Memoria G8 – La storia del sasso e delle pallottole dum dum

“Chi non vuole ricordare il passato è condannato a riviverlo.” E allora bando alla pigrizia e sforziamoci di ricordare, anche se fa male o dà fastidio.
Prosegue la descrizione degli avvenimenti in piazza Alimonda di venerdì 20 luglio 2001. Nel resoconto precedente abbiamo ricordato l’interessante testimonianza di Raffone al processo contro venticinque manifestanti. Interessante perché contraddittoria su punti significativi.


Sarebbe stata sicuramente interessante anche quella di Mario Placanica, chiamato a testimoniare per l’accusa nello stesso processo, ma si è avvalso della facoltà di non rispondere. Va ricordato che il suo ingresso in un aula di tribunale è avvenuto pochi giorni dopo la sua estromissione dall’arma dei carabinieri, motivata dai comandi a causa di un equilibrio psichico ritenuto non idoneo. Anche il 20 luglio 2001 Placanica si trovava in una condizione precaria, e fu fatto salire sulla jeep perché “cotto, e incapace persino di scartare i lacrimogeni” (sono dichiarazioni rese in tribunale dall’allora capitano Claudio Cappello, comandante della compagnia). Gli lasciarono tuttavia una Beretta calibro 9, situata oltretutto, sempre che non ci siano scambi di persona, in una fondina a coscia, quindi fuori ordinanza.
Peccato davvero che non abbia voluto testimoniare. Uno dei punti oscuri della vicenda è rappresentato dal tipo di proiettile usato. Un calibro 9 parabellum, proiettile di ordinanza, è incompatibile con il foro di entrata e ancor più con il foro di uscita nella testa di Carlo. E’ questa la ragione per la quale i consulenti del PM hanno ipotizzato la storia del calcinaccio che devia il proiettile sparato verso l’alto, per giustificare la scamiciatura del proiettile prima dell’impatto e le sue conseguenze. Altrimenti si sarebbe potuto trattare soltanto di un proiettile speciale o dumdumizzato, cioè con la punta della camicia incisa a croce per favorire un impatto ancor più micidiale, secondo una pratica invalsa nei corpi militari.
Ma l’uso di un proiettile speciale non si concilia con l’immagine di un carabiniere ausiliario con soli sei mesi di servizio alle spalle. Questo legittimo dubbio andava evitato forse per non confondere la pubblica opinione. Di qui l’inverosimile versione degli spari in aria e della deviazione da parte di un calcinaccio recepita, e questo è davvero triste, dai magistrati inquirenti. La verità è che entrambi i colpi sono sparati parallelamente al suolo, da un’altezza di circa un metro e cinquanta centimetri. Carlo era alto uno e sessantacinque. Quando appoggia il piede sinistro è lievemente piegato sulla gamba. Il punto più chiaro del bersaglio è rappresentato dall’orbita sinistra, ed è lì che arriva il colpo diretto e mirato, sparato ad altezza d’uomo, orizzontalmente. (http://www.piazzacarlogiuliani.org/pillolarossa).
(9 – continua)
(Giuliano Giuliani)