OLI 331: MIGRANTI – Al Museo Galata, la badante e il muratore

Nel novembre 2011 a Genova ha inaugurato un’opera pionieristica: per la prima volta in Italia, in una sede istituzionale permanente, una sezione dedicata all’immigrazione. L’apertura del percorso riporta alle origini del fenomeno: le immagini del fotografo Uliano Lucas ritraggono i pescatori nordafricani di Mazara del Vallo, agli inizi degli anni ’70 del Novecento, quando ancora l’identità dell’Italia era in bilico e quelli che partivano uguagliavano il numero di quelli che arrivavano (il saldo positivo tra emigrazione ed immigrazione si ebbe soltanto a partire dal 1973), le grandi manifestazioni degli anni 90’, immagini di città il cui volto è cambiato. Successivamente, nella sezione intitolata “Cartoline di viaggio”, scegliendo una cartolina di un paese di origine, inizia il video di chi è partito e racconta la propria storia, spesso tragica e dolorosa. Le fonti utilizzate per questa parte dell’esposizione sono le ricerche di Giovanni Maria Bellu e Gabriele Del Grande, che da anni si occupano dei viaggi lungo il mediterraneo e della carneficina silenziosa che continua ancora oggi. Proseguendo nella visita, il percorso tocca tasti sempre più dolorosi: un barcone, tra i primi di quelli che dopo gli esiti della primavera araba hanno raggiunto l’isola di Lampedusa dalla Tunisia, è esposto tra alcuni espositori, intitolati “Archeologia della disperazione”, che mostrano oggetti comuni, scarpe, bambole, biberon, fotografie, che il mare ha restituito come unica traccia di chi li ha posseduti.

Di seguito, si torna all’aspetto sociale, ed il primo messaggio è espresso con chiarezza (anche se con pessima illuminazione): il pannello “Chi ci ruba il lavoro?” tranquillizza l’animo dei visitatori italiani: gli stranieri non rubano il lavoro, perché “I lavoratori immigrati ben raramente competono con quelli italiani. A loro sono rimasti i lavori disagiati, quelli flessibili e usuranti e per di più (dati INPS) il 20% in meno rispetto agli italiani. Il lavoro femminile, in più, ha rappresentato un vero puntello per il welfare state all’italiana: la badante con l’anziano disabile a casa, e la donna italiana a lavorare in ufficio” ( http://www.galatamuseodelmare.it/cms/sezione%20emigrazione-189.html in “Descrizione del percorso”). Un gioco multimediale pone davanti alcuni oggetti, simboli del lavoro straniero in Italia: una cazzuola da muratore, una borsa Yves Saint Laurent, una scopa, un asciugacapelli: chi vuole può divertirsi ad ascoltarne la storia. Il percorso prosegue portandoci in una classe “colorata e composta”. Tra i problemi legati alla scuola ci sarebbero, secondo il pannello, le difficoltà di lingua e comprensione degli studenti di origine straniera, arrivati qui o nati in Italia. In conclusione, la “nicchia della riflessione”, dove i curatori, in video, invitano il pubblico a riflettere su alcuni punti.
Una “nicchia della riflessione”, a questo punto, sarebbe utile anche per i curatori:
un’istituzione culturale permanente dovrebbe stare lontana da luoghi comuni, vista la forza simbolica che qualsiasi oggetto assume se esposto in un museo: la rassicurazione sul fatto che gli stranieri non rubano il lavoro perché adibiti a mansioni usuranti e disagiate è adatta al contesto museale? E’ un fondamento sociologico? Che messaggio può trasmettere alle seconde e terze generazioni in visita al museo? Per quanto ancora i cittadini stranieri saranno visti come “la badante” e “il muratore”?
E’ proprio vero che le seconde e terze generazioni hanno problemi di comprensione linguistica? Su che dati si basa questa affermazione? Sarebbe interessante chiederlo a qualcuno di loro.
Manca totalmente qualche riferimento alla storia dell’immigrazione a Genova, eppure tante sono le persone che se ne sono occupate e se ne occupano, che avrebbero potuto fornire dati sulla realtà sociale della città. Perché?

(Eleana Marullo)