Ventimiglia – Gli yacht sotto un versante “moderatamente franoso”

Il porto, a Ventimiglia, è un sogno campanilistico degli anni 50. A quel tempo, infatti, la città viveva ancora una condizione turistica soddisfacente e non era stata, ancora, inghiottita dal commercio selvaggio. Mal sopportava, quindi, che alcuni comuni vicini più piccoli e (allora) turisticamente meno significativi disponessero di un approdo da diporto. Ma concepire un porto su impulso di invidia campanilistica non è certo razionale.


Pensare “poco” porta a scelte sconsiderate, infatti, fin dall’inizio la scelta del sito da sacrificare in nome del porto fu estremamente osteggiata e controversa. Si optò per un’area posta all’estremità di ponente del centro urbano e situata al di sotto del centro storico. Quest’area presentava evidenti incongruenze funzionali e ambientali. Incongruenze che, oggi, come oltre cinquant’anni fa, permangono e che ottusamente, ciecamente e forzatamente stanno per essere imposte alla città, sebbene occorra precisare che da ci nquant’anni a questa parte il porto imposto tout court si ripresenta alla ribalta ciclicamente e sul finire degli anni 60 fu persino costruito un molo che ancora oggi rimane come icona dell’inettitudine locale a futura memoria.
Vi sono, poi, alcune scelte progettualmente incomprensibili, prima fra tutte quella dell’imboccatura portuale orientata verso ponente e, quindi, destinata all’insabbiamento perpetuo (con elevati costi di dragaggio) essendo la costa soggetta ai venti di libeccio. Si è mormorato che l’imboccatura a levante è impossibile per la presenza della foce del fiume Roja, dimenticando che esistono le opere di difesa dei porti dall’azione dei fiumi e che, persino, esistono i porti-canale: dentro i fiumi. Altra assurdità è la viabilità di terra. L’area prescelta si trova rispetto a centro urbano al di là del fiume e per essere raggiunta è necessario percorrere o una galleria (peraltro bassa da non permettere il passaggio di barche con albero) o un senso unico (peraltro uscente dall’area). Appare, quindi, praticamente impossibile raggiungere da terra l’area portuale se non attraverso macchinosi cambiamenti del senso unico e che, certo, non garantiscono quella fluidità degli scambi terr a-acqua necessari in un porto che abbia un reale senso infrastrutturale per la città.
Ultima inconcepibile e rischiosa assurdità è la presenza di un versante franoso nell’area. Il cosiddetto versante del “Funtanin”. Nella stesa zona, oggi destinata a porto, negli anni cinquanta un imprenditore locale vide svanire tutto il patrimonio, investito in quel sito, seppellito da una frana. Al di sopra di tale versante fu persino edificato ex novo un ospedale, mai utilizzato proprio per il verificarsi di smottamenti. Negli anni successivi su questo versante sono state ulteriormente e arditamente costruite alcune villette (in parte abusive e graziate dal condono) le quali, oggi, abitate da ignari acquirenti, vedono a ogni pioggia copiosa l’emergere pericoloso delle fondazioni. Nel piano di fattibilità economica del porto sono stati stanziati 300 mila euro per la messa in sicurezza del versante. Una cifra ridicola. Ma, perla tra le perle, l’ufficio idrogeologico della Provincia ha pensato bene di declassare il versante da molto franoso a moderatamente franoso e, qu indi, dando un incosciente e irresponsabile via libera alla costruzione del porto sotto la parete. Sarebbe utile prendere visione della relazione del tecnico che ha permesso di compiere “a tavolino” tale magica mutazione.
(Graziano Castello, architetto)