Categoria: Diritti umani

  • OLI 383: SENEGAL – Io, giornalista in fuga dalle vendette politiche

    foto da internet

    Il mio nome è Mouhamadou Moustapha Niang, sono un giornalista senegalese, meglio conosciuto come Moustapha Niang, nome con cui firmo i miei articoli su Lewto, giornale che si occupa della lotta senegalese.
    La lotta senegalese è simile alla boxe ed è lo sport più importante, in Senegal.
    Sono qui in Italia da qualche tempo perché ho avuto problemi in Senegal: nel 2012 durante le elezioni presidenziali in Senegal ho fatto trasmissioni radiofoniche sulla lotta, tutti i lunedì, su una radio che si chiama Manoore fm, per denunciare i politici che utilizzano i lottatori per i propri regolamenti di conto: questa è stata sempre la mia battaglia. Un mattino, tra la grande sorpresa generale, la sede della nostra radio è stata completamente bruciata. Prima avevo ricevuto minacce di persone che volevano uccidermi. Sono venuto in Italia una prima volta a Malpensa. Poi sono ritornato in Senegal ma le minacce sono continuate e sono tornato in Italia passando dalla Spagna.
    Il mese scorso sono stato arrestato dalla polizia che mi ha dato l’espulsione e l’ingiunzione di andarmene dal territorio italiano. Io non sono in Italia per immigrazione, dal momento che stavo bene nel mio paese. Sono un giovane giornalista molto conosciuto nell’ambiente sportivo senegalese.
    Se ho lasciato tutto per venire qui è stato per salvare la mia vita. Ho bisogno di aiuto per avere l’asilo politico. E’ una lunga storia, è molto difficile fare il giornalista in Africa perché se dici o scrivi qualcosa che va contro il potere è un problema. Nel mondo in cui viviamo, il giornalista non ha il diritto di fare il proprio lavoro.
    (Moustapha Niang)

  • OLI 289: DAL MONDO – Le ragioni della rabbia di Manama

    Foto di Eleana Marullo

    Manama, la capitale del piccolo regno del Bahrain, il giorno prima della rabbia è tranquilla e luminosa, il clima è mite e solo il vento, come è naturale per un’isola, interrompe l’uniformità del paesaggio animando le palme, lungo i viali, e le eliche del grande grattacielo Moda Mall.
    Le strade a decine di corsie si snodano, con il loro carico di suv mastodontici in coda; non un pedone né un attraversamento in vista – ad andare a piedi, soltanto i turisti europei e le manovalanze straniere. D’altronde, lo spazio piano rende facile la circolazione, il prezzo della benzina è irrisorio e camminare a piedi nei mesi caldi è una tortura insopportabile.

    Foto di Eleana Marullo

    In mezzo ai cantieri stradali, a metà delle enormi carreggiate, operai lavorano sotto il sole (che a febbraio è mite ma da maggio in poi arroventa l’aria e l’asfalto); a proteggerli dal calore e dal vento, solo il ghutra – copricapo tradizionale dei paesi del Golfo – avvolto intorno al collo e alla bocca, anche per proteggersi da polvere e sabbia. La maggior parte di loro proviene dal subcontinente indiano: nessun locale svolge lavori di fatica. Le condizioni di sicurezza non esistono: le auto sfrecciano vicinissime, accanto ad esigui paletti, e le cronache dei giornali riportano quotidianamente notizie di investimenti.
    In un altro mondo, che non si intreccia per nulla con l’universo invisibile e sfruttato della manovalanza straniera, vive la popolazione bahreinita, quella che ha dato vita alle proteste contro la monarchia che il 14 febbraio hanno infiammato la capitale ed i villaggi, causando due vittime. Se la condizione economica dei locali non è drammatica come nel Maghreb, i motivi dello scontento sono altri: la famiglia reale, sunnita, governa un paese a maggioranza sciita che lamenta, da lungo tempo, di essere vittima di discriminazioni. Inoltre, se il parlamento è eletto, l’esecutivo del governo è nominato dalla famiglia reale: il primo ministro è in carica da una trentina d’anni ed è il bersaglio privilegiato del malcontento popolare.
    Il governo pochi giorni prima dell’annunciata manifestazione aveva promesso un’elargizione di mille BD (circa duemila euro) per ogni famiglia bahrainita, cercando di conquistare consenso e di porre un argine alle proteste. Evidentemente la mossa non è stata sufficiente e gli scontri che – al momento in cui si scrive – sono ancora in atto, stanno innervosendo la vicina Arabia Saudita, principale esportatore di petrolio nel mondo. Il paese è unito al Bahrain da un ponte di una ventina di chilometri, il King Fahd Causeway, tanto che parecchi lavoratori (tra cui una cospicua comunità di italiani) fanno i pendolari attraversando il confine. Per questa vicinanza l’Arabia Saudita teme ed ha deciso l’invio di truppe militari nel paese vicino. La calma apparente dei floridi paesi del Golfo Persico è forse più fragile di quanto previsto.
    (Eleana Marullo)

  • Oli 287: Egitto – Un appello ai popoli e ai governi del mondo libero

    In rete si moltiplicano gli appelli per portare il mondo a conoscenza della situazione di repressione e censura che in questi giorni sta strangolando la rivolta della popolazione egiziana contro la dittatura di Mubarak. L’’Istituto per i diritti umani del Cairo (CIHRS) denuncia l’uso della forza sui manifestanti pacifici e le operazioni di censura sul web e sulla telefonia mobile. L’Associazione egiziana per il supporto allo sviluppo democratico (Easd) chiede il rilascio dei manifestanti arrestati e reclama chiarezza riguardo alle morti durante gli scontri . Il Comité de Solidarité avec la Lutte du Peuple Egyptien coordina manifestazioni di solidarietà in Francia. Riportiamo, tra tutti, il messaggio che l’Egyptian National Coalition ha fatto circolare nei giorni scorsi, dopo i sanguinosi scontri del 28 gennaio, Giorno della rabbia egiziana.

    Facciamo appello a tutti voi di sostenere le richieste del popolo egiziano per una vita migliore, per la libertà e la fine del dispotismo. Vi invitiamo a sollecitare che questo regime dittatoriale fermi il massacro del popolo egiziano,perpetuato in tutte le città, prima fra tutte Suez. Noi crediamo che il sostegno morale e materiale offerto al regime da parte del governo americano e dei governi europei abbia contribuito alla repressione del popolo egiziano.
    Ci appelliamo ai popoli del mondo libero perché sostengano la rivoluzione non-violenta del popolo egiziano contro la corruzione e la tirannia. Chiediamo anche alle organizzazioni della società civile in America, in Europa e nel mondo intero di esprimere la loro solidarietà al l’Egitto, attraverso manifestazioni pubbliche, in particolare nel fine settimana che segue la Giornata della rabbia popolare (28/01/2011), e denunciando l’uso di violenza contro il popolo.
    Ci auguriamo che tutti voi sosteniate le nostre richieste di libertà, di giustizia e cambiamento pacifico.
    Egyptian National Coalition

  • Gaza – Questa volta ha vinto Golia?

    Questa volta ha vinto Golia. E Golia, contraddicendo il mito fondativo e il libro dei libri, ha preso le sembianze del governo e del potentissimo esercito israeliano.
    Davide erano i 700 pacifisti, partiti dalla Turchia con un naviglio di 7 navi, arrivati da 50 nazioni, portatori di storia, sentimenti e culture diverse, intenzionati decisamente e sospinti da motivazioni profonde a portare un non più differibile soccorso alle donne, agli uomini e ai bambini di Gaza, rinchiusi da mesi dalla prepotenza di Golia in un lager senza possibilità di scambi con l’esterno e ormai incapaci di reggersi in piedi. Insomma Davide era la freedom flotilla.
    Anche questa volta aveva le fionde. Le abbiamo viste tutti, ben inquadrate e diffuse al mondo dalle telecamere dell’esercito israeliano. Ma cosa potevano contro un gigante armato in ogni parte del corpo, coperto in ogni frammento di pelle, con il capo fasciato come un mostro inconoscibile, senza occhi da poter guardare e dotati di raggi accecanti che sfregiavano l’alba, rendendola ancora più tragica?

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  • Europa – In Italia la violenza è doppia

    Talvolta si riesce ancora a percepire la distanza che ci distacca da una gestione europea dello Stato. In materia di diritti civili l’Italia è uno dei fanalini di coda dell’Unione, impegnata com’è negli scandali dei sederini rosa e degli appartamenti romani di ex ministri nuclearisti. Questa volta il campanello è stato suonato da una sentenza del Tribunale di Torino, grazie all’intervento in materia di risarcimento danni di uno studio ben informato in materia, Ambrosio e Commodo di Torino (1*). Nella lunga lista di interventi e pubblicazioni riscontrabili sul loro sito, risalta l’impegno profuso sul problema dei risarcimenti, visti da diversi punti di vista e in molti settori della società.

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  • Tempo di Morire – Accompagnami e poi lasciami andare

    Mi chiamo Alma, sono nata settantasei anni fa a Sturla, da casa nostra potevi, di sbieco, toccar il mare con un dito. Terza di quattro fratelli, cullata dai primi, custode dell’ultimo. Adesso e’ lui ad esser qui accanto a me in ospedale. Non posso ascoltare le sue parole, ne vederlo, ma lo percepisco dalla mano che si affanna, affettuosa e maldestra, attorno al cuscino che mi sorregge la testa.
    Ho abbandonato udito e vista da alcuni giorni. Devo ridurre al minimo le fatiche di questo corpo. C’è sempre più spazio tra la mia coscienza e i contorni della mia sagoma.

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  • Società – Dal primo marzo al primo maggio

    “Giù al porto”, in mezzo alla gente di tutte le nazionalità, dov’altro potevamo trovare lo stand del Movimento genovese che ha organizzato a Genova la manifestazione dello scorso primo marzo, lo sciopero degli stranieri, di questi tempi un successo da far impallidire molti partiti e sindacati, diecimila persone che con determinazione, ordine ed allegria hanno sfilato dalla Commenda fino a Piazza Matteotti, con concerto finale. Senza che volasse una parola in più di quelle della solidarietà e della richiesta dei propri diritti di cittadini del mondo.

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  • Società – L’antirazzismo genovese e la sua storia

    Due mesi fa Genova ha visto, dopo molto tempo, una grande manifestazione per i diritti degli immigrati, organizzata dal Comitato 1 marzo. Dopo la manifestazione – come spiega Stefano De Pietro nel suo articolo Dal primo marzo al primo maggio – il comitato, in collegamento con altre città, ha proseguito la sua attività, ha definito obiettivi, progetta nuove iniziative.

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  • Storia – L’orizzonte transnazionale

    Ad ogni popolo la sua nazione e ad ogni nazione il suo popolo! Assunto che sembra appartenere a La Repubblica di Platone, logico quanto la geometria euclidea. Connubio fondato sull’epica narrazione della storia dei popoli. In realtà idea che risale all’epoca moderna e vede nel XX° secolo, con la conclusione dei due conflitti mondiali, la definizione in strutture statali dai confini geopolitici ridisegnati o assegnati ex-novo.
    Il 17 aprile scorso per La Storia in Piazza, dinnanzi ad una gremita sala del Gran Consiglio del Palazzo Ducale di Genova, Beshara Doumani, professore di storia all’Università della California di Berkley, e Shlomo Sand, professore dell’Università di Tel Aviv, hanno provato a scardinare l’equivalenza popolo-nazione partendo dalla più emblematica situazione internazionale, Israele, Palestina e i rispettivi abitanti.

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  • Comunicazione – Il ghetto della parola


    Bulimi-anoressico, bi-omo-transessuale, extra-comunitario nelle sue innumerevoli declinazioni. Parole digrignate, gettate fuori dalle bocca di tutta fretta, non scusate, ostentate dal piccolo schermo dinnanzi alla scrivania con la scaletta in mano. Parole pensate, misurate, collocate responsabilmente in un contesto. Parole scritte in grassetto, corsivo, stampatello. Parole su fogli ciclostilati in proprio, pagine di giornale, parenti del piombo, dal formato maneggevole. Parole cliccabili, linkabili, inviabili alla tua email a partire dalla homepage di un sito.

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