Cultura – I semi della democrazia

Pochi, tra coloro che escono dalla stazione di Torino Porta Nuova e si trovano dinnanzi a corso Vittorio Emanuele II sanno che il quartiere che corre sulla loro sinistra, San Secondo – Crocetta, ospitò sino alla seconda metà degli anni Trenta un gruppo di uomini, vicendevolmente maestri e compagni gli uni degli altri, ai quali dobbiamo la nascita della nostra Repubblica e la nostra Costituzione. Chi ha visitato la mostra dedicata al centenario della nascita di Norberto Bobbio, presso l’Archivio di Stato di Torino, terminata domenica scorsa, ha avuto modo di ripercorrere le loro Storie di impegno e amicizia nel ‘900.
Bobbio e i suoi compagni di liceo e di università, tra i quali Vittorio Foa, Giorgio Agosti, Leone Ginzburg, Massimo Mila, Alessandro Galante Garrone, Franco Antonicelli, Giulio Einaudi e tanti altri ancora, si opposero con intransigenza al regime fascista. Interpreti di un inflessibilità morale, eredità di Piero Gobetti, fatta propria e vissuta anche nella condivisione delle piccole cose quotidiane.


La loro linfa animò prima il movimento di Giustizia e Libertà, debellato definitivamente con una retata nel 1935, e le brigate partigiane omonime del Partito d’Azione poi. La Resistenza fu il banco di prova della loro maturità. Da giovani ragazzi divennero pienamente adultamente uomini, come Dante Livio Bianco diceva ad Agosti nel dicembre del ‘44. “Anche la Resistenza, come la vita di Gobetti, ha avuto un carattere giovanile. Ma la maturità degli uomini veri non contraddice la giovinezza”, scriveva Carlo Levi a Piero Calamandrei. Gioventù non significava esenzione dalla responsabilità, ma li caratterizzava per una spontanea condotta morale che non li trasformò mai in santi militanti o predicatori dell’ideologia e nemmeno, successivamente, in politici di professione. Quando il Partito d’Azione si sciolse dopo la prima tornata elettorale della Repubblica, ricordava Bobbio, “ogni suo militante scelse la sua strada: la maggior parte, come me … non è più entrata nella poli tica attiva e si è dedicata agli studi e alla professione”. Questo non significa che in loro vennero meno spirito critico e sensibilità sociale, ma piuttosto che non si ammorbarono mai dell’amor della poltrona. Le vite di questi uomini sono state eccezionalmente semplici, lievi e senza velleità. Agli occhi di oggi appaiono così lontane, sebbene così vicine nel tempo, tanto da far pensare amaramente che la Resistenza, vissuta in prima persona come autodeterminazione di un popolo, si sia rivelata un momento alto di pochi, non condiviso diffusamente.
Se le parole con cui ne La Rivoluzione Liberale Piero Gobetti descriveva gli italiani sotto il Fascismo, indicazione d’infanzia e trionfo della facilità, come popolo ”dall’abito cortigiano, lo scarso senso della responsabilità, … il vezzo di attendere dal deus ex machina la propria salvezza”, suonano ancora attuali dopo novant’anni, forse vale anche la pena di nutrire fiducia che i semi di queste esperienze torinesi non siano andati perduti.
http://www.centenariobobbio.it/mostra.shtml
(Maria Alisia Poggio)