Immigrazione – Il florido mercato della disuguaglianza

Nel 2006 lo stipendio medio denunciato all’Inps di una persona immigrata, uomo o donna che sia, è stato di 11055 euro (921 euro al mese senza tredicesima), quello di una persona italiana di 17594 euro.
Quello di un uomo immigrato di 13280 euro, quello di una donna immigrata di 8006.
La regione che registra i redditi più alti degli immigrati è il Friuli Venezia Giulia (12865 euro l’anno), quella che registra i redditi più bassi è la Campania con 7379.
La Liguria, con uno stipendio medio annuo degli immigrati di 9696 euro, ha dietro di sé solo Sardegna, Lazio, Sicilia, Calabria, Puglia, Molise.
La nazionalità che registra il livello più alto è il Senegal con 14337 euro (ma lo stipendio medio di una donna del Senegal è di 7889 euro), e quella col livello più basso è l’Ucraina con 6699 euro (5974 per le donne)
Questi dati Inps, riportati in un articolo/inchiesta su Metropoli di domenica 23 novembre, disegnano la mappa delle disuguaglianze su cui si regge una parte crescente della nostra economia.


Le disuguaglianze separano tra loro italiani e immigrati, immigrato da immigrato a seconda dei territori e delle stesse nazionalità, e le donne immigrate sia dalle donne italiane (che comunque guadagnano meno degli uomini italiani), sia dagli uomini immigrati.
I minori redditi segnalati dall’Inps hanno in sé molte cause: i settori di impiego, le qualifiche attribuite in ciascun settore, e le ore di lavoro effettivamente messe in regola. Infatti la gran parte degli immigrati è denunciata per 20 ore di lavoro settimanali, esattamente il minimo richiesto dalla legge per una assunzione in regola, a sua volta indispensabile per ottenere il permesso di soggiorno.
Quindi (è cosa nota ma vale la pena tenerla sempre ben presente) gli immigrati in Italia lavorano, quando va bene e cioè sono in regola col soggiorno ed hanno una posizione aperta presso l’Inps, senza riconoscimento di qualifica nei settori meno remunerativi e più pericolosi, e con sostanziale rinuncia ad una protezione previdenziale per la loro vecchiaia: badare alla sicurezza immediata per proteggersi da rischi, malattie e infortuni, o futura per sopravvivere quando il lavoro non ci sarà più, è un lusso fuori portata.
Il mercato della disuguaglianza percorre ogni fibra del nostro paese e si regge su responsabilità istituzionali, politiche, imprenditoriali, individuali. Ho recentemente assistito ad una telefonata tra una operatrice sociale ed una signora potenziale datrice di lavoro di una colf, che giudicava assolutamente eccessiva una paga sui 1100 euro mensili (6 euro orari) per un lavoro di assistenza a tempo pieno.
La questione di come debba cambiare la nostra economia e il nostro stato sociale per rinunciare allo strepitoso volano (o ancora di salvezza, a seconda delle fasi economiche) della disuguaglianza dovrebbe essere una grande priorità della politica.
(Paola Pierantoni)