un servizio completo, in un caso fortunato). La media va tra i 7 ed i 25 lordi, cifra a cui vanno sottratte le spese, e, naturalmente, se un servizio non esce non viene pagato.
Tra i fotoreporter la concorrenza è disumanizzante, si deve combattere contro i giornalisti, spesso forniti di attrezzatura dai propri editori, che regalano le foto con il pezzo.
L’immagine che si ricava è di giornali come semplici contenitori di notizie, una sorta di scheletro lunare: la redazione crea i titolo e l’impaginazione, ma coloro che realmente producono le notizie non vi lavorano. Sono esterni, emeriti sconosciuti per la redazione, e non ricevono un fisso, seppure siano impegnati quasi tutti i giorni, a qualsiasi orario.
Altri interventi descrivono l’editore come un padrone ed il giornale come un prodotto, che ha valore commerciale in base alla pubblicità che veicola. E del sindacato viene riconosciuta la paura di riconoscersi alla mercé di padroni, allo stesso modo dei minatori che scioperavano contro lo sfruttamento.
La soluzione proposta dai rappresentanti del sindacato della Fnsi è di farsi conoscere, partecipare, aderire e formare un coordinamento ligure dei precari dell’informazione. “Si ma come si fa a coordinarsi”, interviene un precario dal pubblico “così polverizzati come siamo?”.
(Eleana Marullo)