Nuova Regione. Trenta milioni al mese e welfare senza lire

Se è vero, come è vero, che la miseria si nasconde, che per una persona disposta a dichiarare la propria indigenza, cento nascondono le loro pur gravi difficoltà, si può facilmente immaginare quanti si trovino nelle condizioni del pensionato ottantenne di Ceriale che sabato 9 aprile ha scritto alla rubrica dei lettori del Secolo XIX per chiedere aiuto.


Reduce di Russia, invalido, moglie bloccata per ictus, ha sciorinato il suo modesto bilancio: 1.152 euro di pensione al mese, ne spende 700 per la donna che assiste la moglie e 276 per l’affitto; gliene restano 176 per vivere; ma ora ha ricevuto lo sfratto dalla casa dove abita da 35 anni.
I servizi sociali del Comune, cui si è rivolto, gli hanno risposto che “supera il reddito”, ovvero è “troppo ricco” per poter ricevere un sostegno. Chissà se, dicendoglielo, il funzionario è arrossito. Molti altri, in realtà, dovrebbero avvampare di vergogna, di fronte a casi del genere. A cominciare dai responsabili di una politica che ha tolto le tasse ai miliardari per mandare sempre più a fondo la gente modesta, quei pensionati che si sforzano di stare dignitosamente a galla, ma che in caso di malattie sprofondano nello stato di indigenza. La ragione è chiara: non c’è più un soldo per assistenza domiciliare, abitazioni protette e altre forme di intervento sociale che andavano sotto il nome di welfare, termine importato per non umiliare gli assistiti e farci sentire tutti più civili.
Siamo, per fortuna, alla svolta: anche gli illusi hanno aperto gli occhi sull’uomo più ricco d’Italia “che non ha bisogno di rubare”. Gli italiani sentono di nuovo il bisogno di una società più solidale e meno ingiusta. Le elezioni regionali hanno assestato un bel colpo a chi voleva smembrare la Costituzione italiana, per assecondare gli egoismi leghisti: come se la caveranno ora a sostituire il Senato con una Camera delle Regioni a larghissima maggioranza “rossa”? Ma non basta, bisogna pur cominciare a cambiare le cose. Proprio perché soldi non ce ne sono più, si potrebbe dare un primo segnale, in Liguria, tagliando quegli ingiustificati compensi di circa trenta milioni di vecchie lire al mese, che con sospetta unanimità i consiglieri regionali si erano assicurati: strenna fuori stagione, in un tempo di vacche magre. Mossa populista, come replicherebbero gli interessati, o significherebbe “fare qualcosa di sinistra”, finalmente? Di sicuro, anche la gente più semplice, quella lontana dalla politica e che ingrossa le file del non voto, apprezzerebbe.
(Camillo Arcuri)