Anziani – Voci del limbo

Sarà bene attrezzarsi. Nella regione con il più alto indice di anziani in Italia (Secolo XIX, 3 marzo) l’esistenza dei vecchi incombe spesso come evento meteorologico in un ambito familiare. Accade che nell’equilibrio perfetto di un quotidiano ritmato da piccoli acciacchi, visite, telefonate, l’anziano – lentamente – diventi più anziano. I mesi invernali lo piegano e cose normali – in passate stagioni – non lo sono più. Superare l’inverno a casa può diventare un miracolo che si rinnova di anno in anno.


Poi, succede che lui cada. Non vale la pena di chiedersi perché. Ha fatto mille esami, visto molti medici, la diagnosi è la vecchiaia. Cade in casa e per strada. Cade perché inciampa o rifiuta il bastone. Perché è confuso. Perché le patologie assumono con l’età maggior forza. Succede che l’ennesima caduta necessiti un ricovero. Ancora esami, controlli e l’ospedalizzazione che come un imbuto traccia l’esistenza dell’anziano. La struttura ospedaliera è i ncapace di farsi carico di questo tipo di malato. Non è un vero malato. Quindi l’ospedale con le risorse che ha può fare due cose: allettarlo e invitare la famiglia a portarselo a casa al più presto. Nel frattempo è inutile chiedere al reparto di rimetterlo in piedi. Il buon senso suggerisce che basterebbero pochi passi – lui non ha nulla di rotto – ma nel reparto ci sono casi più gravi e il personale deve seguire quelli. E’ ancora inutile mandare in reparto personale privato, pagato dalla famiglia, perché il reparto, se l’anziano cade con altri, non è coperto da assicurazione. Lui trascorre due settimane così. A letto. Sfiancato prima da se stesso, poi dal clima, dai controlli, dal cibo. No. Non mangia. Perché mangiare?
Nel frattempo sono state attivate le pratiche di ricovero riabilitativo in struttura convenzionata – con liste di attesa che vanno dai trenta ai sessanta giorni – si è verificato in quale scrivania è atterrata la pratica. E gli impiegati dell’ospedale hanno compilato i moduli per i presidi (sponde per letto, girello, carrozzina) che un familiare deve consegnare personalmente presso l’ufficio Asl – dal martedì al giovedì dalle 8.30 alle 13.00 – nell’ipotesi che l’anziano possa essere riaccolto, dopo la degenza ospedaliera, a casa. Si valutano ipotesi ed energie. Poi si chiede all’assistente geriatrico – lista alla mano – quale delle case di cura private sia la “migliore”, nell’attesa si liberi un posto nelle strutture convenzionate. Ma nell’ufficio preposto non fanno nomi. Non possono. Non devono. E’ un limbo sul quale nessuno di loro può esprimere un’opinione, tranne la famiglia che “deve scegliere da sola, come preferisce”. Sono voci suadenti della reception di un hotel , quelle che rispondono in alcune case di cura: “posto letto uomo o donna?”. Garantiscono fisioterapia, assistenza, giochi di gruppo e buon cibo. La ricerca assume i contorni di un soggiorno vacanze o di un bed&breakfast. Chiedono dai 2200 – 2700 euro al mese, 30 – 60 giorni degenza garantiti. La coscienza può attivarsi solo al controllo diretto. Insieme alle energie familiari per far fronte al temporale.
(Giovanna Profumo)