Politica – Piazze: ultima spiaggia della democrazia

Ogni giorno ci appaiono in tv immagini di piazze, piazze raramente festose. Spesso infuocate, vivaci, violente, rabbiose. Vi partecipa anche tanta gioventù, come non si vedeva da un po’.
A Copenaghen hanno sfilato in 150 mila per il vertice sull’ambiente, le tv inquadravano giovani visi colorati, a sottolineare la volontà di salvare il pianeta. Da Seattle tutto sembrava cambiato, eppure non si rammentano tanti movimenti come in quest’ultimo periodo. Contestazioni a grandi istituzioni internazionali, dal Wto al G8 o ai regimi totalitari, diventano il rifiuto all’establishment finanziario e politico, colpevole, secondo chi manifesta, delle conseguenze negative sull’economia, la società, il clima, la cultura, la libertà.
La piazza è stata in un tempo non lontano il luogo della protesta giovanile per una scuola nuova, per eguali diritti di parità, di genere ma anche di rivolta contro chi aveva deciso per una guerra come quella del Vietnam, che segnò un’intera generazione.


Ancora presente il ricordo in Italia degli anni di piombo, di quei cortei con il pugno chiuso o la fascia nera al braccio, al collo. Spazio pubblico rimasto poi per anni soltanto alle rappresentanze sindacali, ma oggi occupata anche da altri. Da chi difende la natura, il rispetto dell’altro, il lavoro, la libertà, da chi ricorda morti impunite come in Italia, da Milano a Genova, alla Grecia, all’Iran.
E se il nastrino verde sventolato disperatamente a Teheran evoca un’altra piazza, quella di Tiennamen con i suoi studenti soli davanti ai carri armati, la mente torna pure ad un altro ragazzo, datosi fuoco davanti ai tank sovietici. La visione dell’Onda, che in Italia si sollevò impetuosa dal mondo della scuola e andò in piazza, è di un anno fa, eppure pare così lontana.
Ancora era inimmaginabile la recessione che ora appare come fil rouge che lega tutte le piazze. La Storia ritorna, con una peculiarità nuova però: è la paura dell’incerto e del domani, compromesso che mobilita pure le nuove generazioni. Nonostante l’età dell’oro aumentano il disagio e il vuoto, la sensazione di aver avuto tanto, ma il tanto sbagliato, di essere spinti selvaggiamente nell’esistenza, come diceva Nietzsche. Fragili insieme ai padri. E con loro a manifestare per il lavoro perduto, per il lavoro che non arriverà.
E’ un ritorno alla polis, all’agorà come fosse divenuto l’unico luogo in cui poter farsi sentire: troppo lontani sono il Palazzo, le Istituzioni, il Potere dal vissuto quotidiano. Nella civiltà greca e in quella romana lo spazio pubblico fisico, l’agorà e il foro, erano i luoghi della politica. Lì si discuteva e si dibatteva, lì avevano voce tutti quelli cui le regole di quella democrazia dava il diritto di parlare e di dissentire, lì quelli che gestivano il potere avevano il dovere di confrontarsi con chi li criticava. Oggi gli spazi pubblici sembrano l’ultima spiaggia, usati su più fronti, anche da tentativi di strumentalizzazione o mercificazione. I disordini delle banlieue e la protesta degli immigrati che in Francia incrociano le braccia, certi che il Paese senza di loro si può fermare, non si possono neanche accostare alle nostre recenti in Italia contro lo straniero. Anche se sfileranno poi genti che non vogliono essere identificati come razzisti, il convitato d i pietra è divenuto da noi lo Stato di diritto.
Troppo spesso ormai non resta altro che scendere in piazza, pur se inascoltati e con assenze inaccettabili.
(Bianca Vergati)