Diritti civili – La Chiesa distratta

Non c’è dubbio che l’ultima esternazione dell’on. Fini sulle responsabilità della Chiesa di fronte alle leggi razziali del 1938 sia una delle tante pedine strumentali che il parlamentare semina da tempo sul suo percorso allo scopo di procurarsi una credibile cintura di castità. Questa volta ha osato di più: attaccare una istituzione che al suo principale porta consenso. Quello che sorprende però sono le motivazioni della difesa che prontamente ha fatto scudo: la Chiesa ha salvato migliaia di ebrei dando loro ospitalità, facendoli espatriare ecc. Il predecessore di pio XII, Papa Ratti, è stato durissimo col Fascismo ecc. Sono cose che chiunque un po’ al corrente della nostra storia recente conosce, ma devianti rispetto al problema sollevato da Fini.


Le ragioni del contendere stanno nel silenzio ufficiale della Chiesa sull’aberrazione delle leggi razziali, nel senso che non ci fu una condanna, con tanto di scomunica, come accadde per il Comunismo ann i dopo. Ora – se il silenzio di Pio XII nei confronti di Hitler e del suo programma di sterminio è stato spiegato con una logica storica credibile o no, sulla quale è difficile giudicare perché nessuno sa come sarebbe andata a finire se il pronunciamento ci fosse stato – sulla mancata condanna della nefasta opera del Fascismo quando emanò le leggi razziali non si può tacere. Le leggi del ‘38 non erano un attentato ai diritti civili e alla vita di migliaia di famiglie, la premessa alla soluzione finale arrivata da lì a non molti anni? Stupisce che la Chiesa, tanto sensibile ai valori etici, sempre pronta a salire sulle barricate per difendere la vita in tutte le sue forme, dal concepimento alla morte e della famiglia tradizionalmente intesa, taccia di fronte ad aberrazioni della storia che vanno nella direzione esattamente uguale. Guardando all’oggi, la famiglia italiana, specialmente con i tempi che verranno, non è costantemente minacciata dall’usura? Anche in questo caso la Chiesa si mobilita con interventi a sostegno di chi viene taglieggiato dagli usurai, ma una voce di condanna, diciamo pure di “scomunica” (parola che piace poco, ma è stata ampiamente usata in tempi storici per meno…) non si è ancora fatta sentire. Alberto Saviano in “Gomorra” cita il caso di don Peppino Diana, mandato a governare la parrocchia di Casal di Principe. Il giovane sacerdote non si arrese di fronte alla camorra e alla malavita locale, non tacque, condannò, negò i funerali religiosi a mafiosi notoriamente conosciuti, impedì che gli stessi fossero chiamati a fare i padrini di battesimo, limitò lo sfarzo in chiesa alle nozze di sospetti taglieggiatori. “Don Peppino, scrive Saviano, scavò un percorso nella crosta della parola, erose dalle cave della sintassi quella potenza che la parola pubblica, pronunciata chiaramente, poteva ancora concedere.” (pag. 244). Ci rimise la vita, ma chi ha mai detto che i cristiani devono sopravvivere a tutti i conti alle persecuzioni?
(Giovanni Meriana)