Guai soccorrere se in senso vietato

“Ma sai cosa mi è capitato l’altra sera?”, fa lei poco più che ventenne. L’altra, di una generazione più grande, la invita al racconto. “Uscivo con un amico… Zona portici… Hai presente il sottopassaggio davanti all’expo’? I portici paralleli che finiscono lì.. in San Lorenzo.. Beh facciamo i portici a piedi verso la moto.. Due stranieri si picchiavano. La scia di sangue!”


“E tu cosa hai fatto?”, “Li abbiamo seguiti a distanza.. Poi incrociamo un gruppo di poliziotti che osservava la scena.. Uno di questi chiede a un collega: lo hai un manganello? No. Senza manganelli, non si interviene. Sono rimasti lì a guardare..”, “Mentre i due si pestavano?”, “Eh, sì. Io non potevo fare niente… Cosa gli dici? Uno stava proprio male perché era piegato… La polizia a guardare. Beh… Pochi minuti e il mio amico prende la moto… Vedo un’altra volante della polizia, davanti ai portici all’inizio, da dove eravamo partiti, sono dentro che parlano. Con loro un vigile. Il mio amico mi segue in moto mentre gli vado incontro. Il vigile mi guarda. Gli dico: ci sono due che si stanno picchiando. Uno sta molto male… E lui mi risponde: lo sa che siete in senso vietato? Ma ci sono due che si stanno picchiando, c’è la scia di sangue… Vi volevo avvisare! Siete in senso vietato. Vi volevamo solo avvisare… Stiamo intervenendo, mi risponde, non si preoccupi. Mi guardava ironico e supponente. Un fastidio! Ma ti rendi conto? Senso vietato!”
“E poi sono intervenuti?” “Non so. Erano fermi. Indifferenti. Forse, dopo saranno anche intervenuti.. Ma era passato tanto di quel tempo… E dei due probabilmente avranno perso le tracce!” “Saranno stati stanchi.. Cosa possiamo immaginare noi della vita che fanno…”, è la mediazione dell’altra, goffo tentativo per coprire il vuoto di risposte, l’identica amarezza.
(m.j.)