Ferrovie – L’immagine dei pendolari non s’addice agli spot

In questi mesi di treni a singhiozzo è cambiato il senso del viaggio e della condivisione, di amicizie che s’intrecciano, di abitudini che si consolidano: il treno non solo mezzo di trasporto ma luogo di relazioni.


Alle sei del mattino i Regionali sono carichi di lavoratori edili stranieri o meridionali, di uomini e donne dell’est che ritrovi con i loro strumenti musicali fuori dai supermercati della Riviera, di studenti immancabilmente rumorosi, accompagnati dalla stessa marca di zaino, di nordafricani in viaggio verso qualche lontano mercato.
Da Genova a Ventimiglia, l’aria, all’interno dei vagoni, si fa progressivamente irrespirabile, il vociare aumenta, diminuiscono i posti a sedere mentre fuori comincia ad albeggiare.
E’ in questo clima che puoi anche assistere ad un festeggiamento improvvisato per le imminenti feste natalizie (con tanto di panettone e spumante offerto al capo treno) o ascoltare della prossima cassa integrazione, aggiornarti in economia domestica o in strategia calcistica: brandelli di vite che faticano a trovare un ascolto, una luce che li illumini.
Tutti indistintamente ingabbiati in dati statistici, nelle percentuali di regolari e irregolari, di co.co.co, part-time, occupati a tempo indeterminato, laureati sottopagati. Tutti in attesa sulle pensiline, mentre viene annunciata l’ennesima “soppressione per assenza di materiale rotabile” (forma politicamente corretta per un’azione profondamente scorretta), lungo binari spazzolati dal vento, fra lattine e cartacce, alla ricerca d’un angolo riparato: materiale umano spesso leso nella dignità per rispondere alle leggi di mercato.
Le Ferrovie, infatti, rilanciano, affidandosi a spot luccicanti. Un segno dei tempi. Fra forma e sostanza si decide di privilegiare la prima a scapito della seconda, infischiandosene dei tempi di vita di “clienti” abbonati, sì, ma…non al “Club Eurostar”
(Tania del Sordo)